Mozzana Carlotta matricola n°027854
Pennati Cecilia matricola n°032692
Tesina di Sociologia delle comunità locali prof.ssa F. Zajczyk
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INDAGINE SUL RAPPORTO TRA DONNE IMMIGRATE
SENZA PERMESSO DI SOGGIORNO E SANITA’ A MILANO
Indice
1. Introduzione
1.1 I perché di una scelta (Mozzana)
1.2 L’esclusione: riferimenti teorici (Pennati)
1.3 La legge (Mozzana)
2. La situazione a Milano
2.1 Una panoramica generale (Pennati)
2.2 Il NAGA (Mozzana)
3. Metodologia (Mozzana)
3.1 I dati quantitativi (Mozzana)
3.2 Le interviste (Pennati)
4. Donne immigrate e sanità a Milano
4.1 Dati socio-demografici (Pennati)
4.2 Le esigenze sanitarie (Mozzana)
4.2.1 Problemi legati alla condizione di vita delle donne (Mozzana)
4.2.2 Problemi inerenti la sfera riproduttiva (Mozzana)
4.2.3 Problemi legati al disagio psicologico e relazionale (Pennati)
5. Conclusioni (Mozzana-Pennati)
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INDAGINE SUL RAPPORTO TRA DONNE IMMIGRATE
SENZA PERMESSO DI SOGGIORNO E SANITA’ A MILANO
1. Introduzione
In questa indagine abbiamo cercato di analizzare la situazione sanitaria delle donne
immigrate senza permesso di soggiorno a Milano e la loro possibilità reale di accesso al
servizio sanitario nazionale. Abbiamo utilizzato il termine “donne immigrate senza
permesso di soggiorno” per includere sia le clandestine che le irregolari1 perché, anche se
differenti, entrambe le categorie sono sottoposte alle stesse leggi.
1.1 I perché di una scelta
I motivi che ci hanno spinto ad occuparci di questo argomento sono diversi:
innanzitutto perché l’immigrazione è un fenomeno in crescita sia nella nostra città che
in tutta l’Italia in generale, e la percentuale di donne sulla popolazione immigrata è
alta (45,8%, 635.729 soggetti2);
in secondo luogo perché l’articolo 25 della dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948
ha sancito la salute come diritto fondamentale dell’uomo e della donna;
infine perché le donne immigrate senza permesso di soggiorno hanno una forte
necessità del servizio sanitario, data sia dalla loro condizione di donne (problemi legati
alla sfera riproduttiva che si sommano ai problemi di salute comuni a uomini e donne),
che dalle condizioni precarie in cui vivono in quanto immigrate (disagio psichico,
alloggi inadeguati, condizioni igieniche precarie, malnutrizione, difficili condizioni di
lavoro)3.
1.2 L’esclusione: riferimenti teorici
Per studiare questa situazione siamo partite dalla definizione di esclusione sociale data da
Mingione: “forme di povertà che diventano croniche anche perché coincidono con processi
di discriminazione istituzionale, attiva o passiva (incapacità o mancanza di volontà politica
da parte delle istituzioni di combattere contro queste forme di impoverimento)”4. La nostra
analisi verte su un particolare processo di discriminazione sociale, l’esclusione sanitaria, la
quale coincide, nella categoria di donne che abbiamo preso in esame, con una situazione
di povertà già piuttosto marcata. Per capire come si sono mosse le istituzioni riguardo a
1 Per immigrate clandestine intendiamo donne giunte in Italia in modo illegale e che non hanno mai
posseduto nessun tipo di permesso di soggiorno. Con il termine immigrate irregolari, invece, definiamo
quella categoria di donne arrivate nel nostro paese con un permesso, che successivamente è scaduto e non
è stato rinnovato per diversi motivi (ad esempio per la perdita delle condizioni necessarie).
2 Dato tratto da un dossier statistico sull’immigrazione basato su dati (aggiornati al 31/12/2000) del
Ministero degli Interni, elaborazione Caritas 2001.
3 Cfr. C. Facchini- E. Ruspini,2001
4 Cfr. E. Mingione, 1998
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questo problema, ci siamo rifatte alla legislazione corrente: legge 40 del 1998 e decreto
legge Bossi-Fini del 2001.
Sempre secondo la definizione di Mingione esistono tre aree di rischio in cui si possono
manifestare con più facilità processi di esclusione: l’occupazione, gli assetti sociodemografici
ed i sistemi pubblici di assistenza e previdenza. Le donne immigrate senza
permesso di soggiorno in Italia sono a rischio di esclusione in tutte e tre le aree (lavoro in
nero, inserimento in una società spesso diversa dalla propria e con una differente
concezione del ruolo della donna, impossibilità di accedere a qualsiasi tipo di servizio
assistenziale stabile); noi, nella nostra analisi, ci siamo occupate di uno dei servizi pubblici
assistenziali che fanno parte della terza delle aree in questione: la sanità. Pur
considerando solo questo aspetto non si deve dimenticare che la presenza di tre aree di
rischio che si possono combinare in modi diversi, produce differenti tipi di esclusione;
inoltre, nella categoria di persone da noi studiata, la privazione spesso non coinvolge
solamente un aspetto della vita della donna ma molti ambiti (tra cui quello relazionale): si
può quindi parlare di multidimensionalità del concetto di privazione5. Abbiamo cercato di
tenere presente questo aspetto durante la nostra indagine per avere un visione
complessiva della situazione di queste donne, per non rischiare di ridurre i loro problemi
alla sola sfera assistenziale.
