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muchachaenlaventana

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  1. Ciao Roberto, ma hai mai parlato di questa tua inclinazione con qualche responsabile? Di solito nelle aziende ci tengono ad assecondare e sviluppare le capacità dei dipendenti per ottimizzare la produttività. Il fatto che tu non abbia una specializzazione vera e propria ma una competenza più eclettica potrebbe anche tornare a tuo vantaggio perché possono permettersi di farti cambiare mansione e di formarti. In fondo sei ancora relativamente giovane ma al tempo stesso hai esperienza. Sono d'accordo con te che la partita IVA sia un incubo e tuttavia non ho mai avuto il coraggio di cambiare. Se avessi la responsabilità di un'azienda, apprezzerei molto questa tua voglia di cambiare e ti metterei alla prova: flessibilità e coraggio sono doti molto utili... Ti auguro di cuore di poter trovare maggiore soddisfazione.
  2. Naturalmente non sono nei tuoi panni e posso parlare solo dal mio punto di vista che inevitabilmente non è il tuo. Sono quasi 25 anni che svolgo lo stesso lavoro, nel settore per il quale ho studiato e iniziando con grande entusiasmo anche perché entrare nel mondo del lavoro all'epoca significava affrancarmi dalla mia famiglia e avrei fatto di tutto. Con il tempo mi sono un po' stancata e da anni non ho più stimoli se non quello dello stipendio, in più il mercato e quindi le condizioni sono cambiati in peggio. Così mi sono fatta l'idea che il lavoro deve piacere, certo, ma serve sostanzialmente per garantirsi la sussistenza e che le gratificazioni vanno trovate altrove, fuori, in famiglia, con gli amici, dove vuoi ma fuori dall'ufficio o dalla fabbrica. Il momento non è molto propizio per iniziare un'attività propria E pure redditizia: se hai il coraggio di provare, tanto rispetto. Ma forse dopo qualche tempo ti troveresti a fare i conti con la routine, con la burocrazia, con l'esigenza di scendere a compromessi per guadagnare. E in più avresti perso quella dimestichezza che rende il lavoro forse un po' monotono ma tanto semplice... Dipende dal tuo carattere, da quanti anni hai. Davvero vorresti confrontarti con un mondo sconosciuto e ricominciare da capo? Se ne sei sicuro, allora hai il carattere giusto. Ma sai già cosa vorresti fare?
  3. Spesso, per un depresso, il principale ostacolo alla guarigione è il rifiuto di curarsi. Il fatto che la tua ragazza sia in terapia è molto positivo. Per mia esperienza, ci vuole tempo, ci vuole perseveranza. Non sono neanche sicura che si possa parlare di guarigione vera e propria, ma di sicuro si può imparare a gestire questa condizione e condurre una vita normale, farsi una famiglia, avere dei figli e amarli e accudirli, eventualmente ricorrendo alla terapia quando necessario. Non lasciatevi influenzare dalla depressione: è una malattia come tante altre che possono capitare nella vita e che, se ci si ama e ci si sostiene, non minano necessariamente l'equilibrio di una coppia.
  4. Senti ma... davvero accetti che il tuo partner frughi tra i tuoi messaggi e pensi di essere TU ad avere qualcosa che non va e a dover riconquistare la SUA fiducia?
  5. Mi stride sempre un po' quando una persona sopra i 20/25 anni si definisce "ragazzo/ragazza". Da una certa età in poi, per non parlare di 37 anni, si è uomini e donne. Prova innanzitutto a considerarti una donna di 37 anni. Poi pensa che le relazioni amorose si evolvono naturalmente: l'innamoramento passionale prima o poi si stempera e, nel migliore dei casi, subentra una fase di amore/affetto/rispetto/voglia di stare insieme anche senza la passione di vent'anni prima. [A volte invece volano parole grosse, piatti, schiaffi: in questo caso è inevitabile lasciarsi, ma non è il caso che interessa a noi]. Gli ormoni e il sentimento purtroppo non camminano necessariamente a braccetto: spesso si ama una persona e se ne insegue un'altra, che presto diventerà a sua volta e inevitabilmente un corpo conosciuto e privo di particolari attrattive. Prova, con uno sforzo di fantasia, a immaginare l'amante in ciabatte, con la maglietta impataccata e i calzini lisi e chiediti se tra vent'anni, al netto dell'attrazione fisica, il vostro rapporto sarà di complicità, amore e allegria. Ne vale la pena? Forse sì, ma la risposta te la deve dare la donna che sei, non la ragazza che eri.
  6. muchachaenlaventana

