Ciao a tutti,
Sono un uomo di ormai 42 anni, vivo e lavoro da quasi dieci anni a Roma. Ho un lavoro stabile, sono autonomo, ho abbandonato il tetto familiare a 32 anni e non sono privo di relazioni sociali. Eppure, qualcosa è radicalmente cambiato da oltre un anno.
La mia storia è sempre stata caratterizzata da una serie di fasi umorali a lungo o medio termine. Insomma, so cosa è la depressione, almeno a partire dai 16 anni, ma negli anni - anche grazie all'analisi e ai farmaci - ho costruito un equilibrio piuttosto stabile. Il primo episodio avvenne a 19 anni, ma covavo già da qualche anno. Non mi piacevo esteticamente, tendevo ad isolarmi, mi rifugiavo nei sogni ad occhi aperti e nella lettura, nessun approccio con le donne, tendevo ad idealizzare tutto e ad intellettualizzare i problemi. Questi sono tratti della mia personalità, poco da fare. Fatto sta che esplose un malessere infernale che, 22 anni dopo, ancora mi perseguita. Mi venne addirittura diagnosticata la schizofrenia, ma in realtà ero sempre lucido e presente, proprio per questo avvertivo tutto il dolore dell'universo e dell'umanità, ero una sorta di Cristo (un pocero Cristo, direi). È allora che ho cominciato ad assumere farmaci e ho intrapreso un percorso terapeutico. Da allora ho sempre convissuto con fasi down, ma niente a che vedere con quell'inferno (che durò quattro mesi nella fase acuta). Ma soprattutto queste fasi depressive duravano poco, mai più di un mese, e poi avveniva una remissione pressoché completa e tornavo a stare bene. Ho poi avuto le mie prime relazioni sentimentali, ma ho sempre manifestato qualche problema emotivo a "sentire", a "provare" e a gestire una storia. Comunque, ho portato a termine con successo gli studi, ho vinto un concorso statale, mi sono laureato, mi sono trasferito a Roma, mi sono fatto valere sul lavoro, ho avuto una relazione di due anni e mezzo in cui per la prima volta sono stato coinvolto. Ormai ne ero fuori, da qualche anno non prendevo più farmaci e non andavo più in analisi. Ma ecco che sei anni fa si riaffaccia un fortissimo malessere che mi stravolge, lascio la mia ragazza di punto in bianco, torno in analisi, ricomincio una terapia farmacologica. Il senso di colpa mi annienta e la ritengo la seconda crisi più tosta dal 1997, ma tutto sommato tempo due mesi e comincio a stare meglio. E da allora, era il 2013, vivo una lunghissima fase di benessere... sì, qualche piccolo passaggio a vuoto, ma roba di un paio di settimane, per il resto vado a mille, conosco tante persone nuove, faccio molte attività.
E arriviamo allo scorso autunno. Inizio una relazione dopo molto tempo con una donna più grande e davvero bella e meravigliosa. Intanto, comincio ad avere fastidi alle orecchie, senso di ovattamento perenne e mi viene diagnosticata una otosclerosi bilaterale. Ed è esattamente allora che comincio ad avvertire il malessere mi attanaglia ancora adesso... un qualcosa di diverso, di nuovo, di "costitutivo". Pongo fine alla relazione immediatamente, ma non serve. I farmaci non servono, men che meno la terapia psicologica. Da oltre un anno questo è il mio stato: una ineliminabile condizione di angoscia perenne, un senso di tedio esistenziale, vuoto, tristezza, paura, inutilità e vacuità delle cose. Non sono mai stato male per così tanto tempo, mai! E non ho mai percepito il male come "normalità", come faccio adesso. La cosa terribile è proprio questa: mi sembra perfettamente normale sentirmi così, qualcosa di naturale, ontologico, esistenziale... e come tale ineliminabile ed eterno. Ho fatto mie le conclusioni di filosofi come Kierkegaard, Cioran, Heidegger, Camus. Continuo a lavorare, non ho mai preso un giorno di malattia! Continuo a sbrigare le commissioni, a fare la spesa, a fare le visite mediche. Di tanto in tanto addirittura esco con gli amici. Ma niente. Non serve a niente. Questa condizione è perenne, costante, non va via.
In tutta sincerità, vivere a questo modo non ha senso, è uno stillicidio di dolore.
Qualcuno ha mai sperimentato un simile stato?