1.3 La legge
Secondo la legge vigente, D.Lgs.286/98, art.35, comma 3,6 gli stranieri presenti nel nostro
paese senza un regolare permesso possono usufruire di tutte le cure urgenti ed essenziali,
intendendo per cure urgenti quelle che “non possono essere differite senza pericolo per la
vita o danno per la salute della persona”, e per cure essenziali quelle “prestazioni
sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell’immediato e
nel breve termine, ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute
o rischi per la vita (complicanze, cronicizzazioni o aggravamenti)” (Circol. Minister. n° 5
24/3/2000, pag.41)7. Questo significa che se l’immigrata ha la prescrizione di un medico
per una qualsiasi visita o esame che si può fare in una struttura pubblica, vi può accedere
come coloro che hanno la tessera sanitaria; inoltre, nel caso presentino la Dichiarazione
d’indigenza, che può essere un’autocertificazione8, avranno assistenza gratuita (art. 35
comma 4)9. Gli immigrati sono inoltre tutelati dal comma 6 della legge, che vieta la
denuncia alle autorità10.
5 Cfr. F. Zajczyk- E. Mingione, 2001
6 “Ai cittadini presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno,
sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque
essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina
preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. Sono, in particolare garantiti: a. la tutela
sociale della gravidanza e della maternità […]; b. la tutela della salute del minore […]; c. le vaccinazioni
secondo la normativa; d. gli interventi di profilassi internazionale; e. la profilassi, la diagnosi e la cura delle
malattie infettive ed eventuale bonifica dei relativi focolai”.
7 Vedi allegato n°1
8 Vedi allegato n°2
9 “le prestazioni […] sono erogate senza oneri a carico dei richiedenti qualora privi di risorse economiche
sufficienti, fatte salve le quote di partecipazione alla spesa a parità con i cittadini italiani”.
10 “L’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non
può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto a parità di
condizioni col cittadino italiano”.
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Ci sembra che questa legge a livello teorico riesca a garantire le cure urgenti in maniera
efficace, dato che chiunque può presentarsi al pronto soccorso per essere curato. Al
contrario, nonostante vengano assicurate le cure essenziali, queste necessitano la
prescrizione da parte di un medico. Non permettendo, però, agli immigrati di avere il
medico di base, ci sembra che vengano posti degli ostacoli all’accesso a queste “cure
essenziali” che dovrebbero invece essere garantite proprio da questa legge: è quindi
estremamente difficile per l’immigrato, se non rivolgendosi ogni volta al pronto soccorso,
riuscire ad avere qualunque tipo di prescrizione medica che gli permetta di sottoporsi ad
esami e visite specialistiche.
2. La situazione a Milano
2.1 Una panoramica generale
L’intensità dell’immigrazione a Milano ha avuto un andamento crescente negli ultimi dieci
anni facendo così quasi triplicare la presenza di immigrati nel comune: si è passati da
57.800 individui (al 31/12/91), dei quali 17.300 irregolari11, a una cifra che varia tra
126.000 e 135.200 a seconda delle stime della presenza di irregolari (tra i 16.800 e i
25.700) nel giugno del 200012. Da questi dati si può notare che, mentre la presenza di
immigrati sia aumentata in modo molto rilevante, il flussi di irregolarità si sono mantenuti
abbastanza costanti anche se altalenanti nel tempo13. Anche se il valore assoluto del
numero di immigrati irregolari si è mantenuto costante nel tempo, la percentuale di questi
sul totale degli immigrati è diminuita in maniera consistente (dal 30% del 1991 ad una
percentuale oscillante tra il 13% e il 19% nel 2000). Probabilmente la riduzione è dovuta
alla sanatoria del 1998 che “ha favorito il rientro nella legalità per quelle situazioni in
grado di soddisfare i requisiti richiesti dalle norme”14. Il fatto che il valore assoluto degli
immigrati irregolari sia rimasto costante nel tempo, invece, è un chiaro segnale della
presenza ancora molto consistente di flussi di clandestinità, per cui se molte persone si
sono regolarizzate, molte altre sono giunte a Milano in condizioni di illegalità.
Di questi 130.600 (media tra la stima di massimo e quella di minimo) il 56.3% sono uomini
mentre il restante 43.7% sono donne. Analizzando i dati dell’I.S.M.U. si nota che la
percentuale della presenza di uomini o donne dipende dal paese di provenienza: dall’Africa
arrivano principalmente uomini (75.9% dal Nord Africa e 58.2% dai restanti paesi
africani), mentre c’è una netta prevalenza femminile tra coloro che provengono
dall’America Latina (61.2% di donne). Si può comunque notare una lenta convergenza sia
a livello di presenza globale, sia in corrispondenza delle grandi aree di origine nel periodo
dal 1996 al 200015.
Per quanto riguarda le aree di provenienza, la più alta quota di clandestini a Milano si ha
tra i provenienti dall’America Latina (circa 30%), in particolar modo peruviani ed
ecuadoriani, seguiti da coloro che vengono dai paesi dell’est Europa (circa 20%), mentre
al terzo posto troviamo i provenienti dal centro e dal sud dell’Africa (circa il 15%).