    Sono finita

    Naturalmente non so come funzionino le cose in Australia. Per la mia esperienza, lo psichiatra non richiede visite molto frequenti, se non inizialmente per calibrare la terapia: sono passati molti anni ma ricordo un primo colloquio, seguito forse da un paio di visite settimanali e via via sempre meno frequenti. La psicoterapia, quella sì, è più impegnativa e richiede incontri regolari. Però non so quanto possa essere utile in questa fase, soprattutto se non ti senti perfettamente padrona dell'inglese, quindi un passettino alla volta Il medico di base ti prenderà assolutamente sul serio, vedrai.
  7. muchachaenlaventana

    Sono finita

    Vali, lo so bene che fa parte della depressione vivere di rimpianti e non riuscire a vedere un futuro, ma ti garantisco che perfino a 50 anni è possibile sentirsi giovani e fare dei progetti Vivi in città? Hai un medico di base là? Prova a chiedere consiglio a lui/lei: magari può indirizzarti nella scelta dello specialista oppure dirti se esiste un servizio psichiatrico gratuito. In ogni caso, se hai paura che il tuo compagno non capisca, potresti prenotare una visita e parlargliene solo dopo, quando tu stessa avrai capito di cosa si tratta e potrai persuadere anche lui. A 30 anni puoi ancora studiare, trovare un lavoro, avere figli se ne vuoi... Insomma, statisticamente è più la vita che hai davanti di quella che hai già vissuto e il meglio deve ancora arrivare: è difficile crederci ma non hai niente da perdere e un tentativo lo devi fare. Una persona che ti ama non può impedirtelo.
  8. muchachaenlaventana

    Sono finita

    Il problema principale del malessere psicologico è che la maggior parte delle persone lo ritiene un capriccio o un problema di carattere. I medici e gli psicologi invece sono molto empatici, sanno bene quanto sia difficile mettersi a nudo e riescono quasi sempre a far sentire accolti e protetti i loro pazienti (il "quasi" è d'obbligo, trattandosi di esseri umani). Il grande vantaggio di voi giovani rispetto a chi ha sofferto in passato è che negli ultimi decenni sono stati compiuti passi da gigante: la sofferenza psichica oggi è molto più compresa e accettata e spesso esistono banchi di ascolto psicologico nelle scuole. Nella tua scuola non esiste questo servizio? Prova a informarti, è utile e gratuito. (Aneddoto: quando frequentavo la quarta superiore, negli anni '80, ebbi un grosso crollo emotivo, piangevo di continuo, stavo visibilmente male; l'unica insegnante che mostrò di essersi resa conto del mio malessere fu quella di matematica che mi prese in disparte e volle parlarmi. Ma ahimé non aveva grandi capacità psicologiche: mi chiese a bruciapelo se per caso non fossi incinta o innamorata del prof. di ragioneria. Morale: mi sentii ancora più incompresa e disperata. Questo per dire che amici/fidanzati/parenti comprensivi fanno bene al cuore ma non hanno idea di come aiutare una persona che soffre). Ti faccio tanti auguri per la maturità e, soprattutto, di trovare la serenità che meriti.
  9. muchachaenlaventana

