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Indecisione

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  1. Grazie Lis, ci provero', mi sono data un altro po' di tempo per riesaminare la situazione, prima di decidere, anche se ho tentato gia' tante strategie di resistenza. La prima impressione non era stata buona (parliamo proprio dei primi giorni), ma durante i successivi mesi l'ho 'denegato' a me stessa, perche' ero consapevole che gli ambienti di lavoro precedenti erano stati fin troppo positivi e che fosse normale incontrare ogni tanto delle difficolta', Pero', con il passare del tempo e con il restringersi delle possibilita' di lavorare, nel senso vero e proprio del termine, la situazione si e' fatta sempre piu' pesante. Ho cominciato a reagire dicendo dei no secchi, ma educati alle richieste piu' assurde e a ridurre gli impegni di PR fuori orario, in modo da avere sufficiente tempo libero. Inoltre, mi sono confrontata con altre persone che conosco bene e che hanno vissuto problemi simili. Sentirle di tanto in tanto un po' aiuta, anche se e' uno sfogo reciproco e non riusciamo a trovare soluzioni di vita o strategie per cambiare le nostre situazioni. Non conoscendo bene i dintorni della nuova citta', ho anche chiesto delle ferie per fare viaggi nei dintorni o per tornare nella mia citta' di origine e ho intensificato le attivita' nel tempo libero e nella pausa pranzo. Pero', al rientro, tutto daccapo... Poi sono emersi problemi con alcuni dipendenti (una persona si e' licenziata per motivi personali, altre hanno avuto gravi problemi di salute non direttamente connessi con l'atmosfera... ) e ho cercato di dedicare del tempo a fare da cuscinetto, ad ascoltarli ed aiutarli. Ma la matassa non si sbroglia e sono persone in posizioni molto piu' deboli della mia che non riconoscono, non vogliono o non possono denunciare la situazione (contratti a tempo, part-time, necessita' di conservare l'impiego perche' hanno figli piccoli ecc.). Di recente, ho cercato di distaccarmi il piu' possibile e pur stando meglio nel complesso, mi pesa... il vuoto del non potermi applicare normalmente. Questo tipo di gestione distrugge, letteralmente 'fa a pezzi' il lavoro a progetto e l'autonomia dei dipendenti, per cui non riesco a trovare un'attivita' sufficientemente intensa e continuativa, adeguata alla mia preparazione e alla mia esperienza, che mi consenta di riempire di senso le ore di lavoro. Ho cercato perfino di studiare piu' a fondo normative e materiali aziendali, ma anche questo non e' sufficiente. L'unico modo sarebbe iniziare con delle idee nuove, ma all'ombra, in nome e per conto della persona responsabile e sempre senza autonomia nelle decisioni strategiche. Per cui, mi limito a coordinare i collaboratori nell'ordinaria amministrazione e a svolgere attivita' di routine. Ad ogni modo, provero' ancora per qualche mese a vedere se e' possibile chiudere un occhio, sperando in tempi migliori. Grazie per avermi ascoltato e consigliato, Indecisione
  2. Grazie per le risposte! Lis, hai ben compreso che il problema, il punto non chiaro per cui non ho ancora deciso è proprio questo: posso resistere o rischio di intristirmi troppo? Per ora, la situazione ha un impatto solo emotivo (rabbia che non è possibile sfogare, perché rischierei di essere trasferita con demerito, oppure tristezza, per aver perso l'ambiente gratificante dell'altro ufficio) e non ho stanchezza eccessiva, né disturbi di salute. Ma chi può dire alla lunga cosa succederà? Quanto alla palestra emotiva... Lo pensavo e lo penso anch'io, ma... Oddio, non vorrei ritrovarmi in futuro in una situazione così! Oltre ai motivi già esposti, sono indecisa anche perché, forse non sarebbe tanto un danno alla carriera, quanto economico. In questa posizione e solo per gli assegnati ad altra sede, lo stipendio è più alto e mi permetterebbe di realizzare altri progetti personali, se resistessi. Refuge, anch'io avevo sospettato che fosse una forma di mobbing/bossing, ma non ho postato in quel forum perché non intendo iniziare un'azione antimobbing. Non è assolutamente facile acquisire prove, trattandosi di comportamenti e soprattutto, l'azienda è gestita in modo molto arbitrario e corrotto, per cui non ho intenzione di fare una battaglia contro i vertici, sarei sola contro tutti e a quel