11 In questo caso il termine “irregolari” è comprende sia clandestini che irregolari
12 Stime I.S.M.U tratte da ”L’immigrazione straniera nell’area milanese. Rapporto statistico dell’osservatorio,
2000” , Fondazione Cariplo -I.S.M.U.- Provincia di Milano
13 vedi dati
14 Cfr. Rapporto I.S.M.U. 2000
15 Cfr. Rapporto I.S.M.U. 2000
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Le aree che invece hanno il minor numero di irregolari al loro interno, sono nord Africa
(circa il 12%) e Asia (circa 10%). Le sei cittadinanze di maggior spicco tra quelle con la
più alta percentuale di immigrati clandestini, sono: Perù, Marocco, Albania, Egitto, Cina,
Filippine.
Dopo questa panoramica generale, utile per contestualizzare la situazione delle donne
immigrate senza permesso di soggiorno a Milano, possiamo passare ad analizzare il nostro
ambito di studio.
2.2 Il NAGA
La situazione a Milano, quindi, si presenta in questo modo, con circa 21.250 immigrati
presenti irregolarmente16 (di cui circa 8.500 donne), per i quali la legge prevede un tipo di
assistenza sanitaria che va al di là del pronto soccorso, e si estende alle cure essenziali e
continuative. Ma cosa avviene realmente ad un’immigrata senza permesso di soggiorno
che si trova nella situazione di aver bisogno di un medico? Per saperlo ci siamo rivolte al
NAGA, che è un’associazione di volontariato impegnata nella promozione del diritto alla
salute di immigrati e nomadi e che quindi offre assistenza sociosanitaria attraverso un
ambulatorio in cui è garantita l’assistenza di base al quale, per il momento, si affiancano
ancora attività specialistiche. Il NAGA si adopera inoltre a rispondere ai bisogni abitativi,
lavorativi e sociali quando sono parte integrante dell’attività terapeutica, e per fare ciò
mantiene i contatti con i servizi territoriali, facilitando le persone che si rivolgono al centro
a utilizzare le strutture disponibili (spesso non conosciute proprio da chi ne ha bisogno). E’
un’associazione che si propone di intervenire sui problemi sanitari di coloro che non
possono accedere alle strutture pubbliche, considerando anche le loro condizioni di vita
complessive, inserendo l’individuo nel suo contesto in modo da capirne meglio le esigenze.
Ci siamo rivolte al NAGA perché è una realtà che già conoscevamo in precedenza, per
nostre esperienze in passato, inoltre è un’associazione che lavora sul territorio
occupandosi del problema dal 1987, cercando, oltre che di risolvere concretamente i
problemi delle persone, di informare operatori del settore e opinione pubblica,
promuovendo corsi di formazione, dibattiti e incontri di aggiornamento culturale e
scientifico. In particolare ci siamo rivolte al Gruppo Donne, un gruppo di donne italiane
volontarie che si occupa in particolare dei problemi legati al ruolo riproduttivo (come
contraccezione, gravidanza, menopausa etc.) e di tutti quei problemi che delle immigrate
possono incontrare in un paese straniero. Essendo un gruppo formato da sole donne,
queste diventano le interlocutrici privilegiate e riescono ad instaurare un rapporto di
fiducia con le utenti, facilitate dal fatto di condividere con queste problematiche legate al
genere. Si pongono quindi come tramite tra la donna e i servizi pubblici che garantiscono
in determinati casi assistenza totale alle donne (consultorio, pediatra, medico specialista).
Ci è stato utile rivolgerci a questo gruppo, perché è quello che all’interno del NAGA ha più
contatti con la situazione da noi studiata.
3. Metodologia
La nostra ricerca è stata condotta con un’ottica di tipo esplorativo, per cui abbiamo cercato
di osservare e descrivere la situazione sanitaria delle donne immigrate senza il permesso
di soggiorno a Milano. La nostra scelta è stata dettata da due diverse ragioni:
16 Stima I.S.M.U.
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? innanzitutto non ci risulta sia disponibile letteratura sull’argomento abbastanza ampia
che ci permetta di avere una base di sapere che vada al di là del senso comune, e non
avendo noi conoscenze specifiche, ci sembra che possa essere utile descrivere la
situazione in questione;
? inoltre le donne immigrate senza permesso di soggiorno non sono rilevabili in alcun
modo, e quindi risulta difficile reperire dati quantitativi significativi sulla loro
condizione.
Per fare ciò ci siamo rivolte al NAGA (vedi par. 2.2), studiando in questo modo un caso
emblematico piuttosto che un campione statisticamente rappresentativo (cosa per altro
decisamente impossibile per il secondo punto sopracitato). Abbiamo utilizzato come
metodo di ricerca l’analisi secondaria, usando da un lato fonti scritte di natura statistica
(dati della banca-dati del NAGA e del rapporto sull’immigrazione straniera nell’area
milanese dell’I.S.M.U.), dall’altro fonti orali, cioè tre interviste a testimoni privilegiati del
centro. Le prime sono fonti secondarie, ovvero insiemi ordinati di dati, che nel nostro caso
vengono da società e organismi privati; le seconde sono fonti primarie, costituite dagli
individui oggetto d’analisi17.
Dopo aver raccolto il materiale, abbiamo cercato di capire quali sono i problemi delle
donne immigrate che si rivolgono al NAGA integrando i dati statistici con le informazione
dateci dalle persone che abbiamo intervistato.
