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Per comprendere il mio malessere.


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Buona sera a tutti.
Felice di essermi iscritto. L'ho fatto qualche minuto fa ed il fatto che l'area "La coppia, l'amore e la dipendenza affettiva" abbia suscitato all'istante il mio interesse porta alla luce ed introduce ciò che turba da giorni il mio animo.
Ma prima di scrivere credo sia importante fare un quadro generale su di me, o almeno quel che sono col tempo riuscito a capire.
Uomo, 27 anni, celibe, occupato da poco come programmatore in una ditta, un passato fatto di molteplici esperienze lavorative anche in campi distanti l'uno dall'altro. Lavorativamente parlando soffro spesso di scarsa autostima dovuta al fatto di non riuscire ad interagire agonisticamente e di non pensare prevalentemente al bisogno di prevalere.
Penso spesso al lavoro ed un futuro realizzato con le mie forze, motivo per il quale trascorro saltuariamente momenti di difficoltà e deperimento interiore e fisico causati dal mio lanciarmi in nuove sfide, totalmente nuove, con l'interesse di lavorare, percependo scarsi guadagni (essendo l'inizio) in termini pecuniari ma, in compenso, ottime risorse in termini di esperienza personale e competenze lavorative. Il mio "entra ed esci" da ogni esperienza lavorativa mi mostra spesso una incapacità nell'adattamento ed un'intensa sensazione di malessere che avverto come estraniazione. Spiegando, una volta iniziata un'esperienza, svanita l'eccitazione iniziale (la quale ha subìto un costante decremento di tempo), mi ritrovo generalmente ad elencare gli aspetti negativi e le fatiche che porterebbe impegnarmi nell'esperienza in questione, perdendo così di vista l'obiettivo finale, ammesso che me ne sia posto uno. Una volta raggiunto un numero utile di aspetti negativi l'esperienza diventa fatica. Ecco che si insinua in me la paura di impegnare forze ed energie. Il più delle volte, ma mi correggerei scrivendo "ogni volta" l'esperienza si trasforma in un'esperienza passata con dispiaceri e rimorsi annessi. Dall'esperienza lasciata rubo ciò che per me è il guadagno. Il guadagno è principalmente un fagotto in spalla riempito celermente di competenze, teorie, esperienze altrui e attività di vario tipo.
La mia incostanza ed il mio poco presente timore della perdita spesso li associo al materasso che faticosamente attende ogni mia caduta: i miei genitori.
Mio padre, come mia madre, è il proprietario, dirigente ed amministratore di una S.r.l. i cui guadagni, seppur ridotti dalla crisi economica, risultano ancora positivi. La loro forza spesso ha raggiunto per me livelli disumani ed il loro sacrificio spesso mi ha dimostrato quanto duro può essere il lavoro. Ho intrapreso varie attività all'interno dell'azienda di famiglia nel tempo onguna delle quali si è conclusa con l'assenza finale, con la ricerca di nuove esperienze o più emotivamente il senso di estraniazione motivato da sensazioni di irrealizzazione personale, sensazione di incompetenza, sensazione di paura per le responsabilità ed il futuro.
Concentrandomi adesso sul motivo dell'apertura di questa discussione narrerò in breve ciò che nell'ultimo mese e mezzo mi ha sconvolto, angosciato, debilitato ed impaurito.
Circa 4 anni fa iniziava la mia storia con una donna. Ad oggi questa donna mi ha lasciato con un messaggio su WApp dicendomi "per me è finita" e frequentando, ad una settimana dal messaggio, un uomo intraprendente, muscoloso, affascinante, in gamba con le donne e con la vita, futuro avvocato e plurilaureato.
Il pensirero dello sconvolgimento procuratomi spesso mi porta la nausea, ha già contribuito e continua a farlo alla mia naturale perdita di capelli dandole man forte, mi ha fatto ricredere su ogni mia capacità, bontà, interesse, attitudine, caratteristica fisica e mentale.
L'autocritica parte dal momento in cui la donna in questione ha deliberatamente spiegato che i motivi del suo malessere erano legati a me, alla mia scarsa presenza, al mio disimpegno, ai miei turbamenti emotivi ed i miei difficili guadagni.
Il tutto continua a darmi dispiaceri dovendo decidere ogni giorno se partecipare ancora o no al progetto di insegnamento di salsa cubana con uno staff di 10 persone in cui lei ed io insegnamo. Aggiungo ciò che è un ulteriore fattore di malessere interiore quello della presenza dell'uomo che l'ha conquistata come allievo in questo progetto.
Alla luce di questa esperienza demotivante e deprimente ho iniziato a vivere difficoltosamente ogni attimo della giornata, avvertendo un'estrema solitudine ed un'insistente incapacità portatrice di autocritiche ed impossibiltà ad accettarsi, piacersi, amarsi ed essere fieri.
Ogni giorno imbocco la via per il lavoro che non amo, ma nel quale avverto di essere in grado. Poi piango, soffro e mi sento legato a qualcosa che mi costringe a soffocare.
E' diventato essenziale rivalutare ogni scelta, la prima è la salsa cubana. Trasformare questa esperienza in esperienza passata è più complicato delle altre. C'è lei che ha lasciato qualche porta aperta, c'è il mio interesse a voler portare avanti un attività che, pur non dandomi guadagni pecuniari, me ne ha dato molti in fatto di rapporti sociali e divertimento.
E' diventato importante rivalutare l'esperienza di programmatore (Garanzia Giovani per 6 mesi con pagamenti erogati dall'inps per un totale di 500 €) poichè la mia sofferenza spesso mi mostra agli occhi dei colleghi e chi mi valuta triste e distratto.
Le possibili soluzioni per evitare questi disagi sarebbero:
- tornare a lavorare per mio padre per la stessa somma ma con molti priviilegi in più.
- continuare ad insegnare salsa cubana, in piccolo, alla scuola di danza di mia sorella.
Questo è il quadro generale e le ipotetiche soluzioni ma, poichè desideroso di una luce intensa che guidi il mio respiro e la mia volontà ho provato a scavare dentro me per molto tempo con l'aiuto di uno psicoterapeuta il quale mi ha allegerito di un peso enorme legato all'infanzia. La mia ricerca ha dato origine ad una particolare risorsa che ho dimostrato di possedere nel tempo: saper cercare.
A questa risorsa si aggiunge una spinta.
Noto da molto tempo quanto sia innato nei miei genitori il voler aiutare le persone.
Questa inclinazione è in me.
Lo sento, adesso consapevolmente.
Mi spaventa molto.
Vorrei farne la mia gioia. Vorrei farne il mio amore.
Penso a come poter congiungere il saper cercare con la propensione all'aiuto per il prossimo.
E' una luce di speranza, un desiderio che valorizza il mio dolore e nobilità la mia sensibilità.
Mi chiedo quanto sia giusto adesso prendere decisioni. E probabilmente è per questo che sono qui a scrivere. Vorrei sapere quanto potebbe influire, un vuoto come il mio ed un colpo all'autostima come quello che ho ricevuto, sulle decisioni riguardanti il futuro e la "spinta" verso la "luce della speranza".

