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M.

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  1. Forse il post è un po' vecchio, ma io mi trovo in una situazione simile alla tua. Non riesco ad andare in vacanza da solo. Quest'anno il mio amico si è fidanzato ed ha avuto altri programmi, ed io purtroppo mi ritrovo da solo. Mi sento di star sprecando le ferie e vorrei staccare qualche giorno e allontanarmi dalla città ma non ci riesco. E' più forte di me. Quando sto per prenotare mi prendono mille paure e un ansia allo stomaco. Non riesco a superare questo mio limite. Magari se decido, parto e mi forzo un po' poi starò bene. Ma è comunque un incognita. E chi se la sente di rischiare?
  2. M.

    Obiettivi della psicoterapia

    Ognuno trae le sue conclusioni, però se ti è servita a capire questo vuol dire che a qualcosa è servita...già stai un pezzo avanti...ti pare poco? Alcune sere fa ho assistito ad una serata dimostrativa di meditazione zen e il maestro ad una domanda di una persona che voleva sapere a cosa serve la meditazione zen ha dato una risposta abbastanza articolata ma prima di parlare ha fatto una premessa importante, che secondo me già da sola bastava a racchiudere tutto il senso di quello che avrebbe detto dopo: "Questa sera siamo ad una serata informale e quindi ti rispondo ma se fossimo ad una serata di pratica normale e tradizionale ti risponderei che lo zen non serve a niente e ti direi di continuare a praticare". Giovanni è all'inizio del cammino e sta cercando il "senso" e gli "obiettivi". Nella fase in cui è lui secondo me è giusto che sia così ma forse è deleterio rivelargli troppo perchè in qualche modo (per dirla con una metafora forse un po' riduttiva) è come se gli rovinassi il film rivelandogli una parte del finale (che poi è solo l'inizio perchè comincia tutto da lì e in ogni caso ognuno ha il suo di finale )
  3. M.

    Obiettivi della psicoterapia

    Ciao Giovanni, prendo spunto dall'ottima risposta che ti ha dato digi79 per aggiungere qualche particolare. In una terapia la cosa più importante è abbandonarsi al processo, inizialmente senza preoccuparsi di obiettivi particolari. Il motivo scatenante per cui si inizia un percorso del genere perde d'importanza perchè si inizia qualcosa che davvero ci potrebbe permettere di conoscere approfonditamente noi stessi. La risoluzione degli altri problemi a quel punto diventa quasi un effetto collaterale di un cammino più grande. Certamente la terapia può aiutarti a convivere meglio con i tuoi problemi, ma una volta che si ha presente questo occorre quasi dimenticarlo e non starci a pensar su troppo. La terapia è un processo in cui occorre dimenticare per poi poter ricordare di nuovo "veramente" chi si è? Più che dimenticare la parola adatta forse potrebbe essere "spogliarsi", nel senso di essere disposti a liberarsi di quei fadelli che vanno a "contraffare" la nostra vera personalità Magari le mie parole ti sembreranno astruse ma mi viene in mente la scena di un film in cui il protagonista era un grande pianista e mentre studiava un complicato pezzo di Rachmaninov il suo insegnante ad un certo punto gli dice: "ora che hai imparato a memoria tutte le note, dimenticale!" Il senso di quella frase era di non fissarsi sulla memoria, ma di dimenticare, cioè di abbandonarsi e far si che quelle note diventassero una parte di lui, e venissero dalle mani, dal corpo dalla parte più sincera di sè, ma non dalla memoria. Spero di non averti confuso ma come ha già detto digi79 la terapia può essere un percorso lungo. A questo punto, visto che con la cognitivo-comportamentale hai già provato, io mi sentirei di consigliarti la psicanalitica. Però è una decisione che spetta a te e qualsiasi cosa tu decida dovrà essere una cosa che ti senti pronto ad affrontare. Buona fortuna!
  4. M.

    esaurimento...

    No, quasi nessuno lo sa fare di se stesso. L'unico caso eccezionale conosciuto finora è Freud. Altrimenti neanche un analista ci riesce per se stesso. Occorre sempre una persona esterna. Però con l'esperienza un minimo di oggettivazione e autoanalisi la riesci comunque a fare.
  5. M.

    esaurimento...

    eh eh, sono contento che stai meglio. Ma non devi cancellare nulla, ogni cosa fa parte di noi Scrivere i sogni è una cosa che mi aiuta a ricordarli e a renderli più oggettivi. E' una cosa che mi aveveva consigliato la terapeuta e che un po' mi è rimasta come abitudine. Non sempre lo faccio, ma spesso. A forza di scriverli li ricordi di più anche senza farlo. E poi mi piace perchè quando scrivi ricordi cose in più che a pensarci o a raccontarli non avresti ricordato Scrivi tranquilla se vuoi condividere ok? ciao ciao
  6. M.

    esaurimento...

