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Margherita76

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messaggi di Margherita76

  1. Ciao sono un ragazzo di 32 anni di Bari,soffro da circa 5 anni di attacchi di panico e ansia, sono andato due anni fa da uno specialista che si è limitato a togliermi 150,00€ a seduta, e mi ha prescritto il sereupin, ma del problema rimane sempre, ed è blocato solo grazie al medicinale perchè appena provo a sospenderlo, dopo un po, piano piano ci ricasco....aiutatemi a superare il problema, cosigliandomi qualcuno di cuiu ci si possa fidareeeeee......GRAZIEEEEEEE!!!!

    Caro Dapanico,

    putroppo capisco molto bene il tuo problema, perchè ne ho sofferto anche io per qualche anno. Io, però, l'ho risolto (almeno mi sembra). Non so che tipo di terapia tu abbia fatto nè posso consigliarti nessuno, non essendo di Bari. Tuttavia, posso dirti cosa è successo a me. Io ho seguito una terapia cognitivo-comportamentale (con quale "aggiusto" teorico che non ti sto a dire perchè neppure me lo ricordo) e, contemporaneamente, mo assunto un ansiolitico e un SSRI (Inibitore Selettivo Del Re-Uptake Della Serotonina). La terapia è durata due anni e l'assunzione di farmaci 15 mesi, ovvero fino a questo settembre. Fino ad ora non sono ricaduta nel problema, anche se, proprio in questo momento, sto affrontando un periodo molto difficile da tutti i punti di vista. Ciò che penso sia cambiato è il modo in cui reagisco alle situazioni, per le quali ho elaborato una sorta di "strategia". Insomma, nulla di trascendentale, ma sicuramente almeno quanto i farmaci mi ha aiutato la terapia. Per farti un esempio banale, c'è un fatto accaduto ormai molti anni fa che, solo a pensarci, mi scatenava una tachicardia pazzesca e mi faceva stare male. Ne ho parlato, ci sono stata ancora più male ma, adesso, è come se fosse archiviato. Non "passato", perchè rimane lì nella sua tragicità, ma non mi scatena più il panico. Quindi ti consiglio di riprendere la terapia, di concordare un percorso col tuo terapeuta e di affrontare di nuovo la cosa. Non poi continuare a non vivere. So che è tremendo e so quanti anni di "non vita" si rischia di fare se non si ottiene l'aiuto giusto. Fatti forza e comincia subito, chiedi in giro, chiedi al tuo medico, vai al policlinico universitario, fà come puoi, ma riprendi la terapia. Funzionerà e riprenderai a fare cose che neppure ti immagini, sii fiducioso! Sarai contento di nuovo.

  2. Margherita che piacere rileggerti !

    anche il secondo è partito ? tu hai deciso di non proseguire il tuo percorso con nessun altro ? come stai ?

    se ti va, facci sapere !

    :abbr:

    Cara Froggy,

    come ho scritto, tutti partono. D'altra parte, come ho scritto in passato, la mia terapia si svolgeva in una struttura pubblica, dove la maggior parte del lavoro la fanno ragazzi giovani che, anche per la situazione disastrosa delle modalità contrattuali (nonchè per le loro esigenze di studio e formazione), vanno e vengono. Non so ancora se e quando riprenderò il mio percorso (che sarebbe una cosa sicuramente auspicabile), anche perchè non avrei comunque alternative al pubblico, non avendo uno stipendio fisso e, di conseguenza, la possibilità di pagarmi una terapia nel privato.

    Comunque sto attraversando alti e bassi, momtni up e momenti down.

    Per adesso, sto a guardare, un po' inerte e stanca. Un bacio,

    Margh

  3. mi sembra strano che tutto il discorso sul transfert si sia limitato a queste poche frasi, mi pare strano che lui abbia detto che se psi e paziente si innamorano allora iniziano la relazione e interrompono la terapia e il paziente si cerca un altro psi come se tutto questo fosse una cosa banale, come se in una situazione del genere non ci si dovesse muovere con grande attenzione per evitare "traumi".... :icon_confused:

    Salve a tutte! salve a Froggy, Digi e salve a Judina, sempre tanto cara anche se appaio ormai molto raramente.

    Stasera, in un momento di ansia esistenziale, mi sono collegata e ho trovato questo nuovo topic, che riassume, nella sua formulazione, quelli che erano i miei desideri da paziente. Ci sarebbero molti aggiornamenti da fare, ma non è questo il momento nè la sede giusta: diciamo che le mie ansie si sono trasformate e riesco anche quasi a guardarle in faccia, ma sono ancora lì; ne conosco quasi sempre la causa, ma non riesco ad avere il coraggio di agire in modo da farmele passare. Ormai non sono più paziente di nessuno. Come sapete, il "primo" partì ad aprile ed il "secondo" è partito alla fine di dicembre. Insomma, terapia terminata soprattutto per indisponibiltà da parte del terapeuta, sebbene io abbia fatto dei passi avanti.