3.1 I dati quantitativi
Uno dei motivi che ci ha spinto a rivolgerci al NAGA è stato il fatto di sapere che il centro
possedeva una propria banca dati dove erano tenuti dati sia socio-demografici che sanitari
elaborati partendo dalle cartelle cliniche dei pazienti alla prima visita con scadenza
biennale (i dati si riferiscono ai primi tre mesi dell’anno).
Per entrare i possesso dei dati abbiamo dovuto recarci al NAGA molte volte e parlare con
diverse persone, riuscendo dopo un po’ a metterci in contatto con il responsabile
dell’elaborazione dei dati, il dottor Olivani, che ci ha però potuto dare solo le statistiche del
2001 riguardanti gli aspetti socio-demografici dell’utenza visto che quelle inerenti la parte
sanitaria non erano ancora stati elaborati.
I dati del NAGA non si sono però rivelati pienamente adeguati alla nostra ricerca, non
avevano cioè un alto grado di rispondenza ai nostri bisogni conoscitivi18: c’erano infatti
tabelle che a noi non servivano e ne mancavano alcune a noi necessarie. Per superare
questa mancanza abbiamo deciso di utilizzare anche i dati riguardanti gli immigrati
clandestini e irregolari contenuti nel rapporto statistico sull’immigrazione straniera nell’area
milanese dell’I.S.M.U. del 2000 già in nostro possesso.
Anche se si riferiscono a due anni diversi ci sembra che sia possibile comparare i dati per
la vicinanza temporale dei due anni; inoltre abbiamo considerato i dati derivanti dalla
comparazione come semplici indicazioni di tendenza, per capire se i dati del NAGA
rispecchiano o meno la situazione dell’immigrazione a Milano, senza però affidarci a questi
completamente per trarre le nostre conclusioni.
Riguardo agli altri aspetti della qualità dei dati (validità, sensibilità, fedeltà) non siamo in
possesso d’informazioni perché non siamo riuscite ad incontrare il dottor Olivani.
17 Cfr. Zajczyk, 1995
18 Cfr. Zajczyk, 1995
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3.2 Le interviste
Nel progetto iniziale della ricerca le interviste avrebbero dovuto essere tre: due a testimoni
privilegiati del centro (un medico e una responsabile del Gruppo Donne), ed una a
un’utente del NAGA, per capire come una donna senza permesso di soggiorno può arrivare
al centro, per quali problemi e attraverso quali passaggi. Durante lo svolgimento della
ricerca, nel parlare con le persone, ci siamo rese conto di due fattori che hanno poi
modificato il nostro progetto di ricerca: in primo luogo ci siamo accorte che mentre non ci
sarebbero stati problemi con i due testimoni privilegiati, non saremmo riuscite ad
intervistare la donna immigrata, perché il NAGA non poteva darci il permesso di farlo
all’interno della struttura dovendo loro garantire la sicurezza e l’anonimato ai loro utenti
(un’intervista li avrebbe probabilmente spaventati). Inoltre ci siamo accorte che sarebbe
stato utile intervistare la psichiatra del centro, per analizzare un altro aspetto dei problemi
che colpiscono le donne che migrano in un paese straniero e per capire la percezione della
malattia da parte di queste.
Quando ci siamo recate al NAGA per trovare i dati quantitativi, abbiamo parlato con la
segretaria del centro, la quale ci ha indicato la responsabile del Gruppo Donne che si era
occupata di raccogliere i dati su gravidanza, I.V.G., contraccezione etc.. Questa a sua volta
ci ha indirizzato verso Gabriella Urban, la persona che poi abbiamo intervistato. Il colloquio
con lei si è svolto al NAGA, ed è durato circa 50 minuti; è stata lei che ci ha indicato la
dottoressa Sachsel, che abbiamo intervistato subito dopo, sempre al centro19. Questa volta
il colloquio è durato meno, circa 30 minuti, e si è interrotto abbastanza bruscamente
perché la dottoressa aveva dei pazienti da visitare durante la mattinata. Entrambe si sono
dimostrate molto disponibili, e ci hanno fornito tutte le informazioni di cui avevamo
bisogno.
Abbiamo quindi contattato la psichiatra del centro, e ci siamo recate a casa sua per farle
alcune domande. L'intervista è durata più di un'ora e la traccia era per alcune domande
simile a quella utilizzata per le prime due testimoni, per altre diversa, dato che volevamo
toccare alcuni argomenti specifici del campo della dottoressa20.
La disponibilità delle persone incontrate durante il nostro lavoro, ci ha sicuramente aiutato
a costruirci un quadro chiaro della situazione da noi analizzata.
