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Neena

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  1. Uh, il Passo Rolle... Da qualche parte devo avere ancora la mia picozza su cui facevamo imbullonare (?) delle tacche in ferro a ricordo dei vari passi e rifugi che visitavamo.. Va beh, dai... tu col calcio, io con le Dolomiti... almeno il 3d e l'off topic ci sono serviti a tornare gggiovani per un po'.... altro che crescita! :-))
  2. Monte Rosetta e Cima Rosetta sono la stessa cosa.. o no? Comunque siamo stati un po' ovunque, ma San Martino di Castrozza è stato il paese dove siamo tornati più spesso. (ma qui non esistono moderatori che richiamano al in topic??? )
  3. Ma dai! Pensa che ho trascorso sulle Dolomiti tutte le mie vacanze estive dai 7 ai 13 anni... Quando poi ho cercato di lanciarmi giù dal Rosetta i miei hanno capito che era ora di lasciarmi a casa se mi volevano ancora viva... (Scherzo comunque!! Sono bellissimi posti, davvero! Forse parlare con leggerezza di suicidi non è molto corretto in un forum di psicologia.. Chiedo scusa.)
  4. Grazie e scusa per l'indiscrezione! Ho visto i tuoi tanti messaggi e ho pensato fossi "del settore" ..
  5. Diciamo che il piccolo punta all'eclettismo musicale... Per il tragitto casa-scuola del mattino mi tocca sparare i Club Dogo a volume 32...!! P.S. Nemmeno io credo sia una menata.. Se il mio compito è anche dare equilibrio, ho bisogno di un centro su cui bilanciarmi. E porsi delle domande può essere un modo per uscire dall'incertezza e trovarlo. Ma tu sei psicologo?
  6. Intanto grazie ad entrambi per le risposte. Grazie Girl, perché è vero che i compagni a volte possono essere molto feroci, soprattutto quando percepiscono la debolezza dell'altro.. E infatti lo chiamano sempre per ultimo quando l'allenatore lascia la formazione della squadra a due capitani scelti fra i ragazzini (non specifico che a mio figlio questo compito non è mai toccato...). E grazie Ste. Concordo su molto di ciò che dici. L'ambiente conta. Giocare conta. Contano le persone con cui ti confronti, quelli che chiami compagni o avversari. Quelli che sugli spalti ti applaudono e anche quelli che ti urlano “piedi a banana” e sghignazzano. Conta perché così si cresce sportivamente. Con la possibilità di praticarlo, quello sport che ami tanto.. Oltretutto ho avuto l'esperienza della figlia più grande: pallavolista in una squadra di periferia, è stata convocata dalla societa più titolata della nostra città perché i tecnici l'avevano notata in una partita. Dopo qualche momento di comprensibile indecisione (grazie ad allenatori più qualificati la crescita a livello tecnico sarebbe stata notevolissima), ha scelto di restare con le sue vecchie compagne. Il rischio era quello di trovarsi a fare sempre del turn-over perché la nuova squadra contava circa una ventina di ragazze disponibili per le partite (6 in campo, 6 in panchina e 7/8 in tribuna...). Poche, invece, le compagne di mia figlia: c'era penuria di pallavoliste disposte a non avere la tuta nuova ogni anno o il pulmino a disposizione per recarsi in palestra. E proprio grazie a questo lei ha potuto giocare da titolare in tutti i campionati under 13/16/18 ed è arrivata, a 15 anni, in prima divisione. Ma vi è riuscita perché un ambiente meno competitivo le ha permesso di acquisire fiducia in se' stessa, perché giocando ogni partita ha imparato a gestire lo stress da gara e, soprattutto, si è divertita tantissimo. Ecco, per mio figlio speravo in un percorso similare. Probabilmente abbiamo sbagliato noi a scegliere la società. O, forse, è l'ambiente sportivo in generale a mostrare così poca attenzione all'aspetto psicologico dell'attività sportiva dei bambini? Oggi comunque ne abbiamo parlato. In auto, tornando dalla spiaggia, con lui che un po' mi rispondeva e un po' canticchiava Eye in the Sky insieme agli Alan Parson Project. Gli ho se fosse felice di giocare in quella squadra, se voleva che parlassi con l'allenatore riguardo alle sue scelte, ma mi ha pregato di non farlo. Ha detto che è contento, che per lui va bene, che per lui non è così importante come lo è per me...