Buongiorno.
Scrivo qui perché vivo una situazione che, emotivamente, faccio fatica a sopportare e vorrei uno sguardo "esterno" che mi aiuti, oltre a fare chiarezza, a dare dei confini obiettivi entro cui contenere la mia preoccupazione.
Mio figlio, 9 anni, è inserito da due anni in una scuola calcio.
AMA il calcio, non vede l'ora di andare agli allenamenti, ma non riesce un granché...
In campo appare goffo, insicuro, sbaglia - è un difensore e i suoi retro-passaggi al portiere sono un brivido ogni volta – e sembra temere la palla: appena gli arriva fra i piedi tende a passarla subito, come se bruciasse, come se, appunto, avesse tanta paura di sbagliare..
Vedo bene qual è il suo rendimento e non posso certo biasimare le scelte dell'allenatore che tende a lasciarlo in panchina, o a farlo giocare solo qualche minuto, durante le gare ufficiali.
Il fatto è che anche durante gli allenamenti, quando si organizza la partitella fra compagni, le squadre sono spesso completamente disequilibrate: da una parte tutti i forti (cioè coloro che effettivamente giocheranno la partita di campionato), dall'altra i più deboli (cioè le riserve) che, inevitabilmente, perdono e tornano a casa, ogni volta, sconfitti.
Mio figlio ha imparato molto bene cosa significhi perdere: sembra quasi non farci più caso, non protesta per le scelte del mister, accetta a testa china e guarda di sottecchi i compagni esultare per l'ennesimo goal.
Io mi, e vi, chiedo: dovrei fare pressioni perché, qualche volta, gli si insegni ANCHE cosa vuol dire vincere, magari inserendolo nel gruppo dei più forti durante le partitelle?
E' corretto pensare che lasciandolo sempre fra quelli meno bravi si instaurino pericolose dinamiche di abbassamento dell'autostima?
E quanto è giusto che un genitore vada ad interferire con il lavoro di un allenatore che, pur svolgendo tutt'altra professione, ci mette comunque tutto l'impegno e la passione possibili per gestire al meglio una squadra di ragazzini?
Non sono certo una madre isterica che vorrebbe il figlio in prima squadra o sempre vittorioso: conosco il valore di una sconfitta e, soprattutto, credo di conoscere i limiti di mio figlio: anche se cerco sempre di incoraggiarne i miglioramenti piuttosto che i risultati, so che se andrà avanti nel voler giocare a calcio verrà, prima o poi inevitabilmente escluso dalle rose dei più forti.
Allora come comportarmi ora?
Rendermi trasparente e lasciarlo nel, probabile, disagio di sentirsi un perdente, tanto prima o poi farà i conti con la realtà o provare a parlare con l'allenatore (anche se mi sentirei terribilmente cretina nel farlo!!) ed esporgli le mie preoccupazioni per l'impatto psicologico che questa condotta può avere sul bambino?
Concludo dicendo che ho provato a consigliare a mio figlio altri sport, nel desiderio di fargli trovare la strada più giusta per il suo benessere, ma mi ha rifiutato qualunque altra proposta sostenendo che “io voglio giocare solo a calcio”..
Spero che l'esperienza di qualcuno possa aiutarmi a gestire al meglio non soltanto la situazione di mio figlio nel concreto, quanto il mio modo di approcciarmi al problema.
Grazie per avermi letta.
Nina