    Quanto all'argomento trattato qui, a me sembra francamente una mezza follia la situazione descritta da Filotea e sono assolutamente d'accordo con Froggy. E' possibile che io sia stata abituata male, con psi che mi davano del lei anche dopo due anni e che non hanno mai lasciato spazio per una frequentazione, anche amicale, post-terapia; tuttavia, che lo psi di Filotea abbia parlato di innamoramento mi sembra abbastanza incredibile. Non che non creda a Filotea, ovviamente, ma mi sembra comunque strano. In ogni caso, non sono un'esperta nè una teorica: l'esperienza-terapia l'ho vissuta seduta dall'altra parte della scrivania e, per fare il paziente, non si studia come rapportarsi al terapeuta.

    Tuttavia, quanto al post-terapia col "primo" (ovvero quello di cui mi ero innamorata), vi posso raccontare la mia esperienza. Gli avevo chiesto la sua mail (da usare in caso di emergenza) che, in effetti, anche se non si trattava strettamente di emergenze, ho usato qualche volta (diciamo 4 ad aprile ad oggi: sono stata bravissima!). Lui dimostra, con mia grande gioia, di essere ancora presente, di offrirmi comprensione, ma sempre dandomi del lei (sebbene io gli dia del tu, per iscritto) e rispondendo con brevi frasi da sibilla che io poi leggo e rileggo per cercarvi dietro qualche recondito signficato che, ahimè, non c'è. Non so se questo possa essere considerato un "rapporto" post-terapia, ma sicuramente ha reso il distacco meno duro e, ancora oggi, mi dà l'idea che, in caso di emergenza, io non sia sola. Sebbene sappia che sta a me limitarmi, perchè lui mi risponde per gentilezza ma io non devo approfittare, in ogni caso questo "filo" mi aiuta molto. Dopo questa breve incursione, vi lascio. Buona serata a tutte :)

  4. Ciao Carissime!

    Rediviva, sono passata un attimo e con piacere vedo che il vostro gruppo continua a funzionare molto bene :ola (3):

    Quanto a me sono decisamente depressa: sarà l'interruzione dei farmaci, sarà la leggera influenza che ho preso, saranno i problemi mai risolti (nè mai affrontati) nella mia psicoterapia "a termine". Non so.

    Per ora vi saluto e auguro a tutte di trascorrere un buon week-end.

  5. sei sicura che sia così? o sei tu che non vuoi che si sostituisca a lui?

    io forse te l'ho già scritto, te lo riscrivo...credo che un tuo enorme problema sia l'" idealizzazione selvaggia".

    idealizzazione che non ci provi neanche a smontare...

    vale la pena buttare alle ortiche così la possibilità di stare meglio? mo' il primo se n'è andato e tu vivi in un commiato eterno? ma non la vive così zazà il cui analista è morto, dopo un rapporto umano e terapeutico intenso durato nove anni...

    forse son dura, ma le tue mi sembrano resistenze a mettersi veramente in gioco in una terapia...

    mi scuso per come potrà risultare questo messaggio...

    Ma che ti scusi...che io idealizzi è un fatto, ma lo è anche che sono stanca di questo investimento emotivo altrettanto selvaggio.

  6. Care tutte,

    passo per salutarvi e ribadirvi che non vi ho dimenticate. Almeno una volta al giorno passo qui per farmi "i fatti vostri". Quanto a me, sto vivendo un periodo molto intenso al lavoro, dormo malissimo e ho perso totalmente fiducia nei confronti della terapia. Quando ero in preda al transfert, pensavo che fosse talmente intenso da influire negativamente sul mio percorso, da essere così invasivo da aver preso il posto di tutti gli altri problemi che ero andata lì per risolvere. Invece, adesso mi sono resa conto che senza transfert non si va da nessuna parte. Ci si arena. In fondo, sebbene in maniera del tutto diversa e di sicuro meno intensa di ciò che abbiamo provato (in un modo o nell'altro) nelle nostre terapie, tutti i rapporti umani sono basati su una qualche forma di transfert e mi sto rendendo conto che, se questo non c'è, non c'è neppure il rapporto. Col secondo mi trovavo bene dopo la partenza del primo, ma adesso quella sottile intesa, creatasi per il ruolo che aveva assunto di "consolatore" per il mio "lutto" è del tutto scemata. Mi rendo conto che lui mi è assolutamente indifferente: non provo certo sentimenti negativi nei suoi confronti (non ne avrei proprio motivo), ma non ne provo nessuno; qualsiasi cosa dica, non mi tocca, non mi entra dentro, non mi "muove". Quando sono lì devo sforzarmi, perchè non ho nulla da dirgli (sebbene abbia moltissimo dentro che vorrei dire). Figuratevi che durante l'ultima seduta mi ha detto di pensarci bene, perchè se non dovessi più essere motivata sarebbe meglio che interrompessi. Il fatto è che io mi sento orfana: il mio terapeuta non c'è più, e mi sento essere stata presa in carico da un altro di cui non sono una vera paziente, ma la rimanenza di un suo collega, al quale, evidentissimamente, non vuole sostituirsi. Vi basti sapere che, nei momenti più difficili, ho sentito la necessità di scrivere al primo, che mi ha sibillinamente risposto. Inutile dire che l'ho apprrezzato molto, che mi basta una sua parola per sentirmi confortata, ma che, allo stesso tempo, so di non poter fare una terapia telematica. Ad oggi, penso che le terapie vadano condotte solo con una sola persona e che debbano finire quando tutti i problemi sorti con quella persona siano giunti a risoluzione. Diversamente, il persorso risulta monco, interrotto, e non si raggiunge nessun risultato se non molto superficiale e transitorio: fino a che non si risolve il legame, il beneficio rimane collegato indissolubilmente a quella persona e la convinzione latente è che le parole di nessuno valgano quanto le sue. Si vive una sorta di commiato eterno.