    Ciao, anche io stanotte ho sognato. Fra poco scriverò i due sogni sul diario. C'è una piccola cosa che vorrei dirti in merito al tuo precedente messaggio ma aspetto, non voglio angustiarti. Tanto il pensiero mica scappa E poi lo smile di te che dormivi era troppo tenero Ti lascio al tuo tigrotto volante
  7. M.

    esaurimento...

    Ok. Andiamo con ordine. Mi sento più tranquillo a scrivere ora che mi hai confermato alcune cose. In poche frasi dici tante cose diverse ed ho sempre il timore di interpretare male quello che leggo. Mi sembra di aver capito che sei stata in terapia per due mesi, giusto? Ok. Io posso descriverti la mia esperienza. Due mesi sono davvero pochi per un lavoro di quel tipo. Io facevo 4 sedute a settimana (uniche pause agosto e natale) e così sono andato avanti per diversi anni. Prima di cominciare ad entrare nello spirito dell'analisi ed instaurare un rapporto analitico in qualche modo produttivo è passato un anno. A me la rabbia è arrivata dopo, quando l'analisi ormai era già avviata da parecchio tempo (quindi dal secondo, terzo anno in poi). Ma su questo perdonami, non desidero scendere in dettagli. Ogni storia è a se stante, ogni persona è diversa, ogni analista è diverso e ogni paziente è diverso. Non so che tipo di terapia tu stia facendo ma se è quella psicoanalitica ti posso dire di sicuro che due mesi non sono niente. In analisi in due mesi si riesce a malapena a presentarsi e a dirsi buongiorno/buonasera. Inoltre occorre tenere presente che lo scopo di una psicoterapia è ottenere risultati duraturi e a lungo termine ma non nell'immediato. Se hai una brutta crisi e sei a casa da sola potrai lavorare su questa crisi quando vedrai la terapeuta ma nel frattempo la crisi devi affrontarla tu, da sola. La terapia serve ad elaborare i vissuti per diventare più consapevole, capire quello che successo eccetera eccetera ed avere altri strumenti la prossima volta che accadrà, ma non può fare niente nell'immediato, mentre il fatto accade. Parlare col tuo medico è una cosa diversa, non devi confondere le due cose, ne pensare che si escludano a vicenda. E' difficile da spiegare perchè è una cosa che si capisce man mano che si va avanti. Il rapporto terapeutico è un rapporto particolare, diverso da tutti gli altri, non paragonabile a nessun'altro tipo di rapporto e non sostituibile con nessun'altro. Bisogna soltanto capire se si è pronti ad affrontare una cosa del genere oppure no. Tu dici a tua zia che sei malata, ma non vuoi sentirti malata quando vai dalla terapeuta. Hai fatto caso a questa apparente contraddizione? Io dubito che la terapeuta ti dica esplicitamente che tu sei malata. Credo piuttosto che sia tu a vivere quel rapporto in quel modo. Certo per andare da un terapeuta occorre ammettere di avere bisogno di aiuto, di avere delle difficoltà emotive e di volersi fare aiutare, ma nessuno ti può costringere. Questo è fondamentale. Perdonami se mi dilungo troppo ma sono tutte cose difficili da sintetizzare a parole. Quello che voglio dire è che durante una terapia tu sarai sempre libera di dire basta, mi fermo qui. Certo inizialmente per trovare la spinta di andarci è ovvio che bisogna trovare il coraggio di dire a se stessi, sto male e voglio guarire da questo male. Ma la libertà, tra virgolette, "di non guarire" ce l'avrai sempre. Perchè è proprio avere quella libertà che ti dovrà insegnare il perchè di quelle virgolette. Il termine "guarire" infatti è un termine improprio. E