4. Donne immigrate e sanità a Milano
4.1 Dati socio-demografici
Come abbiamo già detto, il NAGA è un centro che si occupa di assistenza sanitaria a
immigrati senza permesso di soggiorno a Milano. Per fare ciò, ha un ambulatorio medico in
cui vengono effettuate circa 80 visite al giorno, come ci dice la dottoressa E. Sachsel, una
delle fondatrici del centro: “Noi abbiamo un ambulatorio che visita i clandestini, quelli
senza permesso di soggiorno che quindi non possono avere assistenza sanitaria pubblica,
e vediamo circa 80 persone al giorno”. Il numero di visite fatte in un anno al NAGA ha
avuto nel corso degli anni un aumento vertiginoso, molto superiore all’aumento di
immigrati nello stesso periodo nel comune di Milano: si è passati da 3.488 visite in un
anno nel 1990, a 20.114 nel 1999, mentre per il 2001 le visite previste erano 21.896, con
19 Vedi allegato n°1, traccia di intervista.
20 Vedi allegato n°2
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un incremento, rispetto al ’99 del 7,5% circa21. Questo è avvenuto principalmente perché il
centro è stato fondato nel 1987, e quindi è normale che inizialmente fosse poco
conosciuto e di conseguenza avesse un numero limitato di pazienti. Nel corso del tempo,
però, il NAGA si è fatto conoscere sia attraverso un passaparola tra le persone, sia
mantenendo i contatti con le strutture sanitarie e di volontariato che operano nell’area
milanese.
Passiamo ora ad un’analisi più approfondita dei dati riguardanti le donne che si rivolgono
al centro: come si può notare dalla tabella 1, la percentuale di donne che si rivolgono al
NAGA è in continuo aumento nel tempo, passando dall’essere il 27% dell’utenza totale nel
1990, al 41.5% nel 2001. Dalla tabella si può anche notare che dal 1993 al 1999 la
percentuale di donne è rimasta pressoché invariata, per poi aumentare in maniera
considerevole nel giro degli ultimi due anni. Questo probabilmente è dovuto al fatto che,
negli ultimi anni, l’area di provenienza con il maggior numero di irregolari è diventata
l’America Latina, che è anche l’area con la più alta percentuale di donne al suo interno
(vedi par. 2.1). Infatti possiamo osservare dalla tabella 2 che le donne provenienti da
Ecuador e Perù sono il 30% del totale delle richieste di assistenza medica al NAGA, e
guardando il totale delle donne che si rivolgono al centro, sono più del 75%.
Ci sembra un dato molto significativo, perché se da un lato segue lo stesso andamento
dei dati I.S.M.U. sopra riportati, dall’altro ci mostra che le donne latino-americane sono
decisamente sovrarappresentate al NAGA (per i dati I.S.M.U. queste sono circa il 45% del
totale delle donne irregolarmente presenti a Milano22). Questo potrebbe essere dato sia da
un maggior “passaparola” di informazioni all’interno delle comunità latino-americane
milanesi, sia da relativa facilità ad accedere al servizio per la minor differenza culturale tra
il paese d’origine e quello d’arrivo rispetto ad esempio alle donne arabe che potrebbe
comportare quindi una minore diffidenza e una capacità maggiore di comunicazione, data
sia dalla lingua parlata (perché lo spagnolo è considerato una lingua veicolare23), sia
perché la percezione della malattia è vicina alla nostra. Questo ci è stato confermato
anche dalla dottoressa E. Sachsel, che rispondendo ad una nostra domanda sulla
percezione della malattia da parte d donne di diverse culture, ha detto: “ Le donne
dell’America latina non sono molto diverse da noi, anche perché di solito non vengono
dalle Ande ma da grandi città, come ad esempio Lima”.
I dati del NAGA rilevano una presenza minima di donne nordafricane, mentre secondo
l’I.S.M.U. (che però fa riferimento alla popolazione regolare e non) sono il 24.1%. Questo
perché le donne provenienti da paesi arabi arrivano principalmente per ricongiungimento
familiare (e sono quindi donne con il permesso di soggiorno), essendo culturalmente
considerate le donne dipendenti dagli uomini.
21 I dati del NAGA si riferiscono ad un campione delle prime visite del trimestre gennaio-marzo di ogni anno:
sono stati elaborati, per il 2001, 2023 casi su 5474 prime visite effettuate. Questa scelta è stata fatta per
cercare di conciliare la necessità da un lato di avere dati aggiornati e dall’altro di non avere un carico di
lavoro eccessivo che si somma a quello già svolto come volontari.
22 Per ricavare questo dato abbiamo calcolato la stima numerica di persone provenienti dalle diverse aree sul
totale degli immigrati irregolari (vedi par. 2.1) utilizzando la tabella 19 del rapporto I.S.M.U. (percentuale di
stranieri irregolarmente presenti secondo l’area di provenienza), e successivamente, basandoci sulle
percentuali della tabella 23 (percentuali di uomini tra gli stranieri presenti a Milano secondo la provenienza),
abbiamo calcolato per ognuna di queste aree il numero di uomini e donne. Abbiamo così trovato una stima
del numero delle donne irregolarmente presenti a Milano, e abbiamo così calcolato la percentuale di latinoamericane
sul totale (3.837 su un totale di 8.456).
23 Vedi tabella numero 3
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4.2 Le esigenze sanitarie
Nel corso della nostra ricerca, sia nella fase delle interviste che durante la rielaborazione
dei dati, ci siamo accorte che le esigenze sanitarie delle donne immigrate senza permesso
di soggiorno si possono raggruppare ancora oggi nelle tre macro aree già individuate da
Bandera nel 1990 e riprese da Facchini e Ruspini (2001)24:
1. Problematiche legate alle condizioni abitative, sociali ed igieniche nelle quali le donne
vivono;
2. Problemi connessi con la gravidanza;
3. Disagio psicologico e relazionale.
4.2.1 Problemi legati alle condizioni di vita delle donne
Un aspetto significativo emerso durante la ricerca riguarda i problemi di salute delle donne
immigrate: si rivolgono al NAGA con gli stessi bisogni degli uomini, anche se ovviamente a
questi si aggiungono quelli legati al loro ruolo riproduttivo, come interruzione volontaria di
gravidanza (I.V.G.), contraccezione, gravidanza, menopausa, pap-test.
