Salve a tutti:
vi scrivo perché in questi piú che mai sono stanco di starmene solo e non mi si venga a dire che la solitudine è una condizione di liberta (quoto un forum che mi ha dato l’idea di scrivervi). Comunque, a dire il vero sono ancora più stanco di sentirmi paralizzato, incapace di reagire e d’altronde, mi dico sempre, cosa potrei fare?
Non si pensi che sia il tipo depresso da piagnistei o da cappio al collo! Assolutamente nulla di tutto questo. Al contrario sono un tipo dalle idee chiare, gioviale e cortese. Esercito un lavoro di notevole responsabilità con gli adolescenti che credo di svolgere al meglio e so pure di essere stimato.
Ma quando torno a casa, quando giungono i fine settimana o i periodi di ferie allora tutto cambia, allora è il vuoto. Allora è il chiedersi “che senso ha essere soli, per essere sempre più soli”.
Non ho mai capito perché non sia mai riuscito a crearmi una rete di amicizie. Forse perché l’amicizie sono cose da ventenni, mentre quando uno arriva ai quarantacinque come il sottoscritto, tutto cambia perché, suppongo, sarebbe ovvio avere una realtà più solida, come potrebbe essere una famiglia propria. Una famiglia che non c’è e non ci sarà mai nonostante il desiderio devastante di paternità.
Sono omosessuale e avrei tanto voluto vivere normalmente la mia affettività senza scendere a compromessi con stili di vita gaya, senza ghettizzarsi in locali e spiagge. Non sono affatto un timido e anni orsono mi ero anche impegnato nel tessere contati ma alla fine tutto è stato frustrante. Ovviamente conosco altre persone come me ma sento sempre più un abisso tra me e loro. A volte, analizzando la situazione, ho supposto di avere “la colpa” di far parte di quelle persone normali, con senso di responsabilità, dotati di un po’ di cultura, amanti di una vita discreta e come se non bastasse “sprofondati” in un mondo provinciale dove l’impressione è quella che non succeda assolutamente nulla.
D'altronde le tante vicissitudini di questi anni e che sono state proprio tante, (la fatica con gli studi ed il precariato, la sofferenza e morte del padre, il suo perpetuo disprezzo nei miei confronti fino a diseredarmi, la penose difficoltà economiche, la malattia ect ect) mi hanno riempito di tanta amarezza e di disincanto.
Per farla breve, ho alle spalle una lunga storia di fatica di ogni genere, di attese di qualcosa di bello, di desiderio di qualità nei rapporti, di fame di famiglia… e poi invece ci si ritrova qui a guardarsi la vita con le mani vuote, ad avere fame di una parola buona.
Forse questo è soltanto uno sfogo che non so dove possa portare, ma comunque grazie col cuore se qualcuno mi dedica qualche minuto nel leggere queste righe.
Manuel