se mi hai seguito fin qui forse puoi cominciare intuire perchè è improprio. Il suo esserlo dipende proprio da quella libertà lì. Ti faccio un esempio pratico: quando vai dalla terapeuta e ti senti malata e non ti va di sentirti malata e ti arrabbi per questo, magari ti inbestialisci anche. Quello che dovresti provare a chiederti invece di dare seguito a quella rabbia è: perchè sentirmi malata mi fa così arrabbiare? Cosa c'è in questo mio "vissuto" che mi fa così male? Che tu sia malata o meno, è importante capire perchè il fatto di "sentirti così" ti fa arrabbiare. Questo è un punto fondamentale. E' lì il nodo. Tutte le cose che ti dice l'analista e che ti fanno così arrabbiare e che tu dici non sono vere, perchè ti fanno così arrabbiare? Dovresti cercare di capire questo. E' da qui che parte l'analisi. Se non si innesca questo processo, l'analisi non riesce a partire. In teoria, se non fossero vere, non avresti motivo di arrabbiarti. E a dirti questo forse ho già osato troppo (ti prego di dirmelo se pensi che con qualche frase mi prendo troppe libertà, ok? ) Una volta ricordo che portai in analisi un sogno dove io scendevo dentro un sottopassaggio di una metropolitana che era pieno di vetri rotti. Io ero scalzo e dovevo passare su quei vetri per uscire dall'altra parte del lungo sottopassaggio. Mi terrorizzava quel passaggio. Stavo lì e non avevo il coraggio di passare. Ricordo un dolore lancinante al solo pensiero di provarci. Era terribile. Ricordo che l'analista mi disse: "Vede M. per riuscire a fare la psicoterapia occorre trovare il coraggio di passare sopra a quei vetri. Occorre trovare il coraggio di farsi male per vedere cosa c'è dall'altra parte. E questa azione nessuno può farla al posto suo". Anche io avevo delle grosse difficoltà ad andare oltre. Non ti dico di più perchè il resto desidero tenerlo privato. Tuttavia quella frase era sì dolorosa, ma terribilmente vera e terribilmente bella. L'analisi scava in profondità, fa emergere quello che c'è sotto. Il primo ostacolo che hai trovato di fronte a te è questa rabbia. Tu temi di buttarla addosso ai tuoi parenti più cari, temi di perderli a causa dei tuoi comportamenti. Il timore è leggittimo ma l'unica cosa che ti posso dire è che l'unico modo che hai per poter proseguire è prenderti questo rischio. Accettarlo ed affrontarne le conseguenze. Non hai altro modo di passare dall'altra parte. Se non te la senti puoi fermarti (come hai già fatto) e rimandare la decisione a fra qualche anno, oppure rinunciare definitivamente e seguire altre strade. La scelta spetta a te. Nessuno può farla al posto tuo. Anche se è dura, anche se ti fa arrabbiare di doverti prendere questa enorme responsabilità. Sei giovane e hai un sacco di anni davanti. Io l'analisi l'ho iniziata a 26 anni e se mi fossi reso conto prima del problema l'avrei fatto prima. Più si è giovani e più si è forti per affrontare un simile lavoro su se stessi. L'analisi è dura. Non si può affrontare alla leggera, nè prederla come si prende un'aspirina (non sto dicendo che tu lo abbia fatto ma è per farti capire che è un lavoro pesante). Io dopo alcuni anni ancora scoprivo di capire cose dell'analisi che non avevo mai capito Mi piacerebbe ancora dirti tante cose ma mi sono già dilungato troppo. E poi stasera sono stanchissimo, ho gli occhi distrutti e ho anche un gran mal di testa. Quello che ho scritto forse non è neanche scritto tanto bene. Spero che qualcosa si capisca. A presto M.
  8. M.