Le esigenze sanitarie comuni ai due generi sono legate principalmente alle precarie
condizioni in cui gli immigrati si trovano a dover vivere, in particolare nei primi anni
permanenza in Italia. Come ci dice Gabriella Urban, responsabile del gruppo donne, “Per
quanto riguarda la salute in generale … direi che le patologie per cui vengono qui sono più
o meno le stesse per donne e uomini, cioè prevalentemente per malattie dell’apparato
respiratorio, digerente, malattie della pelle, cose abbastanza normali, perché come tutti gli
immigrati quelli che vengono qui sono in buona salute, di solito. Poi c’è una grossa fetta di
donne sudamericane che ha problemi ginecologici, soprattutto di gravidanza e di I.V.G.” .
Questo ci è stato confermato anche dalla dottoressa Sachsel, che ha anche aggiunto
all’elenco delle patologie più frequenti, la TBC e il diabete.
Quanto detto conferma la ricerca di Bandera (1990) citata da Facchini e Ruspini sugli
utenti NAGA, la quale aveva messo in luce che uno dei motivi principali che spingono le
donne a rivolgersi al centro sono “le problematiche legate alle condizioni sociali, abitative
ed igieniche nelle quali le donne vivono”25(quindi sembra che non ci siano state variazioni
nel tempo delle esigenze sanitarie). Infatti un altro aspetto che tutte le intervistate hanno
sottolineato è la buona condizione di salute delle donne al loro arrivo in Italia: una persona
che sceglie di intraprendere un viaggio nella clandestinità (con tutti i disagi che questo può
comportare) per andare a lavorare in un altro paese deve avere “un patrimonio di salute
pressoché integro”26.
4.2.2 Problemi inerenti la sfera riproduttiva
Circa il 20% delle donne che si rivolgono al NAGA lo fanno per problemi legati alla sfera
riproduttiva27. Questo infatti è una delle necessità principali delle utenti del centro, tanto
che è stato creato un gruppo che si occupa specificamente del problema, e che sa come
gestire situazioni di questo tipo: il Gruppo Donne. Queste volontarie diventano le
24 Cfr. C. Facchini – E. Ruspini, 2001
25 Cfr. C. Facchini – E. Ruspini, 2001
26 Cfr. C. Facchini – E. Ruspini, 2001
27 Dai dati del NAGA risulta che 150 donne su 795 si rivolgono al centro per problemi riguardanti gravidanza,
I.V.G., menopausa, contraccezione…. I dati che abbiamo utilizzato sono però sottostimati di circa il 10% per
problemi di rilevazione.
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interlocutrici privilegiate delle donne (vedi par. 2.2), ma il loro maggiore sforzo, come ci
dice Gabriella Urban “è stato quello, una volta avuta la possibilità di mandare le donne al
servizio pubblico, di fare in modo che le cose andassero via lisce, tenendo i contatti con i
servizi”.
I servizi in questione sono consultori e ospedali pubblici, di cui due (Ospedali San Carlo e
San Paolo) hanno creato dei centri di salute e di ascolto per le donne immigrate, che non
necessitano di un appuntamento preso in precedenza e che quindi possono essere utili in
casi di emergenza (scadenza del termine per l’I.V.G.). La responsabile del gruppo donne ci
ha però detto che non si rivolgono spesso a questi sportelli perché, essendo solo per
donne immigrate, non favoriscono l’integrazione: ”abbiamo un po’ contestato, o
perlomeno espresso perplessità sull’opportunità di avere un ambulatorio a parte per loro,
quindi non lo utilizziamo normalmente perché riteniamo che sia giusto che vadano dove
vanno le altre donne”.
Per rivolgersi a queste strutture, in teoria, le donne non avrebbero bisogno di avere come
tramite il NAGA, ma in pratica spesso non sanno dove possono andare e quindi tendono
ad passare prima per il centro.
La maggioranza delle utenti che si rivolgono al NAGA per questi motivi, lo fa perché ha
bisogno di interrompere la gravidanza (56,6% dei casi nel primo trimestre del 2001);
questo avviene essenzialmente per tre motivi, come ci confermano le intervistate:
? innanzitutto c’è una totale mancanza di informazione sui metodi contraccettivi, anche
riguardo cose che per una donna milanese possono apparire scontate (il gruppo
donne, infatti, si sta impegnando a sensibilizzare le utenti nei confronti della
contraccezione, in modo da cercare di diminuire i casi di aborto);
in secondo luogo perché spesso hanno una famiglia nel proprio paese d’origine, a cui
spediscono praticamente tutto ciò che guadagnano in Italia, e le condizioni in cui
vivono non permettono di crescere un figlio;
infine in molti casi, una gravidanza farebbe loro perdere il posto di lavoro.
Solo il 16.6% che vengono indirizzate verso consultori ed ospedali si sono rivolte al NAGA
per la contraccezione, questa percentuale è lievemente aumentata negli anni (nel 1998
erano il 14.8%) anche se il numero di casi di I.V.G. rimane ancora molto alto e
decisamente superiore rispetto al numero di casi di donne italiane28.