    Sono finita

    Per tanti aspetti mi ricordi la me stessa di tanti anni fa. Ho iniziato ad avere coscienza di stare male verso i 18 anni e ho iniziato a curarmi solo a 36, quindi vedi che cambiare si può a qualsiasi età. La depressione è una malattia come tante altre, quindi basta affrontarla con il medico giusto per cambiare la qualità della vita in una maniera che ti sorprenderà. L'unico problema è che la gente non lo sa e il depresso non ha voglia di curarsi. Io all'inizio mi sono rivolta a uno psichiatra che mi ha prescritto una cura farmacologica e ho reagito bene in pochi giorni; da quel momento ho sentito anche il bisogno di "parlare" con qualcuno dei problemi che avevo accumulato nel corso degli anni e ho aggiunto la psicoterapia. Nel mio caso è stato fondamentale iniziare con i farmaci, semplicemente per ritrovare la voglia di vivere e di fare. A volte anche i medici di base prescrivono degli antidepressivi ma è importante che sia proprio uno psichiatra a stabilire quale farmaco e quale dosaggio sono adatti per il ogni caso specifico. Non devi vergognarti né di rivolgerti a uno psichiatra né eventualmente di assumere gli psicofarmaci: siamo in tanti, più di quanti tu creda. Il tuo compagno dovrà prenderti sul serio: iniziate entrambi a leggere qualcosa sulla depressione per familiarizzare con l'idea, ci sono centinaia di articoli su Internet. Se stai bene tu, starà sicuramente meglio anche lui.
  10. Un po' sì, tanto che ho sentito il bisogno di tornare in questo forum dopo tanti anni. Purtroppo vedo che non c'è più la partecipazione di una volta, quindi grazie per aver lanciato un'esca a cui abbocco con piacere A dire il vero lavoro a casa da tempi immemori, il mio è un lavoro che richiede concentrazione e che svolgo senza interagire quasi mai con nessuno se non per mail, quindi sono abituata a un certo isolamento e lo gradisco perfino. Quello a cui non ero abituata è la presenza costante di marito e figli, tutti insieme e tutti alle prese con le rispettive occupazioni piuttosto rumorose, tra lezioni online, conference call e videocamere impietosamente intrusive. Tuttavia quello che mi pesa non è tanto il presente, che anzi in casa mi sento comoda e sicura, quanto l'incertezza del futuro.
  11. muchachaenlaventana

