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medime

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  1. Il confronto con mia madre io l'ho sempre cercato, con le parole ho provato a far apparire un mio punto di vista veicolo della mia identità. UN MURO. Le parole per lei non sono mai esistite, se non in senso univoco. Anzi i suoi peggiori scatti d'ira spesso sono nati proprio dal mio insistere sull'affermazione delle mie idee. Quando una persona vede una continua negazione dall'altra parte, alla fine il confronto però neanche lo cerca più e questo è successo a me. Ed è stato un bene perchè davanti all'inerme silenzio ho preso la forza di riappropriarmi di me. Vittima lo sono stata perchè dovevo esserlo, a chi mi sarei dovuta rivolgere ? Ad un padre assente, che vedevo solo a cena intento a cambiare freneticamente canale, che non voleva sentire volare una mosca perchè era sempre stanco? Ho aspettato di crescere e mi sono rivolta a me stessa. ME NE SONO ANDATA VIA IL PRIMA POSSIBILE. Quando la volontà è coincisa anche con la possibilità di affrancarsi in forza di legge. RAGGIUNTA LA MAGGIORE ETA' ( in realtà avevo 19/20 anni) Dove è la vittima? Dove è l'atteggiamento vittimista? Forse nella scrittura di questo post che vuole essere una postdata via di sfogo, via di sfogo non trovata magari al momento più necessario? Un post appunto, in cui qualcuno vede momenti lacunosi.....è ovvio non è il mio storico flusso di coscienza, non è esaustivo racconto della mia vita, ma è cartina di tornasole del mio stato d'animo e delle vicende di fondo. Gli episodi riportati sono fedeli ed essenziali, se sono banalmante da manuale non è colpa mia. Nello e per questo vorrai scusami. Magari adesso scriverai che potevo chiedere a mia madre, almeno, di trattarmi male in maniera più creativa.
  2. Prima di dare ulteriori particolari sulla mia attuale situazione, vorrei ringraziarvi per le vostre parole. Io mi sono allontanata dalla mia famiglia all'età di 20 anni per motivi inizialmente di studio. Dato il fatto che non riuscivo a vivere in condizioni dignitose con i soldi che mi davano (spesso non mi bastavano per le semplici fotocopie e, ripeto, provengo da una famiglia che non ha mai avuto problemi economici), ho deciso di iniziare a lavorare in contemporanea agli studi. Ovviamente ho fatto lavori molto umili che però mi permettevano comunque di ricavare quel senso di appagamento che tipicamente si ricava dal vedere che si riesce con le proprie mani a migliorare uno stato di disagio. Non si sono mai opposti al fatto che lavorassi, ma questo poichè mi hanno inculcato fin da piccola un senso del dovere smisurato, tant'è che dall'età dei 16anni ho lavorato durante le vacanze estive in fabbrica " perchè le vacanze scolastiche sono troppo lunghe e perdi solo tempo". Ho dovuto però mentire sul ritmo degli esami sostenuti, non potevo dire che non riuscivo a lavorare e studiare insieme "perchè tanti lo fanno" finchè un giorno ho preso coraggio e con la mia media del 29 ad Economia, non apprezzata realmente poichè mal soppesata da genitori che non hanno la laurea, e un normale ritardo negli studi, data la condizione di studente-lavoratore che vivevo, ho cominciato a cercare prospettive di futuro migliori. Ho deciso di trasferirmi a Milano ( 450 km da casa) dove sono riuscita ad entrare in una multinazionale che è il sogno, come punto di attracco, per molti neolaureati. La scenata che c'è stata alla mia decisione di trasferirmi ve la risparmio, vi dico solo che mia madre se ne è uscita con questa frase piena di disprezzo " a Milano finirai per fare la puttana ". Ho cominciato a Milano a capire che effettivamente valevo qualcosa, a capire che anch'io potevo dire "io farei così" e sentirmi al contempo ascoltata. Ho un lavoro bellissimo che mai avrei pensato di poter avere, conquistato proprio grazie al mio percorso accademico considerato, nonostante il ritardo, brillante. Ma nonostante questo mi manca un tassello. Mi manca il periodo più bello e mi manca l'affetto consolante più bello; mi manca il fatto di sapere di avere un punto nel quale ritornare, mi mancano le radici. E tutto questo mi fa male, perchè ho come la sensazione di aver cominciato a vivere solo dopo i 25 anni ......