    Intanto, mentre mi rattristo con questi pensieri, vi auguro una buonissima giornata :)

  7. boh forse è il mio pessimismo.. e so già che se parto pessimista non arrivo da nessuna parte. Comunque grazie mille... il fatto è che mi sento bloccato perché non so proprio come agire. La mia timidezza mi blocca anche nell'andare al policlinico per chiedere questa cosa; insomma avrei bisogno di qualcuno che con la sua esperienza mi indicasse tutto quello che devo fare.

    Se ne parlo con i miei genitori non penso che abbia problemi economici quindi potrei permettermi il migliore... solo che è difficile renderli partecipi di questa cosa.

    Crao Iron,

    sono convinta che il primo passo per rtentare di risolvere i problemi sia quello di prenderne atto (cosa che hai fatto) e, di conseguenza, chiedere aiuto. Al Policlinico ci sono persone bisognose di aiuto esattamente come te e, di conseguenza, stai pur certo che non ci sarà nessuno che ti guarderà in maniera strana, poichè ciascuno di loro è lì perchè tenta di risolvere il suo disagio ed è abituato a vedere ogni giorno altri pazienti arrivare. Quanto a comunicarlo ai tuoi, non saprei cosa dirti: non so quanti anni hai, quanto sei convinto dal volerti far aiutare e quanto tu possa essere eventualmente scoraggiato da un loro ipotetico atteggiamento superficiale nei confronti del problema. Nessuno può sapere ciò che provi e conoscere il tuo disagio. Devi essere tu a prenderti cura di te stesso.

  8. Cari tutti e care tutte,

    purtroppo, poichè ho scoperto che tra gli utenti c'è una persona che conosco e con la quale non voglio condividere più nulla della mia vita, sono costretta a lasciarvi. Anche se cambiassi nick, non cambierebbe niente, prechè per lui sarei sempre riconoscibile.

    Mi manterrò in contatto con voi tramite mp.

    Vi ringrazio di essere stati un gruppo per tanto tempo, per me, e per avermi aiutato in tantissime, importantissime, cose.

    :abbr:

  9. Comunque Fiori, anch'io penso spesso alle "goccine" che predevo all'inizio della terapia, e nei momenti di vuoto, faccio il tuo stesso pensiero....ma poi, alla fine, mi accorgo che anche "il disagio" è meglio viverselo senza stordirsi: il diavolo non è poi così pauroso come sembra!!! :diablo:

    Grande verità e grande insegnamento: peccato che, certe volte, si senta il bisogno di coprirsi la faccia sotto quella coperta...

  10. è proprio il termine "guarire" che mi lascia perplessa...

    intendo dire, ad esempio se una persona ha un sintomo tipo un disturbo alimentare, posso capire che dica "voglio guarire dal disturbo alimentare" . se una persona soffre di depressione che dica "voglio guarire dalla depressione"...

    per esempio. ma se si parla di disagi esistenziali, piuttosto che poca accettazione di se stessi...ha senso parlare di guarigione? tu da cosa devi guarire?

    a volte mi sembra che si voglia "guarire da se stessi". e mi pare impossibile...

    Azzardo: il fine potrebbe essere guarire dalla deformazione per la quale ciò che siamo, profondamente, noi stesse, ci sembra patologico. E' patologico il ritenerlo tale. Forse, una volta in pace con noi stesse, non sparirà la malattia (che, come tale, non esiste), ma la percezione di "essere malate".

    Ma forse sono solo cavolate.

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