    esaurimento...

    Sapere che stai meglio e che in qualche modo ti sono stato utile mi rende più sollevato Un abbraccio
  9. M.

    esaurimento...

    Da quello che leggo mi sembra di aver capito che non vai più dalla psicoterapeuta. Questo aspetto particolare mi era sfuggito. O meglio, non mi ero reso conto che fosse così grave. Può darsi che quella particolare terapeuta non fosse la persona adatta a te, oppure, cosa secondo me molto probabile, che tu abbia avuto un transfert negativo nei confronti della terapeuta. Quando dico negativo non intendo il senso comune di questa parola che di solito si usa per dare giudizi. In questo caso lo intendo in senso psicologico, cioè hai trasferito tutti i sentimenti negativi verso la tua terapeuta. A volte capita il contrario, cioè di trasferire tutti i sentimenti positivi verso la terapeuta. In ogni caso, che il transfert sia negativo o positivo, è sempre utile. Nessuna delle due situazioni è brutta o sbagliata. Il problema è che nel caso del transfert positivo ci si potrebbe affezionare troppo alla persona, mentre nel caso del transfert negativo il rischio è appunto quello che ti è capitato a te, cioè di rompere il rapporto. Quello lì è un punto fondamentale nell'analisi. Fidati, parlo per esperienza personale. Anche io ho avuto questo tipo di esperienza, ma purtroppo non mi sento di rivelare pubblicamente altri particolari su questo. Ti posso dire quello che ho imparato dalla mia esperienza. Non so se ti sarà utile, lo spero. Ti dicevo che quello lì è un punto fondamentale, perchè se non si riesce a superare, l'analisi non può proseguire. E' giusto condividere quella rabbia con la psicoterapeuta ma più che buttargliela addosso si dovrebbe piano piano riuscire a condividerla per poterla analizzare. In ogni caso la scelta spetta a te. Anche questo è un punto fondamentale della terapia. Perchè sentirsi forzati da qualcuno (che sia parente o meno) può disturbare e non essere utile. Prendere farmaci non penso serva a granchè. Il farmaco cura il sintomo, non la causa. Mentra la terapia se ben fatta potrebbe veramente portarti alla radice del problema. Ma ripeto fino alla nausea che la scelta spetta a te. Sei tu, e solo tu, che devi scegliere se andare o non andare da un terapeuta. Non ti far influenzare da quello che è successo. La tua rabbia è di sicuro rivolta verso delle figure affettive a te molto legate. La terapeuta non è una di queste persone, è come uno specchio verso cui si rivolgono i sentimenti che si ha paura di rivolgere altrove. Una specie di parafulmine. Quello che è accaduto a te è del tutto normale in una terapia. Non c'è nulla di guasto o sbagliato. E non penso che la terapeuta ti abbia danneggiato. Secondo me ha solo portato alla luce qualcosa che era nell'ombra e che fai fatica ad accettare. La tua rabbia è enorme, ed io una vaga idea verso quale figura affettiva sia rivolta me la sono fatta. E' una mia idea molto personale e non mi sento autorizzato a dirtela perchè io non sono un terapeuta e temo di farti soffrire. Ma un terapeuta non può temere questo, perchè allora sì che ti farebbe del male e ti danneggerebbe. Il bene che deve cercare di fare un terapeuta deve per forza essere al di sopra dei sentimenti personali. Può darsi che tu non fossi ancora pronta per affrontare tutto questo (sia l'accaduto, sia una terapia, eccetera eccetera). In tutti i modi non dare giudizi affrettati. Datti tempo e lasciati una possibilità. Spero di non aver invaso un terreno troppo personale con le cose che ho scritto. Il mio desiderio era solo di rendermi utile. Ti abbraccio forte M. Edit: Mi sono accorto che mentre scrivevo questa risposta hai apportato alcune correzioni al messaggio. In particolare mi è balzata agli occhi la correzione da "categoria psicoterapeuti" a "categoria psicoesperti". Forse avevo letto male fin dall'inizio e mi sto sbagliando. Comunque se pensi che anche io faccia parte di quella categoria che non sopporti dimmelo esplicitamente e mi faccio da parte senza alcuna offesa. In ogni caso penso che tua zia sia davvero molto in gamba. A presto.
  10. Io ce l'ho davvero un diario, ma lì è diverso. Scrivere dovrebbe servire a rendere più oggettive le cose. Invece quando sai che nessuno ti leggerà a volte non funziona. Scrivi come se dicessi a te stesso sempre le stesse cose, giri in tondo, non arrivi da nessuna parte e alla fine è come se non avessi scritto. Forse questa è una bella idea, ma già l'idea di dovermi esprimere mi fa sentire ancora più demotivato e depresso. Ero stanco prima delle ferie, sono stanco dopo. Non è cambiato nulla, assolutamente nulla. Ormai è davvero impossibile superare quest'ostacolo. Non ce la faccio più a fare questo lavoro. Un mio collega dice che si chiama "burn out". Bene. Dare un nome alle cose, per di più straniero, le fa sembrare più precise, inquadrate. Ma anche più distanti, sminuite. Ci da sollievo sapere che qualcuno ha classificato quella situazione emotiva come qualcosa che accade anche ad altri. Tradotto in parole povere ci si brucia. Non nel senso che ci si fa male, ma troppo in fretta. Come una candela che si consuma prima del tempo. Spenti, consumati, bruciati appunto. Ma questo ha anche un rovescio della medaglia. Alla fine si resta soli col problema, senza soluzione, devastati da quella pigrizia emotiva che sfiora la depressione. Mi pesa stare seduto su questa sedia, davanti a questo monitor, chiuso in quest'ufficio come in una gabbia. Ora, dopo due giorni dal rientro, è arrivato del lavoro da fare e questo mi rende ancora più infelice. Qualcuno mi inocula nel cervello quello a cui dovrò pensare nei prossimi giorni. Il posto è tranquillo, le persone cordiali, ma non basta. Non più. E' davvero come una siringa, infilata nella testa, che decide cosa ti dovrà interessare nei prossimi giorni, di cosa ti dovrai occupare. La parte di te che pensa, "Non me ne può fregare di meno di tutto questo", sarà messa da parte ancora una volta. Frustata seviziata, ridotta ad una larva umana, un ammasso di ossa e muscoli senza pelle, perchè anche quella gliel'hanno strappata via. Implora, chiede pietà, urla. Un urlo sordo, che sbatte contro una parete di metallo. Il riverbero di quel lamento mi strazia, mi stringe il cuore. Provo a rassicurare quella larva ma non basto a me stesso. Cerco dentro di me un uomo più grande di me che possa rassicurare quell'essere sofferente che mi identifica, ma non trovo niente. Mi tremano le mani...taglio!!
  11. M.

    esaurimento...

