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Contemporaneamente - Luci ed ombre del Millennio

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IL DIO MERCURIO E LE SUE “MALATTIE” | di Alessandro Orlandi

IL DIO MERCURIO E LE SUE MALATTIEPubblico volentieri nella mia Rubrica Contemporanea/Mente l’articolo di Alessandro Orlandi, con il quale condivido l’attività di ‘admin’ del gruppo Facebook Psicologia Alchemica e della Pagina omonima, luogi ‘virtuali’ ideati dal Dottor Ciro Ferraro, medico psichiatra e psicoterapeuta napoletano. 

Ho deciso di proporlo in questa sede perché lo trovo in sintonia con le necessità della nostra epoca. Non avrei saputo dirlo meglio, questo messaggio che vorrei fosse condiviso ben oltre la piattaforma Social sulla quale insieme operiamo. 

A voi la lettura e a noi tutti i barlumi di coscienza.

Chi è Alessandro Orlandi: matematico, museologo (curatore per 20 anni dell’ex museo kircheriano), musicista, saggista ed editore della Lepre edizioni, è autore di numerosi articoli e libri riguardanti la matematica, la museologia scientifica, la storia delle religioni, la tradizione ermetica, l’alchimia, le origini del Cristianesimo e i Misteri del mondo antico. Tra i suoi libri: La fonte e il cuore (Appunti di viaggio, Roma 1998); Dioniso nei frammenti dello specchio (Irradiazioni, Roma 2003), pubblicato anche in Francia (Mimesis France, 2013); Le sette teste del drago (Irradiazioni, Roma 2007); L’oro di Saturno (Mimesis, Milano 2010); Le Costellazioni dello Zodiaco in Alchimia (Stamperia del Valentino, 2018); Genius Familiaris, Genius Loci, Eggregori e Forme-Pensiero (Stamperia del Valentino, 2019); I due volti del Tempo: su Caso e Sincronicità (Stamperia del Valentino, 2020).

IL DIO MERCURIO E LE SUE “MALATTIE”

Nel suo libro La vana fuga dagli dei, James Hillman ha cercato di approfondire ciò che disse una volta C.G. Jung: “gli dei sono diventati malattie”. Se è vero che le caratteristiche delle divinità del mondo antico rappresentano efficacemente strutture e archetipi della nostra psiche, quegli aspetti, che il mondo moderno ha destinato all’oblio e all’irrilevanza, sono destinati a manifestarsi sotto forma di nevrosi e patologie del vivere quotidiano.

Sono di particolare interesse le “patologie” del dio Mercurio, in quanto dio della soglia, dio delle strade e dei viaggi, sia orizzontali che verticali, dio che sovrintende alla trasformazione e al passaggio da un mondo a un altro, materiale o sottile, dalla veglia al sonno e viceversa, dalla vita alla morte, dal visibile all’invisibile, dalla terra agli inferi e viceversa, non sempre con successo, come la vicenda di Orfeo ci insegna.

Hermes Mercurio aveva un ruolo fondamentale nelle iniziazioni e nelle trasformazioni. Cominciamo quindi col chiederci quale fosse lo scopo finale delle iniziazioni ai Misteri del mondo antico.

Direi che esse miravano a far compiere tre diversi passaggi alla coscienza umana:

  • Quella che la psicanalisi moderna chiamerebbe “l’integrazione dell’Ombra”: cioè il riconoscere gli aspetti inferi e bestiali dell’uomo e integrarli armoniosamente con la personalità cosciente, con il lato del nostro essere percepito come “luminoso”.
  • L’Integrazione del tempo quotidiano del vivere, il tempo del “qui ed ora”, ciclico e legato all’impermanenza e alla caducità di tutte le cose, che i greci chiamavano cronos, con  il tempo degli déi, l’aiòn, un tempo che si misura in secoli e in millenni, legato all’essenza immutabile degli archetipi e, per lo più, al mondo dell’invisibile e del divino. Anche le dottrine induiste e buddhiste hanno attribuito al tempo due diverse nature. Una, ciclica, è scandita dall’alternarsi dei cicli cosmici e dagli infiniti ritorni dell’anima, l’altra, trascendente, è quella del Gran Tempo degli Dei a cui può accedere solo chi riesca a sottrarsi alla inesorabile Ruota del Divenire, che conduce l’anima a reincarnarsi indefinitamente, spinta dal karma accumulato nelle vite precedenti.