Quanto può essere risolutivo, razionale o produttivo pensare e magari saltare ad una nuova vita? Quanto questo debba essere valutato in correlazione alla mia tendenza al "prendi e scappa"?

Infine mi chiedo, e per questo chiedo anche a chi avrà resistito fino a questo punto del mio racconto, se, assimilati i concetti di sacrificio, impegno e costanza e, considerati i miei trascorsi e la mia età, ci sia la possibilità che io mi laureii in psicologia, faccia di questi studi il mio "cercare" ed il mio "aiutare" ed inizi così ad ascoltare ciò che sento adesso di voler fare.

Leggerò con interesse e piacere ogni risposta.
Alessandro

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Ciao, ho letto il tuo messaggio, un po' mi ritrovo in alcune cose che hai riportato.

Avere alle spalle esperienze lavorative diverse, scarsamente attrattive, accomuna - credo- tante persone della nostra generazione (ho 26 anni), e questo potrebbe essere un motivo di insofferenza e insicurezza personale suscitata dal confronto con chi ha avuto invece la possibilità-fortuna di realizzarsi subito.

Io ho investito, fin dal diploma, la mia vita in un percorso di formazione universitaria che mi permettesse di dedicarmi all'insegnamento e questo, nel periodo storico in cui viviamo, è socialmente difficile da far capire perchè se non fai soldi non sei nessuno.