Per quanto concerne le altre necessità legate al genere, il 19% usa come tramite il NAGA
per questioni connesse alla gravidanza, e anche queste donne vengono indirizzate al
consultorio dove saranno seguite per tutta la gestazione. Il restante 7.8% o deve fare il
pap-test o ha problemi legati alla menopausa.
Restano costanti anche per questi problemi le proporzioni riguardanti la provenienza delle
utenti del NAGA (vedi par. 4.1): questo fatto ci fa ipotizzare che ci sia un’uguaglianza di
necessità anche in questo campo tra le varie nazionalità, anche se all’apparenza potrebbe
sembrare che le sudamericane abbiano un’esigenza maggiore29
4.2.3 Problemi legati al disagio psicologico e relazionale
Per i problemi riguardanti la sfera psicologica ci rifacciamo alle informazioni dateci, durante
un’intervista, dalla dottoressa Anna Petruzzi, psichiatra del NAGA.
28 Cfr. C.Facchini – E. Ruspini, 2001
29 Ricordiamo che questi dati non rappresentano le donne nordafricane e arabe, perché non si rivolgono al
centro.
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Per quanto concerne le differenze di genere, anche in quest’area non ne abbiamo rilevate:
nel 2001 la percentuale di uomini e donne che si sono rivolti allo psicologo/psichiatra è
infatti sostanzialmente uguale, e anche dal punto di vista delle patologie non si riscontrano
differenze significative.
Quello che la psichiatra ha evidenziato più volte durante l’intervista, è che il disturbo di cui
maggiormente soffrono uomini e donne che si rivolgono al NAGA, è un disagio di tipo
reattivo, legato all’impatto col paese d’arrivo, non una vera e propria patologia. Infatti,
come ci dice la dottoressa Petruzzi “il 48% delle persone sono qui da meno di due anni, e
solo il 7-8% è qui da più di sette. Le donne che fanno parte del primo gruppo, spesso
vengono solo due o tre volte e poi si rimettono in pista, è proprio una forma di disagio
data dall’impatto”. Solo in pochissimi casi al NAGA entrano in contatto con persone con
gravi disturbi della personalità, e quando ciò succede queste vengono indirizzate verso
centri specialistici che possono affrontare in modo più efficace e continuativo il problema.
Più della metà delle persone che si rivolgono alla psichiatra le vengono segnalate da
medici del NAGA, che le hanno avute come pazienti. Questo accade perché le immigrate
“parlano con il proprio corpo” cioè esprimono il loro disagio tramite esso: spesso
determinati disturbi creduti fisici dalle pazienti (come il mal di testa), in realtà non sono
altro che manifestazioni di una situazione problematica a livello psichico.
L’unica differenza riscontrata dalla psichiatra è proprio rispetto alla somatizzazione di
questo disagio che è legata alla provenienza delle donne, come ci dice la dottoressa
Petruzzi: “ogni cultura esprime il proprio disagio in maniera differente: il mal di testa
sudamericano può essere segnale del conflitto ‘voglio-non voglio’, come il disturbo
digestivo africano è dato dal senso di colpa per l’essersi allontanati dalla comunità. Anche
se il modo di manifestarlo è lo stesso, la causa alla base è sempre il disagio reattivo”.
Una discriminante per le donne nel soffrire o meno di disturbi psichici, è la presenza delle
propria famiglia in Italia: nessuna delle pazienti rivoltesi al NAGA nel 2001 per questo tipo
di problemi viveva a Milano con la propria famiglia. L’essere inserita in una realtà
affettivamente sicura è per la donna un aiuto essenziale per superare le difficoltà iniziali
che comporta il trasferimento in un altro paese.
Le immigrate che invece sono sole in Italia, si differenziano in base al tipo di rapporto che
hanno con il proprio paese d’origine: da un lato troviamo le donne che hanno mantenuto
un forte legame, spesso dato dalla presenza di figli affidati ad un parente, dall’altro ci sono
quelle che vogliono dare un taglio netto con il proprio passato (nella maggior parte dei
casi sono giovani tra i 20 e i 30 anni, mentre le altre si trovano quasi sempre nella fascia
d’età tra i 30 e i 40 anni).
Le prime arrivano dallo psicologo per un disagio causato dal sentimento di abbandono,
dalla nostalgia nei confronti del proprio paese, della propria famiglia e della propria
comunità, che si acutizza per la scarsa densità delle reti di relazioni mantenute in Italia:
spesso queste donne arrivano con l’idea di rimanere solo pochi anni e in questo periodo
vivono e lavorano con persone anziane, malate, senza uscire e spedendo la maggior parte
dei soldi alla famiglia e questo facilita l’insorgere di malattie psicosomatiche.
Le seconde, che sono una minoranza (circa il 15%), cercando di rifarsi una vita nel paese
in cui arrivano (da sole), vivono una situazione di aspro conflitto per la negoziazione della
loro identità: da un lato sentono ancora un legame col paese d’origine, dall’altro vogliono
ricostruirsi un’esistenza cancellando completamente la propria cultura per sostituirla con
quella italiana.
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In entrambi i casi, comunque, la migrazione è sempre una scelta che, anche se compiuta
per motivi diversi, porta ad una disponibilità ad adattarsi, a mediare tra la propria cultura e
quella italiana per tentare di integrarsi.