Nel tempo profano degli Indù ogni “piccolo” ciclo è detto mahâyuga e dura 12.000 anni e; per il “Mahabarata”, mille mahâyuga formano un kalpa[1] (o “forma”) e 14 kalpa costituiscono un manvatâra, ossia un Grande Ciclo.

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La vita di Brahma (destinata anch’essa a rigenerarsi periodicamente) comprende quindi 2.560.000 mahâyuga, ciascuno dei quali è caratterizzato dalle 4 tappe (krta, tretâ, dvapara e kali yuga), e dalla dissoluzione finale.

La percezione della corrente sterminata del tempo ciclico conferisce alla vita umana “storica” un valore relativo e irreale. Come dice Eliade[2]: “Il mondo storico, le società e le civiltà costruite a fatica con lo sforzo di migliaia di generazioni, tutto questo è illusorio in quanto, sul piano dei ritmi cosmici, il mondo storico dura lo spazio di un istante. L’uomo del Vedânta, il buddhista, lo rsi, lo yogi, il saddhu, tirano le logiche conclusioni dalla lezione del tempo infinito e dell’Eterno Ritorno, rinunciano al mondo e ricercano la Realtà Assoluta, ché solo la conoscenza dell’assoluto li aiuta a liberarsi dall’illusione, a strappare il velo della Mâyâ”.

Tuttavia l’importante”, dice ancora Eliade, “non è sempre rinunciare alla propria situazione storica sforzandosi invano di unirsi all’Essere universale, bensì di conservare costantemente nello spirito le prospettive del Gran Tempo, pur continuando ad adempiere al proprio dovere nel Tempo storico” ...”[3].- Il terzo e più importante obiettivo delle iniziazioni era quello di far passare il neofita dalla percezione del suo Biòs a quella della corrente impersonale, universale ed immortale della vita, che i Greci chiamavano Zoì[4]. Alla Zoì si oppongono le esistenze individuali, circoscritte e tese alla propria autoconservazione, affermazione e riproduzione di sé, animate da una forza vitale destinata a estinguersi nella sua unicità, che i greci conoscevano come Bios. Così la Zoì rappresentava la natura divina e immortale dell’uomo, mentre “Bios” è la totalità delle sue estrinsecazioni particolari, destinate prima o poi alle dimore di Ade. Ebbene, compito dell’iniziazione, attraverso l’integrazione dell’Ombra e dei due tempi, cronos e aiòn, era un cambiamento totale di prospettiva che si traduceva in una spiritualizzazione dell’esistenza umana: il passaggio dalla visione angusta ed egoica del Biòs a quella cosmica e universale della Zoì. Alla trasformazione del Bios in Zoì alludevano le due sentenze scolpite sul frontone del tempio di Apollo a Delfi: assieme al più celebre gnozi sautòn, “conosci te stesso”, c’era meden agàn, “nulla di troppo”. Aver introiettato la sentenza “nulla di troppo” significa aver compreso a fondo la legge dell’enantiodromia, che regola il rovesciarsi dei contrari l’uno nell’altro una volta toccato il limite posto al loro crescere e diminuire, l’alternarsi di luce e ombra, di caldo e freddo, di giorno e notte, il segreto del tempo ciclico e dell’armonia cosmica.

Chiediamoci ora: qual era il ruolo di Mercurio in questi viaggi dell’anima, durante questi “passaggi di stato”, nell’attraversamento di queste soglie?

Per cominciare vorrei soffermarmi su un aspetto particolare di Hermes-Mercurio, un aspetto che risulta visivamente evidente osservando il comportamento del metallo omonimo che corrisponde a questa divinità: gettando una goccia di mercurio a terra, essa si scompone in molteplici particelle, ma queste tendono poi a riavvicinarsi, ricostituendo l’unità primitiva.