(!!). E, in sostanza, non vuole sollevare polveroni. Per questo ho deciso di lavorare su me stessa. Provando ad accettare la sua accettazione. Rassegnandomi a quella che (a me) sembra la sua rassegnazione. Attenderò, se verranno, segnali più importanti per chiedere un colloquio o per imporre un cambiamento radicale. (Una curiosità: ma anche a voi, la mia, sembra sostanzialmente una grossa pipp@ mentale come sostiene, carinamente, il mio gentile consorte??? )
  7. Buongiorno. Scrivo qui perché vivo una situazione che, emotivamente, faccio fatica a sopportare e vorrei uno sguardo "esterno" che mi aiuti, oltre a fare chiarezza, a dare dei confini obiettivi entro cui contenere la mia preoccupazione. Mio figlio, 9 anni, è inserito da due anni in una scuola calcio. AMA il calcio, non vede l'ora di andare agli allenamenti, ma non riesce un granché... In campo appare goffo, insicuro, sbaglia - è un difensore e i suoi retro-passaggi al portiere sono un brivido ogni volta – e sembra temere la palla: appena gli arriva fra i piedi tende a passarla subito, come se bruciasse, come se, appunto, avesse tanta paura di sbagliare.. Vedo bene qual è il suo rendimento e non posso certo biasimare le scelte dell'allenatore che tende a lasciarlo in panchina, o a farlo giocare solo qualche minuto, durante le gare ufficiali. Il fatto è che anche durante gli allenamenti, quando si organizza la partitella fra compagni, le squadre sono spesso completamente disequilibrate: da una parte tutti i forti (cioè coloro che effettivamente giocheranno la partita di campionato), dall'altra i più deboli (cioè le riserve) che, inevitabilmente, perdono e tornano a casa, ogni volta, sconfitti. Mio figlio ha imparato molto bene cosa significhi perdere: sembra quasi non farci più caso, non protesta per le scelte del mister, accetta a testa china e guarda di sottecchi i compagni esultare per l'ennesimo goal. Io mi, e vi, chiedo: dovrei fare pressioni perché, qualche volta, gli si insegni ANCHE cosa vuol dire vincere, magari inserendolo nel gruppo dei più forti durante le partitelle? E' corretto pensare che lasciandolo sempre fra quelli meno bravi si instaurino pericolose dinamiche di abbassamento dell'autostima? E quanto è giusto che un genitore vada ad interferire con il lavoro di un allenatore che, pur svolgendo tutt'altra professione, ci mette comunque tutto l'impegno e la passione possibili per gestire al meglio una squadra di ragazzini? Non sono certo una madre isterica che vorrebbe il figlio in prima squadra o sempre vittorioso: conosco il valore di una sconfitta e, soprattutto, credo di conoscere i limiti di mio figlio: anche se cerco sempre di incoraggiarne i miglioramenti piuttosto che i risultati, so che se andrà avanti nel voler giocare a calcio verrà, prima o poi inevitabilmente escluso dalle rose dei più forti. Allora come comportarmi ora? Rendermi trasparente e lasciarlo nel, probabile, disagio di sentirsi un perdente, tanto prima o poi farà i conti con la realtà o provare a parlare con l'allenatore (anche se mi sentirei terribilmente cretina nel farlo!!) ed esporgli le mie preoccupazioni per l'impatto psicologico che questa condotta può avere sul bambino? Concludo dicendo che ho provato a consigliare a mio figlio altri sport, nel desiderio di fargli trovare la strada più giusta per il suo benessere, ma mi ha rifiutato qualunque altra proposta sostenendo che “io voglio giocare solo a calcio”.. Spero che l'esperienza di qualcuno possa aiutarmi a gestire al meglio non soltanto la situazione di mio figlio nel concreto, quanto il mio modo di approcciarmi al problema. Grazie per avermi letta. Nina
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