    Ciao, mi hanno molto colpito le cose che hai scritto in questa discussione. Io la rabbia che stai provando tu l'ho dovuta affrontare a 27 anni. Ora ne ho 36 e i miei problemi sono di tutt'altra natura. Ma non parliamo di questo. Quello che volevo dirti è che capisco la tua paura. Le cose che dici sono tante ma io mi soffermo sugli elementi che in questo momento mi hanno colpito di più. La rabbia. Ti spaventa, quando esce da te ti senti un altra persona, non ti riconosci, ma più che altro pensi che potresti diventare qualsiasi cosa. Hai paura di non avere più il controllo di te, di diventare un mostro. E' inevitabile che tu abbia questa paura. Non temere di odiare qualcuno che ti è caro. Odialo. Non puoi vedere la fine del film (passami la metafora) in questo momento. A tuo padre vuoi bene, non devi aver paura di perdere questo bene. Forse in nome di questo bene hai sacrificato una parte di te stessa, una parte che ora esce per rivendicare la sua esistenza. Esce con violenza e sembra un mostro. Ma occorre ascoltarlo quel mostro, farlo ritornare a noi, portarlo ad essere un tutt'uno con quello che siamo. Forse è un discorso che ti sembra complicato ma l'unica cosa che mi viene di consigliarti è di ascoltare dentro di te la rabbia quando si sviluppa, sentire cosa ha da dirti, anche prima che si trasformi in azione, se ci riesci. Quando proprio vuole uscire e trasformarsi in azione trova qualcosa che faccia meno danni possibile a te e agli altri. Mettiti nelle condizioni di essere libera di poterla provare e sfogare. Vedrai che piano piano si trasformerà in qualcosa di più umano e meno mostruoso. Tornerà all'altra parte di te, si daranno la mano e si diranno: "xxxx esistiamo tutte e due e riusciamo a non oscurarci a vicenda, riusciamo ad esistere abbracciate". Quando arriverà quello sarà un bel momento. Forse scoprirai tante cose, che quello che odiavi non era vermente tuo padre, o forse lo era ma in un altra forma. Scoprirai di volergli un bene dell'anima e ti accorgerai che forse tutto è stato utile, anche ciò che in certi momenti terribili sembrava assurdo e mostruoso. Non so se ti sono stato utile. Scusami se mi sono lasciato andare troppo con la fantasia, spero di non avere esagerato. E' che questa tua situazione mi coinvolge parecchio e così...vabbè, credo tu abbia capito. Un abbraccio M.
  12. Ciao Vera, anche io ho avuto un problema simile al tuo. Adesso si è molto stabilizzato. Anche se a volte riemerge riesco comunque a tenerlo sotto controllo e a gestirlo in breve tempo. Ho imparato ad andare in giro con le salviettine intime (e puoi capire come si può sentire un ragazzo in una simile situazione). A volte conservo una bottiglietta di acqua vuota che al bagno riempio con acqua calda e con dei fazzoletti resistenti cerco di curare l'igiene in modo da potermi sentire un po' a posto. Questi accogimenti inbarazzanti solo soltanto escamotage pratici ma qualcosa fanno. Da quello che mi sembra di intuire e di ricordare penso che tu sia abbastanza giovane quindi ti sconsiglio di prendere ansiolitici (a meno che non sia strettamente necessario in brevi periodi e per motivi contingenti). Altrimenti ti consiglio di consultare un buon psicanalista (oltre ovviamente al tuo medico di famiglia). Te lo dico perchè non so l'attuale psicologa che frequenti di che tipoliga sia. In ogni caso un anno è poco per trarre conclusioni. Il fatto che il corpo abbia questa reazione anzi forse è anche un sintomo che si muovono delle energie emotive. Sta emergendo un'ansia che era sommersa. Dovresti parlarne con la tua psicologa e valutare la situazione. Con una buona terapia si posso risolvere problemi anche più gravi e in genere gli ansiolitici sono necessari solo per persone troppo grandi che non sopporterebbero la fatica di una psicoterapia (che in genere viene sconsigliata dopo una certa età). Ma tu hai tutta la vita davanti. Dedicando alcuni anni a te stessa potresti renderla meravigliosa. Anche io 2 anni fa quando il problema scoppiò in forma acuta andai dal medico di famiglia a fare analisi e risultò che non avevo nulla. Dato che avevo già seguito una terapia per alcuni anni (che purtroppo per motivi non dipendenti dalla mia volontà ho dovuto abbandonare) sapevo benissimo che il problema poteva essere di origine psicologica. E anche se in forma così acuta non ce l'avevo mai avuto ricordo benissimo che nel periodo che seguii la psicoterapia tutti i piccoli problemi gastro intestinali sparirono. Purtroppo questo problema acuto che ho avuto 2 anni fa credo sia da attribuire ad un brutta delusione amorosa da cui credo di non essere riuscito mai a riprendermi del tutto. Vorrei telefonare alla mia ex analista ma ho una tremenda paura. E' un po' che ci penso e ma non trovo il coraggio. Chissà che magari scambiando due chiacchiere con te e con gli altri non riesca a trovarlo. Un abbraccione
