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La sindrome del sopravvissuto


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La sindrome del sopravvissuto. In ufficio come sull’isola deserta.

di Federico Pace, Repubblica.it

Davanti allo schermo del computer come moderni Robinson Crusoe. Appena scampati a un naufragio, ma

senza alcuna reale certezza di salvarsi. Di questi tempi, anche chi è riuscito a mantenere il posto, non se

la vede affatto bene. Dapprima c’è stato il sollievo per avere evitato il peggio. Poi, si sono fatti avanti il

senso di colpa e il timore per il futuro. Il morale è sceso ai minimi. Le motivazioni sono divenute sempre più

difficili da trovare. Qualche giorno di malattia in più. E la possibilità di un altro impiego evocata, a fine turno,

come un miraggio boreale. I luoghi del lavoro sono alle prese con la sindrome del sopravvissuto: impiegati,

funzionari, manager e operai che dall’atollo della propria condizione si interrogano spaesati sul proprio futuro

senza ricevere, se non raramente, alcun tipo di aiuto per affrontare le “mutate condizioni”.

Incertezza e senso di colpa. Non si tratta solo di difficoltà a gestire il cambiamento. Qui in ballo c’è qualcosa

di più. Qualcosa che ha che fare con l’incertezza e il senso di colpa. Con la sfiducia e il disincanto. Ed è per

questo che si parla di sindrome del sopravvissuto. ( continua )

:Thinking:

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La sindrome del sopravvissuto. In ufficio come sull’isola deserta.

di Federico Pace, Repubblica.it

Davanti allo schermo del computer come moderni Robinson Crusoe. Appena scampati a un naufragio, ma

senza alcuna reale certezza di salvarsi. Di questi tempi, anche chi è riuscito a mantenere il posto, non se

la vede affatto bene. Dapprima c’è stato il sollievo per avere evitato il peggio. Poi, si sono fatti avanti il

senso di colpa e il timore per il futuro. Il morale è sceso ai minimi. Le motivazioni sono divenute sempre più

difficili da trovare. Qualche giorno di malattia in più. E la possibilità di un altro impiego evocata, a fine turno,

come un miraggio boreale. I luoghi del lavoro sono alle prese con la sindrome del sopravvissuto: impiegati,

funzionari, manager e operai che dall’atollo della propria condizione si interrogano spaesati sul proprio futuro

senza ricevere, se non raramente, alcun tipo di aiuto per affrontare le “mutate condizioni”.

Incertezza e senso di colpa. Non si tratta solo di difficoltà a gestire il cambiamento. Qui in ballo c’è qualcosa

di più. Qualcosa che ha che fare con l’incertezza e il senso di colpa. Con la sfiducia e il disincanto. Ed è per

questo che si parla di sindrome del sopravvissuto. ( continua )

:Thinking:

WILLIAM DEFOE???? :mellow:

DANIEL DEFOE!!!!!!!!!! :rflmao:

Trincano anche i giornalisti di repubblica.

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WILLIAM DEFOE???? :mellow:

DANIEL DEFOE!!!!!!!!!! :rflmao:

Trincano anche i giornalisti di repubblica.

Prova tu a rimanere su un'isola deserta mentre tutti gli altri fortunelli fanno il bagno... voglio vedere se non svarioni! -_-

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Sì, è vero quello che dice il nostro esperto in letteratura inglese.

Solo che come al solito è una pandemia della nostra società e, che vuoi, o si fa la rivoluzione, o si osserva tanto a me che me frega, o si mobilitano eserciti di psicologi ad aiutare la gente, o boh? si entra nei sindacati e si lotta..

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Sì, è vero quello che dice il nostro esperto in letteratura inglese.

Solo che come al solito è una pandemia della nostra società e, che vuoi, o si fa la rivoluzione, o si osserva tanto a me che me frega, o si mobilitano eserciti di psicologi ad aiutare la gente, o boh? si entra nei sindacati e si lotta..

Una pandemia strana... più ti colpisce meglio stai, e viceversa. :Raised Eyebrow:

Ma la rivoluzione se la facciano loro, se scoprono contro chi devono farla.

Invece, poco fa leggevo quest'altra cosa... nemmeno questa mi convince appieno, però:

http://crisis.blogosfere.it/2009/07/ripens...ccupazione.html

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Invece, poco fa leggevo quest'altra cosa... nemmeno questa mi convince appieno, però:

http://crisis.blogosfere.it/2009/07/ripens...ccupazione.html

Molte donne ormai stanno realizzando che tornerebbero volentieri a fare le casalinghe. :icon_mrgreen:

Non credo sia un caso che certe riflessioni vengano fatte da una donna.

Però giustamente lei auspica il dovuto riconoscimento, che dovrebbe arrivare dalla società e dalla famiglia stessa.....

Scusate, stasera non ho tanto genio di scrivere....

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Molte donne ormai stanno realizzando che tornerebbero volentieri a fare le casalinghe. :icon_mrgreen:

Non credo sia un caso che certe riflessioni vengano fatte da una donna.

Però giustamente lei auspica il dovuto riconoscimento, che dovrebbe arrivare dalla società e dalla famiglia stessa.....

Scusate, stasera non ho tanto genio di scrivere....

Infatti quello che non mi convince è che se davvero ci sono tante cose utili che uno si può mettere a fare, quello è lavoro... :icon_confused:

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Si ha bisogno di lavorare anche dal punto di vista psicologico.

Bisogna vedere come uno lavora, quanto il lavoro ti dà soddisfazione e quanto ti fa incazzare..

Il lavoro è la componente essenziale di una società organizzata.

L'importanza e il benessere sul lavoro dipendono dalla qualità e dall'organizzazione della società.

Il lavoro è la quota di impegno fisico e mentale che una persona deve dare per avere un posto in quella società.

Sul quanto, come e dove non si sa.

L'impegno può essere minimo o massimo, dipende da fattori soggettivi, cioè dipende da quello che sei in grado di dare, oggettivi, dipende da quello di cui c'è bisogno.

Certo oggi un calligrafo serve poco, un contabile poco perchè ci sono i calcolatori, un fabbro per le armature ancor meno..

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Sul quanto, come e dove non si sa.

E si fa di tutto per non saperlo, mi sembra. Farà parte dell'eziologia della sindrome di cui parla l'esperto di letteratura inglese...? :Raised Eyebrow:

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Però... a proposito di "papi"... effettivamente... ascoltando, ciò che dice questa bella signora in particolare

nel minutino che va da 2:30 a 3:20 circa:

... se si astrae dal tipo di prestazione lavorativa... insomma, beh... alla fine siam sempre lì... :Raised Eyebrow:

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