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Cure palliative e malati terminali


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Una mia amica ha una nonna anziana che sta per morire. E' molto dolce, questa mia amica, perchè partecipa alla situazione della sua nonna con estrema dedizione e sensibilità,appena può sta con lei quasi ad assorbire tutto quello che può, finchè può.

E mi racconta del reparto di cure palliative dell'ospedale della mia città e dei volontari che ci lavorano e della loro assoluta disponibilità.Il dottore che è il responsabile del reparto in grado di ospitare solo 12 persone, il più delle volte ovviamente molto anziane, pare che quando vede qualche vecchietto che è solo si metta a fare ricerche su ricerche per rintracciare almeno un nipote o un amico affinchè accorra ; dice che chi si avvale dell'assistenza domiciliare può contare sull'assoluta disponibilità dei dottori e dei volontari anche se la ragione per cui chiama è una faccenda di poco conto; dice che l'ultima volta che, di notte, la sua nonna ha chiamato è arrivato di corsa un volontario che le è stato accanto accarezzandogli la mano per 40 minuti buoni.

Così oltre ad alleviare le sofferenze fisiche pare si pratichi la musicoterapia, si mostrino album di immagini capaci di evocare ricordi significativi nel paziente, si cerca, insomma, di sostenere chi è giunto al termine della vita aiutandolo ad affrontare nel migliore dei modi questo passaggio.C'è un'attenzione particolare ai bisogni emotivi ed affettivi di queste persone e una particolare sensibilità umana da parte di chi vi lavora.Di reparti simili ce ne sono un po' ovunque in Italia, ma non ne conoscevo il reale grado di funzionamento.

Io trovo che sia una cosa molto importante che un servizio pubblico che noi paghiamo con le nostre tasse si occupi di un aspetto così importante della vita umana come l'avvicinarsi della morte, accogliendolo e non rimuovendolo.

E mi viene davvero la voglia di saperne di più e di conoscere meglio come sia giusto porsi da un punto di vista psicologico nei confronti di chi sta per morire.

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L'accompagnamento che arricchisce di Marie de Hennezel (psicologa e psicoanalista, lavora nelle unità di cure palliative presso l'ospedale della città universitaria di Parigi)- Tratto da "La morte amica"

La morte la nascondiamo come se fosse vergognosa e sporca. Nella morte, vediamo soltanto orrore, assurdità, sofferenza inutile e penosa, scandalo insopportabile: è invece il momento culminante della nostra vita, ne è il coronamento, quello che le dà senso e valore.

Resta comunque un immenso mistero, un grande punto interrogativo che portiamo nell'intimità più profonda.

So che un giorno morirò, anche se non so come, né quando. C'è un punto, nel profondo del mio essere, dove è custodita questa certezza. So che un giorno dovrò lasciare i miei cari, a meno che non siano loro a lasciarmi per primi. Paradossalmente è proprio questa consapevolezza così profonda, così intima, che ci accomuna a tutti gli altri esseri umani. Ecco perché la morte altrui mi colpisce. Mi permette di puntare diritto al cuore dell'unica vera domanda: che senso ha la mia vita?

Chi ha il privilegio di accompagnare qualcuno negli ultimi istanti della vita sa di entrare in una dimensione molto intima. La persona, prima di morire, vorrà lasciare accanto a chi l'accompagna l'essenziale di sé. Con un gesto, una parola, a volte solo con uno sguardo, tenterà di dire ciò che conta davvero, e che non sempre ha potuto o saputo dire.

E' forse proprio la morte, quella che affronteremo un giorno, quella che colpisce i nostri cari o i nostri amici, che ci spinge a non accontentarci di rimanere alla superficie delle cose e delle persone, che ci spinge ad entrare nella loro intimità più profonda.

Dopo aver per anni assistito gli infermi nei loro ultimi istanti, non ho appreso niente di più sulla morte in se stessa, ma la mia fiducia sulla vita non ha fatto che crescere. Vivo, senza dubbio, più intensamente, con maggiore coscienza, ciò che mi è dato di vivere, gioie e dolori, ma anche tutte le piccole cose quotidiane, ovvie, come il semplice fatto di respirare o di camminare. ….

Così, dopo anni di assistenza a coloro che definiamo "moribondi", e che invece sono "vivi" fino all'ultimo, mi sento più viva che mai e lo devo a coloro che ho accompagnato negli ultimi istanti e che, nell'umiltà in cui li ha precipitati la sofferenza, si sono rivelati maestri.

Noi tutti cerchiamo di capire se c'è qualcosa oltre la morte. Esiste un aldilà? Dove vanno quelli che ci lasciano? Una domanda dolorosa per molti, piantata come una spina nel cuore della nostra umanità. Senza questo interrogativo, avremmo sviluppato tutte le nostre teorie filosofiche , risposte metafisiche, miti? La psicoanalisi, dal canto suo, ha decretato una volta per tutte che la morte non è rappresentabile. Ha accantonato il problema, lasciandolo volentieri ai filosofi, interessandosi solo alla morte nella vita, cioè al lutto.

Se la morte provoca tanta angoscia, non è forse perché ci riporta alle domande vere, quelle che abbiamo spesso soffocato con l'idea di riproporcele dopo, quando saremo più vecchi, più saggi, quando avremo il tempo di porre a noi stessi le domande essenziali?

Chi si avvicina alla morte scopre a volte che l'esperienza dell'aldilà gli viene proposta nell'esperienza stessa della vita. La vita non ci conduce forse da un aldilà all'altro, al di là di noi stessi, al di là delle nostre certezze, al di là dei nostri giudizi, al di là dei nostri egoismi, al di là delle apparenze? Non ci invita a continui passi avanti, a rimetterci in discussione, a superamenti continui?

Questo scritto è un tentativo di spiegare un miracolo. Nel momento in cui la morte è vicina, in cui predominano tristezza e sofferenza, ci possono essere ancora vita, gioia, moti dell'animo di una profondità e di una intensità talvolta mai vissute prima.

In un mondo che ritiene che la "buona morte" sia la morte improvvisa e repentina – preferibilmente in stato di incoscienza o per lo meno rapida, per disturbare il meno possibile la vita di chi resta – una testimonianza sul valore degli ultimi istanti della vita, sull'incredibile privilegio di esserne testimoni, non mi sembra superflua. Anzi, spero di contribuire ad un'evoluzione della società, una società che, invece di negare la morte, impari ad integrarla nella vita, una società più umana, in cui, consapevoli della nostra condizione di esseri mortali, avremo più rispetto per il valore dell'esistenza.

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la morte non è amica

la morte è uno stato vitale che viene meno.

la morte si impersonifica, si imposessa delle persone più care

la morte non è amica.

Più che aiutare a morire bene

è bene aiutare a vivere meglio.

Quando vedi il compagno di banco morire

quando vedi i tuoi genitori morire

quando vedi la madre dei tuoi figli che si avvia alla morte....

la morte non è amica.

Io non sono amico della morte sono amico della vita

e a tutti auguro vita terrena lunga e vita celeste perenne.

Non mi sento meglio se aiuto a fare morire serenamente qualcuno

o addirittura un mio alter ego.

Mi sento meglio se salvo la vita a chi amo, a chi voglio bene.

Non voglio fermare la morte

ma non voglio nemmeno rinunciare all'idea che la vita potà vincere nell'eternità.

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