Disturbo di conversione
Consiste nella perdita o nell’alterazione del funzionamento fisico, all’origine del quale vi sarebbe un conflitto o un bisogno psicologico
I sintomi fisici non possono essere obiettivati e sconosciuti risultano i meccanismi fisiopatologici alla base del disturbo.
Il soggetto non è conscio del meccanismo psicologico che causa il sintomo e non è in grado di operare un controllo sullo stesso.
Se il sintomo principale è il dolore, deve essere posta diagnosi di disturbo da dolore somatoforme, non di conversione. Al contrario delle malattie psicosomatiche (neurosi organiche) che per gli affetti non hanno alcun valore soggettivo, le conversioni sono significative ed hanno uno scopo.
Pertanto, il disturbo di conversione è inserito nei disturbi somatoformi ma viene differenziato dal disturbo da dolore psicogeno, in cui il sintomo principale è rappresentato dal dolore, e dal disturbo di somatizzazione, caratterizzato a sua volta da un’ampia lista di sintomi fisici e da una maggiore tendenza alla cronicizzazione.
Il fulcro di tale patologia è, appunto, la conversione: cioè la trasformazione di un conflitto psichico in sintomo fisico. Quest’ultimo rappresenta una soddisfazione mascherata di un motivo o di un desiderio oppure, più spesso, l’inibizione di tale soddisfazione del motivo o del desiderio, o di entrambe le cose.
Il disturbo di conversione è stato identificato in passato, insieme al disturbo di somatizzazione, nel termine isteria. Charcot, e successivamente Freud, definiscono meglio il quadro clinico, con l’introduzione del termine “conversione”, fondato sul principio che elementi conflittuali sul piano psicologico si riflettono in espressioni patologiche somatiche.
Freud definiva vantaggio primario la possibilità, da parte del soggetto, di alleviare il peso psicologico dei rimossi intrapsichici attraverso i sintomi di conversione. In accordo con questa teoria psicoanalitica, la conversione sarebbe causata dall’ansietà generata dal conflitto inconscio intrapsichico.
Invece altre teorie suggeriscono che il disturbo di conversione sia l’espressione di una comunicazione non verbale, quando quella verbale non è possibile; inoltre, questi sintomi svolgono una funzione manipolativa non verbale sulle altre persone, che Freud identificava come vantaggio secondario del disturbo.
Alcuni hanno evidenziato un coinvolgimento di meccanismi biologici e neuropsicologici: il disturbo di conversione sembra essere associato a un difetto di comunicazione tra i due emisferi, con un’eccessiva eccitazione corticale e conseguente feedback negativo della corteccia cerebrale sulla sostanza reticolare. L’inibizione corticale sugli impulsi afferenti, provenienti dalle vie sensitive e motorie, determinerebbe una riduzione della percezione del soggetto nei confronti delle sensazioni fisiche o, in alternativa, sarebbe responsabile della comparsa di alterazioni motorie.
Test neuropsicologici eseguiti in questi pazienti hanno evidenziato lievi alterazioni della memoria, della vigilanza e dell’attenzione.
Circa un terzo della popolazione presenta nel corso della vita sintomi di conversione e l’incidenza è stata calcolata intorno allo 0,01-0,02%. A livello del genere, è stata osservata una maggior frequenza nel sesso femminile, con un rapporto di 5:1 rispetto a quello maschile; il disturbo esordisce più frequentemente in età giovanile.
I sintomi di conversione più caratteristici suggeriscono una malattia neurologica: includono disturbi sensitivi, come anestesie e parestesie localizzate soprattutto agli arti, e disturbi della vista fino a cecità completa.
I sintomi motori comprendono disturbi della deambulazione, che si accentuano quando l’attenzione si focalizza su di essi, paralisi parziali e complete mentre i riflessi appaiono normali, così come anche normale è il referto elettromiografico.
Quasi sempre i sintomi di conversione hanno carattere di transitorietà e la prognosi è di successo se possono essere identificati i fattori stressanti scatenanti, se l’esordio è acuto e se sono assenti altre patologie psichiatriche.
Per il trattamento del disturbo, una relazione di fiducia tra medico e paziente è essenziale. Allorché il medico abbia escluso un disturbo fisico e abbia rassicurato il paziente che i sintomi non indicano un grave disturbo soggiacente, il paziente di solito inizia a star meglio e i sintomi si attenuano. Se l'esordio dei sintomi è stato preceduto da una situazione psicologicamente stressante, la psicoterapia può essere efficace.
Sono stati sperimentati svariati trattamenti, ma nessuno è uniformemente efficace. Nell'ipnoterapia il paziente viene ipnotizzato e vengono identificate ed esplorate le tematiche psicologiche con potenziale valore eziologico. Il colloquio continua dopo l'ipnosi, quando il paziente è completamente vigile.
Invece la narcoanalisi è simile all'ipnosi, tranne per il fatto che al paziente viene somministrato un sedativo per indurre uno stato di semi-sonno. Anche la terapia comportamentale, incluso l'addestramento al rilassamento, è efficace in alcuni pazienti.
Per approfondimenti:
- Dizionario di Scienze Psicologiche, Ed. Simone
- Dizionario di Psicologia, Ed. Paoline
- www.msd-italia.it
- www.tramenteecorpo.it
(a cura della Dottoressa Benedetta Marrone)
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