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Un altro corpo può essere visto come un’estensione del proprio?

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Dal ballo del tango allo schema corporeo

tangoTra le varie tipologie di danza, il tango è quella più affascinante perché mostra due individui, l’uno separato dall’altro, i quali, a volte muovendosi in un stretto abbraccio, a volte allontanandosi l’uno dall’altra, o improvvisando movimenti e svolazzi sulle note di composizioni musicali di altri professionisti, danno l’impressione di rispondere ad una sola mente.

Allo stesso modo per ballerini e spettatori, molta dell’attrazione del tango deriva proprio da questa apparente fusione psichica in un'unità sopra-individuale.
Michael Kimmel, un antropologo sociale e culturale, che ha ricercato le dinamiche interpersonali del tango, scrive che i ballerini “parlano con meraviglia del modo in cui la loro individualità si dissolve in un'unità meditativa per i tre minuti della danza. Tempo e spazio cedono il passo ad un unico momento di presenza, di flow (o flusso) all’interno e tra i partner”.

Il tango, però, offre di più di questo senso di beatitudine estetica. Come tutte le pratiche artistiche che richiedono grande abilità, esso rappresenta anche un enigma scientifico interessante, che evidenzia il potenziale della mente di apprendere e riadattare se stessa in modi spettacolari.
Al cuore di questo enigma c’è la nozione di schema corporeo, una rappresentazione mentale del sé fisico, che ci permette di muoverci nello spazio senza scontrarci con le cose, di grattarci il naso senza colpirlo e sapere quanto lontano e quanto velocemente raggiungere una tazza di caffè senza rovesciarla. Possiamo fare tutte queste cose, infatti, perché il nostro cervello sa identificare i confini del nostro corpo, grazie alle informazioni provenienti dai diversi sensi ed alla particolare attenzione per quegli stimoli più prossimi ai nostri limiti fisici.

Inoltre, da quanto emerso in letteratura, lo schema corporeo è notevolmente plasmabile: gli studiosi hanno stabilito ormai, dopo più di un decennio di ricerche nel campo, che esso può facilmente incorporare gli oggetti con cui interagisce. Per esempio, dopo averne usato uno per un periodo di tempo, una persona può rispondere anche agli stimoli visivi posti alla fine di questo strumento, come se esso fosse vicino alla sua mano, perchè il cervello ha imparato a trattarlo come una propria estensione corporea. Presumibilmente, questo è il meccanismo per il quale, una volta che abbiamo imparato a sciare o giocare a tennis, non sentiremo più gli sci o la racchetta come oggetti estranei, ma come parti del nostro corpo.

Ma possiamo arrivare a sentire anche le altre persone come estensioni del nostro corpo, così come accade per gli oggetti?

In una pubblicazione recente, lo psicologo Tamer Soliman ed i suoi colleghi hanno usato la stessa tipologia di studi per verificare se coordinare le azioni fisiche con altri uomini può portarci ad integrare i loro corpi nel nostro schema corporeo.
Per fare questo, i ricercatori hanno chiesto ad alcuni dei partecipanti di usare, insieme ad uno sperimentatore, uno strumento dotato di due maniglie, con lo scopo di tagliare delle candele; altri, invece, eseguivano questo compito da soli o semplicemente vedevano lo sperimentatore farlo.

Ogni gruppo di partecipanti, poi, eseguiva uno dei due test disegnati per valutare se effettivamente loro avessero esteso i loro confini corporei per includere la mano dello sperimentatore.
Durante il primo test veniva somministrata una breve vibrazione sotto il pollice o il dito indice, preceduta da un flash posto vicino alle dita del soggetto o a quelle dello sperimentatore, e veniva chiesto di usare un pedale per indicare, il più velocemente possibile, sotto quale dito ciò era accaduto (dita per indice, tallone per pollice).
Come previsto, c’era un rallentamento nella risposta, a causa dell’interferenza creata dalla luce, indipendentemente dal fatto che le dita fossero dei partecipanti o dello sperimentatore, ma solo per coloro che poco prima avevano svolto il compito di tagliare le candele insieme ad egli.

Il secondo test aveva lo scopo di capire se le azioni dei partecipanti – e non solo le loro percezioni – sarebbero state influenzate dalle azioni del partner, con il quale avevano avuto, in  precedenza, dei movimenti coordinati. In questo compito, i soggetti dovevano disegnare una linea retta, mentre lo sperimentatore ne disegnava una ovale.
È stato visto che le linee diventavano più curve per coloro che avevano tagliato le candele con lo sperimentatore, rispetto a coloro che avevano guardato o che avevano eseguito il compito da soli.
Entrambi questi test, quindi, hanno dimostrato che i partecipanti estendevano i loro schemi corporei per incorporare quella parte del corpo del partner che era stata coinvolta in un’attività coordinata.  

I ricercatori, infine, avevano chiesto ai soggetti di compilare dei questionari, che valutavano la misura con la quale detenevano un senso di indipendenza di sé, piuttosto che di interdipendenza. Una mentalità indipendente, più comune nelle culture individualiste del Nord America e dell’Europa Occidentale, era segnalata da una risposta positiva a domande come “Mi piace essere unico e differente dagli altri in diversi aspetti”; una mentalità interdipendente, più comune nelle culture dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, forniva risposte affermative a domande come “La mia felicità dipende dalla felicità di quelli intorno a me”.

Analizzando le diverse risposte, è stato visto che non tutti i soggetti del primo gruppo venivano influenzati allo stesso modo dal compito svolto con un partner, ma che solo quelli che avevano una propensione per l’interdipendenza avevano più probabilità di diventare un tutt’uno con un’altra persona.
In altre parole, la visione di sé e degli altri influenzerebbe la prontezza con la quale si estendono i propri confini corporei per includere un’altra persona, e viceversa.

Quindi, tornando all’esempio di partenza, anche in una disciplina particolare come il tango la nostra mente ed il nostro corpo lavorano per diventare un tutt’uno con l’altra persona e non sembra essere una coincidenza che esso abbia origine proprio in una cultura orientata verso l’interdipendenza, la quale favorisce la plasmabilità dello schema corporeo nell’accogliere l’altro come parte di sè.

 

Tratto da scientificamerican.com

 

(Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Alice Fusella)

 


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