Analogamente la funzione del dio messaggero Mercurio si espleta attraverso i simboli e le immagini, e si tratta sia di una azione sia orizzontale che verticale: egli riunisce ciò che è disperso, collega il cronos con l’aiòn, il tempo degli uomini con quello degli déi, il visibile con l’invisibile, l’immanente col trascendente.

Il simbolo, da sunballo, riunire, collega tra loro i frammenti dell’esperienza, conferisce loro un senso e una direzione, serve, come una bussola, ad orientare la consapevolezza nello sterminato mare dell’accadere e del tempo. Analogo è il ruolo dell’immaginazione attiva e delle immagini che Mercurio traghetta dal sogno alla veglia, dall’ombra dell’inconscio alla luce della coscienza. Alcune di queste immagini hanno addirittura il potere di guarirci, sono quelle immagini che hanno una valenza universale, legate alla Zoì più che al Bios.

Riassumendo, Mercurio aiutava i neofiti a conseguire i tre punti di cui abbiamo parlato, scopo ultimo delle iniziazioni, guidandoli nel loro viaggio con l’aiuto di immagini e simboli, che potremmo considerare come i calzari alati del dio.

Ciò detto dobbiamo ricordare che, riferendosi alle visioni e alle immagini profetiche che appaiono nei sogni, Omero parlava di due porte da cui esse scaturiscono, una di avorio e l’altra di corno. Dalla porta di avorio scaturivano le visioni e le immagini mendaci, frutto della fantasia, dei timori e delle speranze del sognatore, del suo Bios, da quella di corno quelle profetiche e sacre, destinate a guidare la sua vita. Scopo delle iniziazioni era proprio quello di fornire all’iniziato una seconda vista che gli permettesse di distinguere tra immagini fallaci e immagini rivelatrici, così come tra un uso saggio e consapevole dei simboli e uno meramente proiettivo e ossessivo, foriero di inflazione e di follia. Potremmo chiamare, con Hillman, l’acquisizione di questa capacità di visione e di discriminazione: “intelligenza del cuore”.

Torniamo ora al mondo moderno.

Narra Plutarco nel Tramonto degli oracoli che i sacerdoti del tempio sacro al dio Ammone custodivano un olio sacro che alimentava una lampada, un olio il cui tempo era solidale con il tempo degli dei. Ebbene, i sacerdoti avevano osservato che negli ultimi secoli la lampada ardeva e si consumava sempre più lentamente, il che significava, essendo il tempo della lampada immutabile, che il tempo umano, già a quell’epoca, scorreva sempre più velocemente. Questa visione del tempo sempre più veloce è perfettamente in accordo con la teoria indiana dei cicli cosmici, secondo la quale noi saremmo da tempo entrati nel kali yuga, caratterizzato da una sempre maggiore accelerazione del tempo e con l’analoga teoria di Esiodo delle cinque età dell’umanità, secondo la quale ci troveremmo attualmente nella vile età del ferro, in cui tutto fiorisce e perisce velocemente.

Nessuno può negare che la nostra epoca abbia esteso una illimitata brama di velocità a tutti i campi dell’esistenza.

Qualche esempio? Chi parte per un viaggio vuole, come si dice, ottimizzare il percorso e raggiungere quanto prima la mèta. A tale scopo abbiamo creato veicoli sempre più veloci, mentre lo spazio che separa due luoghi, il luogo di partenza e la mèta finale, ci appare sempre di più come un ostacolo da abbattere e da spazzare via il più rapidamente possibile. Ben diversa era la concezione che gli antichi avevano del viaggio: si sacrificava ad Hermes-Mercurio, dio delle strade, e il vero viaggio consisteva nell’attraversamento e non nel raggiungimento della mèta, nella trasformazione che il viaggio induceva nel viaggiatore e non nel poter annoverare un nuovo nome tra i luoghi visitati.