    Sono finita

    Cara Vali, io lo capisco quanto è dura e immagino lo sia ancora di più in un paese che non è il tuo. Consigli non ne ho, purtroppo, però una cosa la so: non se ne esce senza un aiuto professionale. (Ho perso 20 anni della mia vita a chiedermi come uscirne, cosa avessi fatto di male per essere così sola, così sbagliata, così diversa, ad aggrapparmi disperatamente agli altri trovandomi ancora più sola e disperata. E l'unica cosa che serviva per iniziare a guarire era un medico). Un abbraccio
  12. Ciao, non sono una professionista ma visto che non risponde nessuno posso parlarti della mia esperienza di paziente. Nell'arco di più di 20 anni ho provato 4 psicoterapeuti, alcuni per breve tempo, uno per almeno 7 anni e quello attuale da circa un anno e mezzo. Li ho scelti in maniera del tutto casuale, in base a criteri di comodità e/o consiglio di amici/parenti. Lo psicanalista freudiano l'ho scartato dopo poco perché mi sentivo troppo esposta sul lettino con una persona silenziosa alle spalle, semplicemente trascorrevo le sedute in imbarazzato silenzio; con la giovane psicologa di orientamento psicodinamico non mi sentivo a mio agio, mi sembrava troppo giovane. Lo psichiatra/psicoterapeuta (psicodinamico anche lui) dei 7 anni è quello che mi ha aiutato di più, grazie anche all'aiuto degli psicofarmaci. Nel lungo rapporto con lui si sono accumulati sentimenti negativi e problemi che non sono riuscita ad affrontare e risolvere, per cui a malincuore, con un senso di lacerazione indicibile e guarita dei problemi originari ma malmessa per altri versi, ho interrotto la psicoterapia decisa a non ricominciare mai più. Purtroppo - o per fortuna - nessun cambiamento è per sempre e sono stata costretta, dopo quasi un decennio, a riprovarci chiedendo consiglio a un'amica psicoterapeuta che mi ha consigliato il terapeuta attuale. Rapporto privo di sbalzi emozionali, liscio, sereno, come si confà a un medico e a una paziente entrambi non di primo pelo. Tutto questo per dire che: la scelta del terapeuta è questione di esigenze, di indole e di fortuna; al massimo puoi stabilire se desideri un approccio breve (necessariamente improntato alla pratica) o lungo (di carattere analitico) ma poi occorre la fortuna di incontrare un terapeuta con cui esista una compatibilità umana reciproca. Cambiare psicoterapeuta succede: è pur sempre un distacco che può essere doloroso, così come può essere faticoso ricominciare. Alla risposta 3 non so rispondere: personalmente non parlerei mai in pubblico per niente al mondo, ma è anche vero che non ho mai affrontato specificamente questa problematica; però non mi definirei più sociofobica ma solo molto selettiva. Non esistono terapie risolutive e definitive: cambiamo continuamente, non sempre disponiamo degli strumenti per affrontare il cambiamento con equilibrio, quindi le ricadute sono possibili e sono colpa di nessuno. Non trovo niente di sbagliato nel parlare con amici e parenti degli argomenti discussi in terapia, se è una necessità tua e ti aiuta/ti fa piacere farlo. Di terapia online non ho esperienza: mi piace l'idea di un setting neutro e di un terapeuta vicino fisicamente, tutto all'insegna della massima riservatezza. Buon proseguimento.
  13. Sono approdata su questo forum anni fa, una decina credo, in preda all'ossessione per il mio psicoterapeuta di allora: un uomo colto, affascinante e ben conscio di esserlo. Io credo che abbia anche un po' giocato a fare il piacione con me, non tanto per interesse nei miei confronti quanto per alimentare questo transfert che era nell'aria ma di cui non riuscivo mai a parlare. Per qualche anno ho lavorato insieme a lui, sofferto, costruito ma mi sono anche tanto divertita come un'adolescente che flirta con il figo di classe. Nel momento in cui ho provato a esprimere il mio stato d'animo, però, è andato tutto a catafascio: mi sono sentita rifiutata e presa in giro perché va bene che il transfert è terapeutico e va stimolato, ma va in ogni caso gestito con delicatezza e rispetto, mentre ho avuto più volte l'impressione di alimentare il suo ego. Rotto il rapporto di fiducia, ho dovuto rompere anche la terapia senza la possibilità di riannodare le lacerazioni e senza il coraggio ricominciarne una nuova di cui avevo un gran bisogno. Solo un anno fa ho trovato il coraggio di riprovare. Adesso sono una matura signora prossima alla menopausa; lui è un signore sulla settantina, tranquillo e rispettoso dei ruoli. Transfert? Boh, non credo. Mi fido, lo ascolto volentieri, mi apro con lui con serenità come con un vecchio amico fidato ma quasi "da pari a pari", non pendo dalle sue labbra, vado alle sedute tranquilla e aspetto senza impazienza la seduta successiva. Sicuramente è un rapporto più confacente all'età di entrambi che lascia poco spazio agli ormoni, o forse sono semplicemente meno tormentata di un tempo, ma sono contenta così. Transfert? No, grazie.
  14. Buongiorno, Ho due figli che, come molti, seguono la didattica online. A me questa forma di insegnamento mette un'ansia considerevole per vari motivi e ho bisogno di fare un po' d'ordine tra le tante e confuse idee che si accavallano nella mia mente. Non mi piace che la scuola "entri" in casa mia. Non mi piace che i ragazzi debbano accendere la telecamera se, come nel caso di mia figlia, non desiderano farsi riprendere. Non mi piace che la didattica sia affidata a una tecnologia instabile o di cui non tutti dispongono. Non mi piace la frenesia di molti genitori di macinare il programma "per non restare indietro", senza preoccuparsi di chi già aveva difficoltà e adesso segue ancora peggio. Non mi piace che non si consideri che non in tutte le abitazioni esistono condizioni favorevoli. Non mi piace che non si pensi che molti genitori lavorano e non possono seguire i bambini non autonomi nell'uso dei mezzi informatici. E che gli insegnanti vadano avanti imperterriti senza mai chiedere "come va" e che non ci sia modo di comunicare con loro se non attraverso i rappresentanti di classe. Insomma, io comprendo perfettamente l'importanza dell'istruzione e di dare modo ai ragazzi di occupare le giornate, ma io la vivo male. Ne parliamo per favore? Grazie.
  15. Se la corte è sgradita, è sgradita e basta. Lo stalker è tale proprio perché sottovaluta la rottura di maroni che provoca!
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