punto, rischierei veramente non solo l'incarico. Non ne vale la pena, allontanandosi dal vertice clientelare, ci sono responsabili operativi onesti e compiti più tecnici in cui potrei tornare a lavorare meglio. Per quanto riguarda la tua domanda, per fortuna il malessere è solo di lavoro: i miei genitori mi hanno già dato lo stesso consiglio che mi avete dato voi, ma essendo di parte... Volevo un parere esterno. Il mio compagno mi sostiene e mi spinge a minimizzare per un futuro migliore. Però al lavoro passo tante ore, direi gran parte della giornata e a volte, quando torno, con loro e con gli amici sono intrattabile e non ho la pazienza di ascoltare i loro problemi o l'entusiasmo per le cose che vorrebbero condividere con me. Inutile ripetere che nell'altra sede non mi succedeva. Chiudo con una domanda: che cosa potrei fare per passare meglio le ore in ufficio? Su che cosa potrei concentrarmi per non sentire il malessere? Sto cercando di ridurre al minimo i contatti con la persona responsabile, di dedicare più tempo ai collaboratori e ai clienti e di ridurre anche l'orario al minimo indispensabile, aumentando le occasioni di svago, ma non basta. Grazie ancora e buona giornata a voi. Indecisione
  3. Buongiorno a tutti, vorrei confrontarmi con voi per decidere se resistere fino al termine naturale dell'attuale incarico di lavoro in un'altra citta' o chiedere di tornare in anticipo, in quanto non mi trovo per niente bene nell'ambiente in cui opero da circa un anno e mezzo. Lavoro in questa societa' da piu' di 10 anni e ho operato in varie divisioni, trovandomi sempre bene. Ovviamente, attivita', persone e contesti erano di volta in volta piu' o meno positivi, ma nel complesso, i pro compensavano sempre i contro: ho avuto la possibilita' di imparare cose nuove, di mettermi alla prova o di creare buone relazioni con i colleghi. Percio', avevo accettato con molto ottimismo e curiosita' questa nuova posizione, la prima che mi avrebbe portato in una nuova citta'. Il trasferimento, dal punto di vista pratico ed emotivo, e' stato facile e rapido e la nuova sistemazione mi piace, come anche la vita quotidiana nella nuova citta'. Quello che invece fin dai primi mesi (forse addirittura giorni?) mi ha fatto star male e' l'ufficio distaccato in cui opero. Si tratta della stessa societa', ma di un ambiente molto piu' piccolo (meno di 20 dipendenti) di quello in cui ho sempre lavorato nella mia citta' (piu' di 100 dipendenti), in cui regna un'atmosfera autoritaria ed insensibile nella gestione del personale e allo stesso tempo, sciatta e superficiale nei contenuti. In questo contesto, io sono uno dei quadri, subito dopo la persona responsabile dell'ufficio, che e' alle soglie della pensione, sgarbata nei modi, poco competente e poco brillante a livello professionale, con una mentalita' molto rigida e chiusa. Il malessere lo provano piu' o meno tutti, quadri, dipendenti, segretari, ausiliari ecc., nonche' gran parte dei colleghi che si trovano negli altri uffici e hanno rapporti con noi. Tuttavia, non c'e' nessun controllo effettivo da parte della direzione centrale sugli uffici periferici e l'azienda stessa e' gestita in modo molto clientelare e paternalistico, da persone amiche di vecchia data dell'attuale responsabile, per cui sarebbe veramente molto difficile esporre la situazione ed attivare i meccanismi di tutela - che purtroppo esistono solo sulla carta - per un miglioramento delle condizioni di lavoro. Si vive male, ma non ci sono fatti concreti e dimostrabili che potrebbero essere utilizzati a questo scopo. Si tratta di un malessere che deriva dal carattere della persona responsabile. A parte la maleducazione nel rivolgersi ai collaboratori e agli esterni che non siano clienti (ad esempio, rispondere al lei con il tu, senza autorizzarne l'uso nei suoi confronti, dare ordini senza dire per favore o grazie, utilizzare un linguaggio volgare nelle riunioni interne e cosi' via), la persona responsabile usa un criterio strumentale nel gestire il personale, come risorsa, appunto, da utilizzare in base al contributo che puo' dare al fatturato e alle vendite. Le attivita' sono accentrate, spezzettate e non condivise con la struttura. Ad esempio, la gestione iniziale dei progetti viene seguita direttamente dalla persona responsabile, usando rapporti, analisi