Analogo è il rapporto tra fine e mezzi, in fondo quando si insegue un obiettivo ciò che distingue veramente un uomo dall’altro non è la capacità di traguardare la mèta, ma l’eleganza e l’armonia delle azioni. Una rozza interpretazione dell’opera di Machiavelli induce invece spesso chi si occupa di politica ad interpretare il motto: “il fine giustifica i mezzi” come una esortazione a ritenere del tutto secondario il modo con cui si giunge a traguardare un certo obiettivo.

Se riflettiamo un attimo sulla natura profonda del mondo in cui viviamo ci accorgeremo che economisti, giornali e telegiornali dichiarano l’Italia sana o malata a seconda che il suo P.I.L. (prodotto interno lordo) cresca o diminuisca... cioè “sana” significa che i consumi crescono e che la gente è afferrata da un bisogno irrefrenabile di consumare e possedere sempre di più e sempre più in fretta, spendendo denaro che spesso non possiede e accumulando debiti. “Malata” significa, invece, il contrario.

Nella visione antica del commercio, un altro campo governato dal dio Mercurio, invece, ad ogni scambio dovevano prendere parte gli dei e possedere qualcosa significava anche stringere un patto con loro, per questo le facce delle monete antiche recavano spesso da un lato i simboli del potere temporale e dall’altro qualche dio o dea (ne parla ad esempio E. Zolla in Uscite dal mondo).L’ansia di velocità caratterizza poi l’informazione, un altro campo che i greci attribuivano a Mercurio, il messaggero per eccellenza. Onde elettromagnetiche e fibre ottiche trasmettono istantaneamente le informazioni da una parte all’altra del pianeta mediante internet, TV, radio, telefoni e computer. Ma la possibilità di trasportare istantaneamente l’informazione e di moltiplicare indefinitamente le immagini e i suoni (di eventi significativi, di opere d’arte, di creazioni culturali, di nuove idee) spesso significa banalizzare e trasformare in merce ciò che viene trasportato... così idee e creazioni culturali diventano mode passeggere e i fatti vengono estirpati dal contesto che li ha prodotti, giungono a noi attraverso la TV o internet e poi vengono velocemente dimenticati, la loro “aura”, come avrebbe detto Benjamin, si perde.

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Per curare le malattie (un altro campo sacro ad Hermes oltre che ad Esculapio) si utilizzano farmaci che aggrediscono l’organo malato senza alcun riguardo per l’integrità della persona che lo “ospita”. Anche in questo caso la preoccupazione è di eliminare il più velocemente possibile i sintomi patogeni senza una visione olistica, di insieme, del malato e dell’equilibrio tra il suo corpo e la sua psiche. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi all’infinito: i computer hanno reso velocissimi i processi logici di inferenza, e quasi istantaneo il percorso necessario per associare una informazione a un tema rilevante e ricordarla... ma i ricordi e le memorie richiamate nella Rete di internet non hanno un peso specifico e l’immensa biblioteca di Babele che può essere accumulata, con un semplice “click” su ogni argomento concepibile, assomiglia in modo inquietante allo sterminato sciocchezzaio messo insieme da Bouvard e Pecuchet, gli immortali personaggi di Flaubert, nel loro insensato tentativo di raccogliere e classificare tutto lo scibile umano. Ancora una volta mente e memoria riguardano proprio, oltre che Memnosine, un Mercurio “ammalato”.La necessità di produrre sempre di più e più velocemente a costi bassi ci ha fatto letteralmente dimenticare che una delle funzioni degli oggetti di uso comune, delle case, delle strade, era la loro bellezza. Inoltre oggetti e case fatti in serie ci vengono incontro non solo senza bellezza, ma anche senza storia e dunque senza anima. Per rendere le produzioni culturali, gli oggetti d’uso comune, gli eventi, le opere d’arte facilmente riproducibili o trasportabili se ne uccide l’hic et nunc, il qui ed ora, la loro storia e profondità simbolica, l’anima, il modo in cui ci vengono incontro e la loro unicità. Tutto diviene allora effimero, “usa e getta”, privo di sacralità e di aura.