  13. Ma guarda che sei tu quello che si ostina a voler dimostrare a tutti i costi scientificamente tutto quanto. Io ti rispondo esattamente il contrario di quello che tu dici: che senso ha perdere tempo a fare queste dimostrazioni scientifiche? Per me questa è una perdita di tempo. E anche questa discussione, messa in questi termini, lo sta diventando. Che mi frega a me di scartare o meno delle teorie? Non è certo il mio compito. Se dentro di me sento vera una cosa, non me ne importa proprio niente che sia vera anche al di fuori di me. Al di fuori di me, per quel che mi riguarda, potrebbe anche essere falsa. La cosa importante è quello che sento io. E' questo che a te continua a sfuggire. Scusa ma perchè ti arrabbi? Oltretutto offendi pure, ma come ti permetti? L'unica cosa che mi permetto di dirti è che questa tua rabbia evidenzia in modo molto lampante che evidentemente devo aver toccato qualche tuo punto dolente. Infatti è fin dai precedenti messaggi che continui a reagire ingiustificatamente come se ti avessero violentato la madre. Io non faccio nessun giochetto. Sei tu, mi sembra, che continui a sbraitare e battere i piedi. Ero tentato fin dall'inizio, visti i tuoi modi arroganti, di chiudere la discussione. Ci sono passato sopra per una questione di buonsenso, perchè ho visto che non mi faceva troppa fatica passarci sopra. Mi sono anche stupito di questo. Forse senza rendermene conto sto diventando più saggio. Io non confondo nulla. E se è vero quello che dici non hai motivo di arrabbiarti. Come ho già ribadito più volte sei tu a manifestare il bisogno di una teoria che rispetti i criteri di un modello scientifico. Cerco di spiegartelo ancora una volta in parole semplici. Che si riesca a dimostrare scientificamente dell'esistenza di un corpo astrale o che si riesca scientificamente a dimostrare il contrario a me non interessa. In entrambi i casi i miei personali vissuti interiori non cambierebbero. Io non ho bisogno di dimostrazioni scientifiche per credere alle emozioni che provo. Ma sopratutto mi sento libero di fantasticare a piacimento sui miei vissuti senza che questo debba per forza avere un riscontro nella realtà tangibile. E mi sembra di poter affermare che non noto in te altrettanta libertà. Come fai a farmi notare errori quando ammetti apertamente di non aver letto tutto il mio intervento? E' quello che continui a fare fin dall'inizio. Estrapoli le frasi dal contesto e ti metti a contestarle. Che senso ha? Parli di formulazione dogmatica quando dogmatica non lo è affatto (l'ho già detto e lo ripeto). La psicoanalisi, al pari di altre dottrine, si basa su un metodo induttivo-deduttivo atto ad osservare il comportamento di singoli individui. Le possibilità di verifica e di crescita sono date da tutte le persone che l'hanno provata su se stessi e che ne hanno tratto evidenti risultati positivi (e persino da quelli a cui non è stata utile). Continui a parlare di qualcosa che non conosci minimamente e ti attribuisci la presunzione di dire che è dogmatica, non è scientifica e che prescinde dalle possibilità di verifica. Ma su un forum del genere che ci vieni a fare? Bè visto che è così palese che io non conosca la scienza perché dovrei dirti qual'è la mia professione? E se scoprissi che ha a che fare con qualcosa di scientifico cosa faresti? Mah... Mi dispiace ma per ora non credo ci sia la reale necessità di rivelarla. Deciderò successivamente se e quando farlo. Noto infatti che è proprio questo tuo bisogno di dare una spiegazione a tutto che ti mette in difficoltà. Io un idea di quale sia questa tua difficoltà me la sono fatta e vorrei permettermi di descriverla puntualizzando che è solo una mia supposizione e che non ha in nessun modo la pretesa di corrispondere al vero. Io penso che tu abbia una paura matta di scoprirti a fantasticare sul corpo astrale. Quello che tu cerchi di fare, secondo me, è di mettere al sicuro te stesso. A te non interessa realmente scambiare opionioni con me, ti interessa soltanto omologarmi. Siccome tu vieti a te stesso la libertà di fantasticare su questo argomento ma la sua "non dimostrabilità" non è sufficiente per farti stare tranquillo quello che cerchi di fare è di negarlo anche agli altri. La sola mia esistenza, e cioè l'esistenza di un pensiero diverso dal tuo, ti minaccia, perchè mette in discussione qualcosa che probabilmente dentro di te poggia su delle basi non molto solide. Non puoi dimostrare scientificamente l'esistenza del corpo astrale ma non puoi neanche fare il contrario (cioè dimostrare che non esista) e questo piccolo, ultimo, particolare ti turba così tanto che l'unica cosa che puoi fare è cercare di convincere tutti che la tua visione è l'unica giusta e possibile. Non ti pare di essere un po' troppo presuntuoso? Per quanto riguarda Freud lungi da me considerarlo un dio (un essere umano poi, figurati...si vede proprio che non mi conosci). Ma non posso fare a meno di stimare molto una persona che mi ha insegnato a mettere in dubbio me stesso e le mie convizioni nella sua interezza, che mi ha insegnato ad andare oltre la superficie e a scavare a fondo nelle paure e nei tabù alla ricerca di qualcosa di molto più solido di un banale punto di riferimento esterno. Come tu stesso giustamente dici sono delle banalità. Parole sante. Grazie mille digi. Un saluto
  14. Non desidero aprire un dibattito in questi termini perché penso che non ci sia peggior sordo di chi non vuol sentire. Mi pare chiaro che tu sappia già tutto di me senza neanche conoscermi, quindi perché argomentare? Infatti non lo faccio. Mi basta dire che dopo avere avuto per parecchi anni una fede incrollabile nella scienza ho imparato sulla mia pelle che nulla su questa terra merita la mia fede. Ho imparato a dubitare di tutto, anche della scienza. Per il resto puoi pensare quello che vuoi, a me non cambia niente. Quello che tu ancora non hai capito è che Io non ho bisogno di dimostrare un bel niente. A me non me ne frega un acca se il corpo astrale lascia davvero quello fisico, né mi frega di sapere se il corpo astrale esista veramente. Quello che mi basta sapere è che la mia psiche riesca a creare una situazione emotiva di questo genere. Punto. Ognuno poi può vederci dentro quello che vuole. Di certo non mi danneggia (come sembra fare invece con te). Se avessi letto tutto il topic (tra l'altro) ti saresti reso conto che ho parlato di sogni lucidi. Per quanto mi riguarda il volo astrale non è altro che un sogno lucido un po' più lucido degli altri. Niente di più. Ma tu non potevi far caso a questo perché eri troppo impegnato a difendere il tuo dio assoluto (la scienza) cercando di instaurare con me un battibecco da partita di calcio. No, grazie. Non attacca. Gli stadi non mi hanno mai interessato, né mi interessa dimostrare di "avercelo più lungo" (come si suol dire per indicare freudiani "bracci di ferro" filosofici). Detto questo, sorvolo volontariamente sui tuoi modi poco ortodossi e mi appresto a descrivere un piccolo aneddoto a cui stavo pensando qualche giorno fa. Qualche anno fa lessi un articolo che parlava di un 2° cervello che abbiamo in pancia. Come 2° cervello si indicava la quantità esorbitante di fibre nervose che passano nel nostro intestino e che, data la quantità, vanno a formare un epicentro nervoso importante almeno quanto il nostro cervello primario. A questo proposito sono riuscito a recuperare su internet un articolo che descrive bene l'argomento e che si trova al seguente indirizzo: Abbiamo 2 Cervelli: uno in testa uno in pancia Mi permetto di estrarre da questo articolo 2 brevi brani ma prego a chi ha buona volontà di leggerlo tutto perché è davvero interessante: In tutte le culture, nei modi di dire, nel senso comune, la pancia è tradizionalmente la sede principale (più del cervello) dei sentimenti e delle emozioni. Ma fino a oggi per gli scienziati era un semplice tubo governato da riflessi; e per la maggior parte dei cittadini del mondo occidentale solo la parte più prosaica, viscida e rumorosa del corpo umano. Finché a qualcuno non è venuto in mente di contare le fibre nervose dell'intestino. E ha così scoperto che i modi di dire si basavano su una realtà scientifica: nella pancia c'è un secondo cervello, quasi una copia di quello che abbiamo nella testa. Non serve solo alla digestione. Come il cervello della testa anche quello addominale produce sostanze psicoattive che influenzano gli stati d'animo, come la serotonina, la dopamina, ma anche oppiacei antidolorifici e persino benzodiazepine, sostanze calmanti come il valium. ... «Nei prossimi anni potremmo scoprire che il cervello dell'addome è la matrice biologica dell'inconscio. Una scoperta importante per gli uomini quanto quella di Copernico sul sistema solare» sostiene Gershon. L'articolo si basa sugli studi convergenti di vari scienziati. Il più importante Michael D. Gershon che ha scritto proprio il saggio "The Second Brain" (divulgativo ma di lettura abbastanza complessa) A questo punto vorrei tornare alla nostra psicoanalisi (quale migliore forum per parlarne) che all'epoca di Freud fu parecchio bistrattata e accusata di essere troppo dogmatica e non scientifica. Ovviamente oggi sappiamo che erano preconcetti di bigotti