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Floyd77

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  1. Non saprei. Ho una storia profondamente diversa dalla sua/vostra. Eppure, se mi guardo in giro, se ascolto i racconti delle amiche, se metto a fuoco quante persone (e ne sono davvero tante, direi troppe... indifferentemente uomini e donne) tra i 35 e i 55 anni si iscrivono su chat virtuali di incontri... faccio 1+1+1 e realizzo di quanto sia terribilmente "normale", oggigiorno, trovarsi in una situazione come la tua... perché purtroppo, ornai, le eccezioni sono costituite dalle coppie che durano... Non posso sapere come siano stati questi venti anni di vita di coppia, né è mio compito attribuire colpe o dare giudizi su cose che non conosco. Su un piano generale a me pare di cogliere in tuo marito quella che ormai definisco la "malattia generazionale degli ultimi vent'anni", specie per quanto riguarda il genere maschile. E la inquadro in un discorso di "crisi esistenziale" più che di stato depressivo, anche se è evidente che la prima spesso ingenera la seconda. La crisi di mezza età è un po' un classico universalmente riconosciuto dalla psicologia... anzi, le statistiche vogliono che siano soprattutto le donne ad esserne colpite. Ma per come la vedo io la donna ha un modo di reagire diverso, più maturo, ed uno spirito di adattamento maggiore... l'uomo tende a reagire scappando, tirandosi fuori dalle responsabilità ed estraniandosi dalla realtà. Nell'atteggiamento di lui mi sembra di cogliere soprattutto questo: irresponsabilità, voglia di evasione da una routine collaudata e frustrazione per non capire che direzione prendere. Come se eventuali bilanci che sta traendo e riflessioni esistenziali, anche sull'età che avanza, gli abbiano fatto perdere la bussola... generalmente sono fasi inevitabili che capitano a tutti, a cambiare è solo la reazione dovuta ad una maggiore o minore armonia interiore, consapevolezza e maturità emotiva. E anche qui gli uomini sono un gradino sotto. Proprio a causa di queste ansie e riflessioni il sottoscritto ha preferito non avere progetti relazionali e rimanere single, tanto per fare un esempio. La terapia di coppia può servire, ma se i problemi derivano da un solo componente è chiaro che l'altro vi si senta trascinato dentro controvoglia e si senta sfiduciato. Buona parte della letteratura psicologica dice che in una coppia, però, i problemi non sono MAI soltanto di un solo componente, ma sempre di entrambi... per il resto, sembra evidente che gli occorra anche un supporto individuale. Un abbraccio
  2. Floyd77

    Ho un amico virtuale

    Ciao. Per diversi anni ho intrattenuto molte relazioni virtuali, anche durature, attraverso programmi di chat ormai obsoleti e prima dell'avvento dei social! Beh, ti posso dire che ho bruciato inutilmente energie mentali e spirituali! Non è un discorso di età o di fiducia (anche nel mio caso, il più delle volte, erano persone affidabili), quanto proprio di "spia di un problema" nel relazionarsi agli altri. Quelle relazioni virtuali mi davano un apparente senso di pienezza e di complicità, ma in realtà non facevano che amplificare la mia problematica e indurmi ulteriormente ad isolarmi dalla realtà! No, non era una soluzione, decisamente! Da molti anni ho abbandonato drasticamente quella modalità e la ricordo con dolore, ho molti rimorsi! Adesso, se pure conosco virtualmente, l'imperativo categorico è di portare quella conoscenza nella realtà dopo poco tempo e prima, appunto, che diventi una schiavitù virtuale. Naturalmente, è solo una mia opinione. Riflettici
  3. Beh, sei giovanissima! Più o meno alla tua età cominciai ad avere problemi simili (covavo a partire dai 15 anni, direi). Più che a situazioni familiari (non ho ricordi traumatici a livello conscio, ho un bellissimo e spensierato ricordo della mia infanzia e della pubertà come pure della prima adolescenza) attribuivo il tutto al primo impatto con un'esperienza sociale negativa coincisa con gli anni del liceo classico. Venivo considerato brutto e "leopardiano", feci mia questa immagine e cominciai ad isolarmi progressivamente fino a rinchiudermi in in mondo di fantasia (recente è la scoperta del disturbo del maladaptive daydreaming, credo propro sia il mio). Nel tuo caso mi pare che la questione sia legata al rapporto con i tuoi: li descrivi come piuttosto disinteressati a te, poco propensi a sostenerti e valutarti positivamente. Insomma, mi sembra che il germe di tutto sia in famiglia. Quanto agli "altri", è un classico vederli felici e invidiarli, pensare "ma come è possibile che ridano, scherzino, stiano bene?". Lo facevo pure io. In realtà non è così, non possiamo saperlo e molto spesso si sentono come noi. Guarda, ho 42 anni e ti posso dire che le persone vetamente mature, sane ed equilibrate che ho conosciuto si contano sulle dita di una mano! Per il resto, ho conosciuto un universo spaventoso di disadattati che la metà basta!
  4. Ciao, forse sono diverse certe percezioni e certi meccanismi rispetto a quanto esprimi tu, ma la sostanza è simile a ciò che provo io (ho scritto la mia esperienza nella sezione Argomenti) Quanti anni hai?
  5. Floyd77

