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R_V.

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  1. Gentili esperti e utenti, Vi scrivo per esporvi un problema nella speranza di ricevere consiglio e supporto. Sono una donna prossima ai 30 anni e sto affrontando un momento molto delicato nel rapporto con il mio compagno e questo genera una grande quantità di sofferenza per entrambi. Il rapporto è ancora piuttosto acerbo: stiamo assieme da meno di un anno, ma è molto intenso, pieno di promesse e carico di aspettative da entrambe le parti. Già dalle prime settimane assieme ho avuto la percezione di questa grande intensità talvolta soverchiante rispetto alle mie possibilità di creare spazio per il rapporto. In breve tempo sono stata assorbita dalla relazione e dall'amore di lui tanto che all'inizio accusavo una sorta di ansia da separazione alla conclusione di ogni nostro incontro. Questa sensazione è fortunatamente sparita e ha fatto posto ad un sentimento molto bello e ricco sebbene complesso, almeno per me. Le difficoltà sono cominciate dopo pochi mesi assieme a causa delle nostre differenti prospettive riguardo al futuro. Lui vuole una famiglia e dei figli, mentre io non so ancora se voglio diventare madre. Il nostro confronto su queste differenze è stato per me assai violento. Durante la discussione ha detto di voler lasciarmi e di non voler avere più nulla a che fare con me. Lo ha detto con una violenza e un disprezzo tali che non ho mai sperimentato nella mia vita e in nessuna relazione. Mi sono trovata a supplicarlo di restare. Mi sono sentita umiliata e ferita e sebbene riconosca che lui possa essersi sentito frustrato nel suo desiderio di avere una famiglia ancora oggi non riesco a comprendere nè giustificare quella reazione. Da allora discutiamo ciclicamente e sento che il nostro rapporto alterna momenti di armonia e cura per l'altro a momenti di abbandono e svalutazione. Dopo quell'episodio ho comunicato chiaramente che non avrei più tollerato la minaccia dell'abbandono perché credo sia un espediente bieco e manipolatorio atto solo ad annullare l'altro. Mi ha ascoltata e si è scusato, ma ripetutamente mi fa notare tutte le mie piccole mancanze e meschinità mostrandosi infastidito e arrabbiato in una maniera per me sproporzionata rispetto agli eventi. Quando questo accade mi rendo conto di mettermi sulla difensiva e chiudermi per proteggere la mia individualità che sento attaccata e comprendo come questo mio atteggiamento alimenti le tensioni. Mi sembra poco tollerante alla frustrazione e poco disponibile alle diversità dell'altro. Sento di aver assunto un atteggiamento ipervigilante e dimesso per il quale sto appiattendomi nella speranza di non provocarlo e farlo scattare. So che si tratta di una dinamica di coppia e so di avere le mie responsabilità. Lui è un uomo altrimenti gentile, dolce, premuroso e disponibile all'ascolto. Da alcuni giorni gli ho fatto presente il mio disagio con l'intenzione di lavorare assieme ad una soluzione e lui si è intristito molto. Dice di provare una grande sofferenza perché desidera rendermi felice. Spero di aver restituito un quadro chiaro sebbene incompleto della situazione. Mi rendo conto che sto raccontando le cose solo dalla mia prospettiva, ma vorrei chiedere un vostro parere rispetto ai problemi che ho descritto. Pensate possa trattarsi di lotte di potere, incompatibilità, rigidità reciproca rispetto alle diversità dell'altro o di dinamiche disfunzionali? Tengo a questo rapporto e il mio amore per lui è sincero così come il suo per me, ma temo ci siamo invischiati in dinamiche nocive. Grazie dell'attenzione e a chi tra voi risponderà.
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