e testi scritti da quadri e dipendenti, di cui si appropria, senza citarne il nome nella corrispondenza e senza metterli in copia visibile. Inoltre, la gestione delle attivita' e' disordinata e spesso mancano dei pezzi, perche' non veniamo messi in copia nascosta o non ci viene inoltrata la corrispondenza, oppure non veniamo coinvolti nelle riunioni. Il personale viene interpellato solo quando l'attivita' diventa tecnica, contabile o organizzativa. Nelle decisioni strategiche, i quadri sono coinvolti solo per leggere, riassumere ed interpretare le richieste che vengono rivolte all'ufficio, perche' la persona responsabile non ha la pazienza di leggere o la competenza per analizzare. In questo contesto, non mi e' piu' possibile svolgere il lavoro di project manager che avevo prima nell'altra sede, ne' proporre e portare avanti nuove attivita' (non potrei condurle in modo autonomo, come nell'altra sede, perche' interferirebbe nella gestione, oppure si approprierebbe del progetto, inviandolo di nascosto, senza mettermi in copia, in sede), ne' gestire il personale che mi viene assegnato. Quindi, coordino attivita' di minore importanza, perche' nel momento delle decisioni se ne riappropria, dopo mesi di ordinaria amministrazione di cui non si interessa; svolgo lavori residuali e parcellizzati; intervengo ad eventi esterni con la funzione di tappa-buchi, quando la persona responsabile non vuole andare, spesso senza preavviso. Per le ragioni sopra esposte, questa situazione non e' reversibile, perche' con la persona responsabile non si puo' neanche parlare, non e' interessata ad acquisire un consenso, sa di avere un potere assoluto, dato dalla sede centrale e si preoccupa solo che si obbedisca agli ordini e che si ottenga il risultato di fatturato e di vendite che la sede ha stabilito, unica condizione per mantenere la poltrona. La struttura non ha meccanismi sindacali (basta dire che la persona responsabile fa parte del sindacato... ) e di controllo efficaci e una mia eventuale esposizione di questo malessere andrebbe solo a mio danno o richiederebbe l'intervento di un avvocato, costosissimo e di esito incerto. Per cui, fino ad ora sono rimasta tranquilla, cercando di ritagliarmi uno spazio e di valorizzare il rapporto con i miei collaboratori. Tuttavia, non riesco a minimizzare l'impatto di questa situazione, poiche' il lavoro occupa gran parte della giornata e ho sempre piu' spesso crisi di pianto quando sono sola a casa. Abitualmente, quando mi alzo la mattina o nel weekend, durante le vacanze in questa regione o i rientri nella mia citta' di origine, sono una persona serena e ottimista e in passato, ho sempre avuto la forza di reagire alle difficolta', non solo lavorative. Tuttavia, questa volta non vedo proprio via d'uscita, se non chiedere il trasferimento. Sono quasi decisa a farlo, ma il mio timore e' di poter compromettere, almeno nel breve periodo, il mio sviluppo professionale. Infatti, solo 1/5 del personale viene assegnato nella mia posizione e portare a termine l'incarico mi aiuterebbe ad avere un'assegnazione migliore anche al mio ritorno in sede, valorizzando il lavoro intenso che ho svolto con passione nei precedenti anni di attivita'. Viceversa, tornando prima del tempo (fortunatamente, non e' necessario dettagliare le ragioni, basta chiedere di tornare per motivi personali o familiari generici), cioe' dopo massimo due anni, non posso sapere quale assegnazione avrei nella mia citta' e soprattutto, passerebbero degli anni prima che la vicenda venga dimenticata ed io possa essere nuovamente assegnata ad un ufficio periferico. Al momento, in realta', non mi interessa fare un'esperienza analoga a questa, ma non si puo' mai sapere... Chiedo quindi il vostro consiglio per capire se e' meglio farmi forza, minimizzare e cercare di resistere fino al termine naturale dell'incarico, per non "farmi notare" (al momento, pero', anche solo un anno in piu' mi sembra una distanza enorme da percorrere... ), oppure se tornare in anticipo nella vecchia sede, dove sento di avere piu' probabilita' di tornare ad avere una vita lavorativa serena e normale. Vi ringrazio in anticipo per i consigli che vorrete darmi, ho veramente bisogno di un parere esterno per decidere al riguardo. Indecisione
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