    Angoscia esistenziale

    Un altro forum di psicologia con centinaia di visualizzazioni e nessuna risposta. Mi chiedo cosa esistano a fare!
  6. Floyd77

    Angoscia esistenziale

    Ciao a tutti, Sono un uomo di ormai 42 anni, vivo e lavoro da quasi dieci anni a Roma. Ho un lavoro stabile, sono autonomo, ho abbandonato il tetto familiare a 32 anni e non sono privo di relazioni sociali. Eppure, qualcosa è radicalmente cambiato da oltre un anno. La mia storia è sempre stata caratterizzata da una serie di fasi umorali a lungo o medio termine. Insomma, so cosa è la depressione, almeno a partire dai 16 anni, ma negli anni - anche grazie all'analisi e ai farmaci - ho costruito un equilibrio piuttosto stabile. Il primo episodio avvenne a 19 anni, ma covavo già da qualche anno. Non mi piacevo esteticamente, tendevo ad isolarmi, mi rifugiavo nei sogni ad occhi aperti e nella lettura, nessun approccio con le donne, tendevo ad idealizzare tutto e ad intellettualizzare i problemi. Questi sono tratti della mia personalità, poco da fare. Fatto sta che esplose un malessere infernale che, 22 anni dopo, ancora mi perseguita. Mi venne addirittura diagnosticata la schizofrenia, ma in realtà ero sempre lucido e presente, proprio per questo avvertivo tutto il dolore dell'universo e dell'umanità, ero una sorta di Cristo (un pocero Cristo, direi). È allora che ho cominciato ad assumere farmaci e ho intrapreso un percorso terapeutico. Da allora ho sempre convissuto con fasi down, ma niente a che vedere con quell'inferno (che durò quattro mesi nella fase acuta). Ma soprattutto queste fasi depressive duravano poco, mai più di un mese, e poi avveniva una remissione pressoché completa e tornavo a stare bene. Ho poi avuto le mie prime relazioni sentimentali, ma ho sempre manifestato qualche problema emotivo a "sentire", a "provare" e a gestire una storia. Comunque, ho portato a termine con successo gli studi, ho vinto un concorso statale, mi sono laureato, mi sono trasferito a Roma, mi sono fatto valere sul lavoro, ho avuto una relazione di due anni e mezzo in cui per la prima volta sono stato coinvolto. Ormai ne ero fuori, da qualche anno non prendevo più farmaci e non andavo più in analisi. Ma ecco che sei anni fa si riaffaccia un fortissimo malessere che mi stravolge, lascio la mia ragazza di punto in bianco, torno in analisi, ricomincio una terapia farmacologica. Il senso di colpa mi annienta e la ritengo la seconda crisi più tosta dal 1997, ma tutto sommato tempo due mesi e comincio a stare meglio. E da allora, era il 2013, vivo una lunghissima fase di benessere... sì, qualche piccolo passaggio a vuoto, ma roba di un paio di settimane, per il resto vado a mille, conosco tante persone nuove, faccio molte attività. E arriviamo allo scorso autunno. Inizio una relazione dopo molto tempo con una donna più grande e davvero bella e meravigliosa. Intanto, comincio ad avere fastidi alle orecchie, senso di ovattamento perenne e mi viene diagnosticata una otosclerosi bilaterale. Ed è esattamente allora che comincio ad avvertire il malessere mi attanaglia ancora adesso... un qualcosa di diverso, di nuovo, di "costitutivo". Pongo fine alla relazione immediatamente, ma non serve. I farmaci non servono, men che meno la terapia psicologica. Da oltre un anno questo è il mio stato: una ineliminabile condizione di angoscia perenne, un senso di tedio esistenziale, vuoto, tristezza, paura, inutilità e vacuità delle cose. Non sono mai stato male per così tanto tempo, mai! E non ho mai percepito il male come "normalità", come faccio adesso. La cosa terribile è proprio questa: mi sembra perfettamente normale sentirmi così, qualcosa di naturale, ontologico, esistenziale... e come tale ineliminabile ed eterno. Ho fatto mie le conclusioni di filosofi come Kierkegaard, Cioran, Heidegger, Camus. Continuo a lavorare, non ho mai preso un giorno di malattia! Continuo a sbrigare le commissioni, a fare la spesa, a fare le visite mediche. Di tanto in tanto addirittura esco con gli amici. Ma niente. Non serve a niente. Questa condizione è perenne, costante, non va via. In tutta sincerità, vivere a questo modo non ha senso, è uno stillicidio di dolore. Qualcuno ha mai sperimentato un simile stato?
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