Ho cercato un topic per raccontare perchè sia approdata qui fra voi e perché non mi dispiacerebbe provare a fermarmi.
Un racconto volutamente generico come auspicio a trovare il tempo per tirar fuori i dettagli poco alla volta.
Siccome la maggior parte dei topic mi sembrano avanti per inserirmi senza rischiare la figura dell'extraterrestre, mi limito a proseguire la presentazione.
Spero che non appaia come una scelta troppo anarchica.
Sono stata in analisi per sette anni, per quattro due volte la settimana, per tre una. E' stato un sacrifico economico grandissimo che mi ha fatto rinunciare a molte cose. Ci sono stata per combattere un mal di vivere impetuoso e vigliacco.
Non ho scelto la terapeuta, ho preso la prima che mi è capitata: un fare simile all'agguantare e poi addentare per la troppa fame un frutto da un albero spinti dalla fame senza badare se sia troppo acerbo troppo maturo, o addirittura marcio. Penso comunque di aver avuto fortuna. Metto però anche in conto che in quegli anni ero talmente malconcia che non è detto che uno stregone non mi sarebbe bastato. Se un giorno dovessi comunque tornare in analisi, dritta dritta tornerei in quella precisa stanza.
I primi due/tre anni sono serviti per un lavoro di scrostatura, profondo quanto quello che si fa su un mobile vecchio raccolto in una discarica.
Non è facile capire da subito che cosa si vada davvero a fare a distenderci su quei lettini così scenografici, e soprattutto non è facile credere che solo le parole ti potranno liberare da un malessere che conosci come così viscidamente imprendibile da esserti convinta che prima o poi avrà su di te il sopravvento. Poi per me, una infatuata dal piacere della forma più che del senso, è stato ancora più complicato. Chiacchere, chiacchere come essere sotto l'ombrellone o dal parrucchiere, chiacchere che invece di rivelare nascondevano. Ma non si poteva far altro che partire proprio da lì, dalla prima crosta. E quando questa è diventata sottilissima fino a polverizzarsi sono usciti fuori linguaggi assolutamente imprevedibili. Mai avrei pensato di poter esaurire tutte le parole che con cura avevo accumulato negli anni, e mai avrei pensato di riuscire a liberare silenzi, lacrime, rabbie, forze nascoste da storie dimenticate.
Ho finito la mia analisi nel 94. Quel mal di vivere c'è ancora perchè mi appartiene come il mio gruppo sanguigno o la mia allergia al nichel. Non ho più paura però che prenda il sopravvento. Se e quando voglio so come combatterlo rapidamente. Ma non voglio quasi mai. Quando compare, già l'aspettavo e so da dove arriva, so quanto durerà e come verrà fuori. Me lo tengo, e non perché faccio tanto intellettuale decadente o sosia di W. Allen, ma perché in quei sette anni mi sono piegata a conoscerlo fino in fondo e a riconoscere che pur senza indulgerci o civettarci, quel mal di vivere è fra le mie tante fragilità, quella che meglio posso controllare e qualche volta arrivare addirittura ad apprezzarla tirandoci fuori cose buone.