conservatori, che non vedevano al di là del loro naso e che della scoperta di Freud non avevano capito nulla o quasi (altrimenti si sarebbero ben guardati dal chiamarla dogmatica). Ma non è questo il punto. Il punto è che oggi, a quasi 1 secolo di distanza, degli scienziati hanno scoperto che abbiamo un secondo cervello in pancia che forse è imparentato col nostro inconscio. Scoperte sicuramente importanti che ci faranno indubbiamente progredire ma che inevitabilmente hanno prodotto in me una "grassa risata" di scherno e soddisfazione verso quegli stolti che un secolo fa bistrattarono tanto le teorie dell'incoscio solo perché conservatori e attaccati al passato, e sopratutto timorosi di mettere in discussione la loro "fede" scientifica. Una fede che nulla aveva a che vedere con quel "mettere sempre in discussione se stessa" di cui la scienza sempre si vanta. Un vanto fregiato solo a parole ma spesso negato coi fatti. Se prima di questa scoperta la pancia era per gli scienziati soltanto un tubo governato da riflessi non era certo per incapacità, ma per cattiva volontà e grettezza. Perché anch'essi, in quanto umani, guardano solo quello che a loro fa comodo di vedere (come si suol dire tirano l'acqua al loro mulino). Nel frattempo che loro dormivano invece (o forse cercavano la "materia oscura" dell'universo) milioni di persone hanno risolto i loro problemi attraverso la psicoanalisi. A queste persone interessa poco oggi di sapere quante fibre nervose ci sono in pancia. A loro bastano i risultati che hanno ottenuto e continuano a ottenere ogni giorno su se stessi. E come me si faranno una grassa risata pensando che con la psicoanalisi ci hanno curato persino la loro colite (un effetto secondario del lavoro analitico che è capitato anche a me personalmente). Mi permetto di ipotizzare che tu possa aver male interpretato le parole di digi79. D'altra parte cosa ci sarebbe di strano. Richiede molto più sforzo mettere in discussione la propria "fede incrollabile" che accettare la realtà (passivo non direi proprio, questo è quello che a te fa comodo credere). Un saluto (Edit: Un parentesi puramente formale. Spero tu ti renda conto che "non ti azzardare" è quasi una minaccia. Te la passo per delicatezza, perché mi sembra di capire che questo argomento sia per te un delicato punto di riferimento. Ma ti invito cordialmente ad un maggior rispetto. Anche perché io non devo certo rendere conto a te dei miei pensieri e delle mie azioni. Saluti.)
  15. Perchè c'è qualcosa di male a dare un nome fantasioso ad una sensazione emotiva? E da quando scusa? Tu quando dici alla tua donna di amarla che cosa gli racconti: "La mia reazione chimica che crea la sensazione scientifica dell'amore mi fa sentire attratto da te", oppure gli dici "ti amo" e nomini stelle, lune, pianeti, cose poetiche da associare ai suoi occhi e ai suoi capelli? Non ti pare di esagerare un tantino? Io non ho mai parlato di metafisica. E' qui che casca l'asino (mi sembrava strano che nessuno avesse ancora abboccato all'amo ) . Esistono altri approcci ai problemi ugualmente validi e riconosciuti a livello medico che non si rifanno necessariamente al metodo scientifico in senso stretto. Non si rifanno a questo metodo eppure sono ugualmente riconosciuti dalla scienza. Gli articoletti dei giornalisti che si riempiono la bocca su quattro cretinate che hanno letto in giro da qualche scienziato, magari storpiandone il significato? Bè, quelli per me sono spazzaura. E anche certi scienziati (non ho detto tutti gli scienziati. Sono anche io un estimatore della scienza, quando serve). Quelli che cercano di ricondurre le cose per forza ai numeri perchè quello è il loro unico metodo per approcciare ai problemi. Quelli sono spazzatura. E' una religione anche quella. La religione dei numeri. E' vero solo ciò che è scientifico. Ma per favore... Ogni metodo serve a qualcosa, dire che ne esiste solo "uno" equivale a creare dei "credo assoluti" non tanto diversi dalla "tua" odiata metafisica. Ed è davvero curioso che tu venga a fare un discorso del genere proprio su un forum dedicato alla psicologia e alla psicoanalisi. Materie valide e riconosciute (potremmo dire sì a livello scientifico, ma solo in un accezione moderna del termine. E non nella rigorosa accezione numerica che gli si attribuiva un tempo purtroppo ancora non tanto dimenticato)...Valide e riconosciute dicevo, ma che hanno un approccio umanistico allo studio dei problemi. Nè metafisico come hai concluso subito tu (saltando affrettatamente a delle distorte deduzioni personali), né rigorosamente numerico. E tutto il resto? Tutto il resto è noia... Un saluto
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