5. Conclusioni
Abbiamo quindi visto quali sono i principali problemi delle donne senza permesso di
soggiorno che si rivolgono al NAGA: quelli legati alle precarie condizioni in cui vivono
(quindi malattie della pelle, malnutrizione, malattie gastroenteriche, problemi respiratori,
malattie da raffreddamento), che sono comuni a uomini e donne, quelli connessi con la
gravidanza e infine problemi legati al disagio psichico e relazionale. Abbiamo inoltre potuto
constatare che esistono alcuni centri a cui queste donne si possono rivolgere per disturbi
di salute, sia pubblici che privati, che forniscono loro assistenza gratuita. Esistono, però,
delle barriere che impediscono alle donne l’accesso a questi servizi, che dipendono da
diversi fattori:
? innanzitutto dalla disinformazione sulle leggi sull’immigrazione da parte dei dipendenti
pubblici, perché questo fa si che vengano negate agli immigrati cure a cui hanno
diritto;
? in secondo luogo dalla scarsa conoscenza delle leggi anche da parte degli immigrati
stessi che, non sapendo quali siano i loro diritti, nutrono una forte diffidenza nei
confronti di queste strutture (paura di essere registrati e denunciati);
? inoltre la legge non prevede per gli immigrati irregolari l’assistenza di base e quindi,
non potendo questi rivolgersi al medico per la prescrizione di farmaci e di visite
specialistiche, sono costretti ad andare o al pronto soccorso o da medici privati a
pagamento o, se ne sono a conoscenza, al NAGA.
Il fatto che anche gli irregolari possano per legge ricevere qualunque tipo di cura
specialistica, fa si che il NAGA stia cambiando. Infatti prima del 1998 gli immigrati non
potevano rivolgersi alle strutture pubbliche (se non al pronto soccorso), e quindi le
esigenze mediche a cui il centro doveva far fronte erano diverse (soprattutto cure
specialistiche). Adesso invece, anche per velocizzare questo cambiamento portato dalla
legge 286, il NAGA si propone di offrire agli immigrati soprattutto assistenza medica di
base, e di indirizzarli invece negli ospedali per le visite specialistiche.
Per fare in modo che tutto ciò funzioni, dei medici del NAGA si occupano anche di tenere
corsi di formazione sui diritti sanitari degli immigrati.
Un aspetto che abbiamo notato nel corso della nostra ricerca, è il diverso tipo di relazioni
che il NAGA intrattiene da un lato con i servizi pubblici, dall’altro con le realtà di
volontariato che operano sul territorio. Infatti se mantiene contatti con i consultori e gli
ospedali per indirizzare, quando può, i propri utenti verso strutture pubbliche, non ci è
sembrato che sia emersa dalle interviste l’esistenza di una rete di relazioni tra i diversi
centri privati che si occupano di problemi legati all’immigrazione, anche solo per un
confronto sulle problematiche affrontate dalle diverse realtà.
Sarebbe, a nostro giudizio, necessario per migliorare le condizioni di vita delle donne
clandestine (e non solo delle donne), infittire sia la rete di relazioni tra i centri che si
occupano di immigrazione, sia i rapporti tra questi e la sanità pubblica a Milano, in modo
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che ci sia uno scambio di informazioni e di sapere che permetta di gestire in modo più
efficace il problema.
Per concludere secondo noi potrebbe essere utile, al fine di rispondere alle esigenze delle
immigrate emerse dalla nostra analisi, agire su tre fronti:
1. informare le donne immigrate dei loro diritti (cosa che il NAGA sta cercando di fare);
2. informare i dipendenti pubblici che lavorano nel campo della sanità su quali siano i
diritti degli immigrati;
3. agire a livello legislativo per garantire la medicina di base anche a queste persone.
L’unico interrogativo che rimane, nostro e delle intervistate, è su cosa accadrà con
l’entrata in vigore della legge Bossi- Fini, anche perché, per ora, sembra che nessuno si
stia occupando del rapporto immigrazione- sanità pubblica, tanto che nel decreto legge
questo argomento non viene affrontato.
Bibliografia:
C. Facchini-E. Ruspini, Salute e Disuguaglianze. Genere, condizioni sociali e corso di vita,
Milano, Ed. Franco Angeli, 2001
E. Mingione, Distribuzione del reddito, disuguaglianze, esclusione sociale ed effetti delle
politiche economiche e sociali, CNR, 1998
E. Mingione- F. Zajczyk, Verso un sistema di rilevazione della povertà a Milano, 2001
Rapporto I.S.M.U. sull’immigrazione straniera nell’area milanese, 2000
F. Zajczyk, Fonti per le statistiche sociali, Milano, Ed. Franco Angeli, 1995
73
27
NAGA 1993-94 (% su 10.812 soggetti)
65,2
34,8
NAGA 2001 (% su 2021 soggetti)
*
*
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Tabella 3: Numero di uomini e donne visitati al NAGA nel 2001 divisi per nazionalità
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Paesi di provenienza e sesso (percentuali per riga)
uomini donne tot
ecuador 35,8 64,2 100,0
perù 32,7 67,3 100,0
marocco 94,3 5,7 100,0
egitto 3,5 96,5 100,0
romania 66,7 33,3 100,0
albania 70,5 29,5 100,0
sri lan. 78,7 21,3 100,0
ucraina 78,7 21,3 100,0
filippine 39,3 60,7 100,0
senegal 92,7 7,3 100,0
tot 50,0 50,0 100,0
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