  3. Ciao, sono qui con la speranza di ricevere parole che rendano meno sanguinanti delle ferite che mi porto dentro da tempo. Sono stata "educata" con la forza della paura da una madre che al posto delle parole ha sempre usato solo insulti e punizioni corporali pesantissimeie denigranti. Oggi ho 28 anni, me ne sono andata di casa, ma sento che il dolore e l'umiliazione che mi porto dentro non svaniranno mai. Ogni volta che penso alle cose che mi sono successe, ho la sensazione che il respiro si fermi e le lacrime cominciano a riempirmi gli occhi. Ho passato un'infanzia monopolizzata dalla voglia di mia madre di avere una figlia che doveva essere la prima in tutto. Mia madre mi ha insegnato a leggere e scrivere ancor prima di andare alle elementari, tenendomi interi pomeriggi, quando avevo 4 anni, a scrivere quaderni su quaderni con le lettere del'alfabeto, in una grafia che, se non rasentava la perfezione, era accompagnata da sue crisi di rabbia che si tramutavano poi in violenza. E ancora oggi ho chiara l'immagine dei suoi occhi pieni di cattiveria e della sua smorfia sul viso, quando usava quei quaderni come oggetto con il quale colpirmi in faccia con violenza tenendomi strette le mani affinchè non mi riparassi. Ho passato praticamente quasi tutti i miei pomeriggi fino all'adolescenza chiusa in camera a studiare. lo studio che mi affascinava e che al contempo mi proteggeva, sottraendomi alla sua presenza. Ma con l'adolescenza sono arrivati altri problemi dettati dal vedere una figlia che diventa grande. Ed è così nato un sentimento d'individia che ha portato mia madre a denigrare il mio aspetto fisico ad insultarmi , a picchiarmi (anche per una forchetta caduta a terra) e a proibirmi praticamente di uscire . Ma l'umiliazione più grande è arrivata con i 18 anni, anni questi che segnano il primo periodo di spensieratezza. Mi innamorai di un ragazzo il quale, messo a conoscenza della situazione che vivevo, accettò, di conoscere i miei affinchè io ottenessi un po' di libertà. La storia finì dopo un anno. Dopo la fine della storia mia madre, del tutto irrispettosa del dolore che provavo per l'interruzione di un'amore, mi fece una scenata che sfociò in un attaccodi violenza che mi portò anche all'ospedale per dei punti di sutura. Questo poichè le avevo tolto l'occasione di non vedermi più a casa. In poche parole sperava che il primo ragazzo della mia vita mi portasse al'altare e quindi presto lontana da quelle 4 mura, tra le quali, evidentemente, ero di troppo. L'occasione di andarmene via da quella casa, arrivò lo stesso quell'anno: vinsi una borsa di studio per merito in un'università privata fuori regione. Non mi mandarono, non mi avrebbero pagato il costo della vita lì perchè "non sei stata capace di gestirti la vita privata, figurati se sei capace di vivere in un'altra città". Così mi hanno iscritto in un piccolo ateneo della mia regione: ogni mese mi davano 50 euro per le mie spese e non perchè le condizioni reddituali fossero basse, anzi, ma perchè io "non mi meritavo niente". Dopo un anno non ce l'ho fatta più, mi sono rimboccata le maniche e ho cominciato anche a lavorare. Questa è in sintesi la mia storia. Ora il fatto è che quello che ho vissuto mi ha solcato in maniera indelebile; non mi fido delle persone e faccio fatica a legarmi a qualcuno, sono troppo schietta e verbalmente aggressiva per pura difesa, spesso non necessaria. Vorrei liberarmi di questo peso ed essere finalmente serena........penso di meritarlo. Grazie per le parole che vorrete spendere, Mia
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