Se ci fosse bisogno di un’ultima prova della malattia che affligge Mercurio, pensate alla morte e alla sua rimozione selvaggia nella nostra cultura... Il povero Mercurio, il cui compito principale era quello di psicopompo, guida delle anime nell’oltretomba, è ormai costretto ad indossare costantemente il mantello di Ade, che lo rende invisibile a tutti tranne che ai necrofori e agli impresari di pompe funebri. Il rito di passaggio, il funerale con cui accompagniamo i defunti alla loro ultima dimora, si è ridotto a una frettolosa cerimonia durante la quale tutti guardano l’orologio attendendo impazienti che il sacerdote pronunci l’ite, misa est liberatorio.

Qual è il comune denominatore di queste patologie della velocità? Si tratta della vittoria di un tempo esterno, dettato da tecnologie e orologi, da veicoli e da transistor, da copie infinite dell’originale e da onde elettromagnetiche e fibre ottiche, che si sovrappone al tempo interiore, che invece è dilatabile o restringibile a seconda delle esigenze dell’anima, come accade nei racconti di Borges e come accadeva nella vita dei nostri progenitori. Cosi nei miti indiani chi viene iniziato alla conoscenza di sé dal dio Vishnu, acquisisce la facoltà di vivere intere vite nel tempo necessario a un battere degli occhi. La psiche può diventare una lente di ingrandimento capace di dilatare a volontà piccoli segmenti di tempo o un cannocchiale rovesciato che riduce ad un istante lunghi tratti di vita. Il tempo interiore serve inoltre per attribuire un peso specifico alle cose che ci circondano: come la bilancia della dea egiziana Maat, pesa ogni evento, ogni piccolo dettaglio delle nostre vite, utilizzando il cuore come contrappeso.

Quale speranza ha l’uomo moderno, di acquisire la capacità di distinguere tra le immagini scaturite dalla porta di corno e quelle provenienti dalla porta di avorio? Quale speranza di utilizzare i simboli per “riunire ciò che è disperso” e non per inflazionare gli incubi e le paranoie dell’ego? Quale speranza di servirsi dell’intelligenza del cuore?

La speranza è ciò che nel mito resta in fondo al vaso di Pandora. Nessuno può togliercela.

Alessandro Orlandi

 

Grazie Alessandro, faremo tesoro di Mercurio

Valeria BM

Immagine | D'Aulaires' Book of Greek Myths Ingri and Edgar Parin D'Aulaire Doubleday, 1962

 

Note

[1] Ogni kalpa equivale ad un giorno nella vita del dio Brahma, creatore dell’Universo Sensibile, un’altro kalpa alla notte. Cento anni di Brahma, ossia 311.000 miliardi di anni solari, costituiscono la vita del Dio (cfr. M. Eliade Immagini e Simboli, cap. II, Milano, 1981; e H. Zimmer, Miti e Simboli dell’India, Torino 1993 - capp. 1 e 2).

[2] Nella teoria indiana dei kalpa ognuna delle quattro epoche in cui ciascun kalpasi suddivide segna la progressiva discesa dello spirito nella materia. La nostra epoca coinciderebbe con la fine del kali yuga. Tali cicli vengono paragonati al Grande Anno determinato dal periodo astronomico della precessione degli equinozi, cioè al cono descritto ogni 25.920 anni dall’asse terrestre. Per uno studio sulla simbologia ed i miti collegati al Grande Anno cfr. ad es. G. Santillana e H. Von Dechend, Il Mulino di Amleto, Milano 1983 e R. Guenon, Forme Tradizionali e Cicli Cosmici, Roma 1974. Anche l’antichità greco-latina conosceva cinque età (dell’Oro, dell’Argento, degli Eroi, del Rame e del Ferro, ciascuna caratterizzata da un processo di degradazione rispetto alla precedente (cfr. Esiodo, Le Opere e i Giorni).

[3] Op. cit., pag. 65-66.

[4] Cfr. K. Kerenyi, Dioniso, Introduzione.

 

 

 

 

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