Tutte le persone a cui mi è capitato di dire che voglio diventare un'insegnante mi hanno sempre guardata con una faccia di compassione o di perplessità. Suppongo sarebbe stato diverso se avessi detto di voler fare la delinquente.

Ho sempre studiato e lavorato nello stesso tempo, buttandomi anch'io in esperienze diverse, alcune delle quali continuo. Quelle che ho intrapreso per necessità, si sono sempre concluse in modo fallimentare perchè ho sperimentato tangibilmente che un lavoro condotto senza alcuna motivazione o gratificazione morale ti fa sentire peggio che in trappola.

Almeno per me la necessità di lasciare e passare ad altro non è stata dettata dalla spinta alla competizione o dall'autocritica, ma è sempre nata dal bisogno di sentirmi libera di fare ciò che a me piace veramente.

Ho trovato sempre grande soddisfazione nel fare volontariato con i bambini o nel lavorare saltuariamente presso centri educativi (con scarsa remunerazione economica) e, nonostante ciò, le persone a me vicino hanno sempre giudicato le mie scelte come segno di debolezza e quasi di stupidità ("come? Sprechi il tuo tempo ad aiutare gli altri senza prendere un vero stipendio?).

I miei stessi genitori o il mio ragazzo disapprovano quando a volte mi trattengo con i bambini oltre l'orario stabilito perchè non me la sento di lasciarli da soli ad aspettare che vengano a prenderli: non riescono a capire che un'educatrice non ha a che fare con un lavoro d'ufficio, per cui all'ora x chiude la baracca e se ne torna a casa. Il concetto che ci sia una responsabilità morale (oltre che penale se succede qualcosa a un minore in assenza di supervisione) che va oltre ogni possibile guadagno economico non viene contemplato.

Personalmente, di competere con il resto della società alla gara del successo e del riconoscimento lavorativo non me ne frega nulla.

So qual è la dimensione della mia soddisfazione e ritengo di non dover dimostrare nulla agli altri se alla fine del mese guadagno molto o poco. Ho fiducia che non mi mancherà l'opportunità di lavorare a tempo pieno nel campo che mi fa sentire felice. Non è molto meglio seguire le proprie passioni invece che raggiungere a tutti i costi e con tutti i mezzi un sucesso finto che è il buon costume della società a imporre?

Quanti sono i medici, avvocati, notai che vantano la propria posizione sociale come un diritto di famiglia? Quanti di essi praticano la propria professione con il cuore?

Per come la penso io, non dovresti aver timore di riflettere bene su ciò che desideri fare, anche se poi la tua scelta si rivelasse non definitiva: non dovresti dimostrare potenza e successo a nessuno.

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seguo l'ordine cronologico,prima voglio rispondere ad Alessandro: 1)come tu hai già ipotizzato ri/collabora con zelo e passione con l'azienda famigliare:xchè l'hai lasciata?oggi la crisi è come un mare in tempesta; è meglio nonché necessario remare e sudare insieme sulla stessa barca x evitare un doloroso e spesso inevitabile naufragio! 2)la disavventura sentimentale è stato solo un incidente:sei giovane ti puoi rifare evitando però di incorrere in una seconda esperienza negativa!3)le motivazioni altruistiche coltivale senza rimpianti:le occasioni x fare del bene capitano a tutti quotidianamente!se vuoi approfondire psicologia/psicanalisi comincia a leggere qualche buon libro:freud,Fromm,jung,reich;se poi vai a curiosare/navigare su questo forum potrai trovare esperienze,discussioni,messaggi utili x la tua vita e decisioni,scelte che devi prendere.4)instaura/coltiva dialoghi interpersonali sinceri,costruttivi ed appaganti con xsone di fiducia(con i genitori?) e concentrati sui tuoi obiettivi determinato a vincere in ogni settore:la crisi nel campo lavorativo acuisce competizione restringendo le opportunità(metafora dei treni).

medea sono pienamente d'accordo:lavorare con impegno e passione è sempre molto gratificante spec. nel tuo caso di educatrice d'infanzia.devi tener duro xchè poi arriverà anche una retribuzione adeguata.io ho lottato e continuo a farlo x fornire un servizio di qualità nonostante inciuci e magna-magna,incapaci ed ignoranti che spesso guadagnano più di me!grazie x aver condiviso problemi ed opinioni!

rufuge

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