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Attacco di panico: non è paura di cadere ma voglia di volare


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"Capisco come funziona" (dire), mi ci tuffo dentro e nuoto ( fare)...

il mare come tutto ciò che ci avvolge e ma nel quale non riusciamo a nuotare liberi...

un pesce nuotava,aveva una meta: cercava il suo mito, l'oceano. Incontrò un altro pesce e gli chiese: "Dov'è l'oceano?" l'altro gli rispose: "Ma è questo l'oceano!" e il primo: "Ma che dici?Questa è solo acqua!"

Verissimo, Aio, questa antica similitudine orientale (come quella del tale che cercava la tigre e ci stava cavalcando sopra) ci fa capire che siamo pesci nell'acqua, alla ricerca dell'acqua. Quanto sembra semplice "COMPRENDERE" l'acqua...e quanto invece è difficile, dato il nostro punto di vista.

Da tempo ho la sensazione che anche il meccanismo dei miei DAP sia semplice da dominare, ma di una semplicità complessa come quella dell'esempio. Così come sono convinto che nel mio caso alla base di tutto (e qui faccio anch'io come gli psicologi, semplicizzando) ci sia, in soldoni la PAURA DELLA MORTE. Non a caso, da quando riesco a far rientrare la morte stessa su un piano di "normalità" (sempre più persone a me vicine stanno morendo) gli attacchi di panico si diradano. Certo, forse dirai che dietro questa paura c'è un inconscio desiderio di morire, quella "pulsione di morte" di cui deve aver parlato Freud (ma qui i miei ricordi sono offuscati)...se è così non cambia nulla, di fatto è solo relativizzando le mie emozioni, inquadrandole sotto un'ottica diversa, che mi sento meglio, molto meglio. Sappiamo, Aio, che la mente ci costruisce ogni realtà, che pur essendo virtuale non per questo mette meno paura. Io sono convinto che solo quando l'idea della morte per me rientrerà totalmente in un ambito di normalità, solo quando comprenderò fino in fondo che la morte non esiste, approfondendo la sensazione della continuità dell'essere umano, avrò superato quest'ansia terribile, paura di aver paura...e saprò che in fondo questa morte l'avevo sempre desiderata??? :LOL::LOL: Maurizio

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l'esperienza concreta della morte, caro Maurizio, è una cosa che ci capita di vivere ogni istante della nostra vita...siamo morti all'ieri e siamo nulla nel futuro...quante cose abbandoniamo di noi ogni istante...morte per sempre...quante cose non saremo mai...nell'oceano ci sei già...navighiamo nella morte continua...e mai ti ha fatto paura...ora la tua mente ha deciso di aver paura di qualcosa di cui non hai paura...scherzi della mente...un tuo modo di giocare...un qualcosa che hai inventato tu, solo tu...così la paura di morire è solo desiderio di vivere...come fanno tutti, morendo ogni secondo...

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l'esperienza concreta della morte, caro Maurizio, è una cosa che ci capita di vivere ogni istante della nostra vita...siamo morti all'ieri e siamo nulla nel futuro...quante cose abbandoniamo di noi ogni istante...morte per sempre...quante cose non saremo mai...nell'oceano ci sei già...navighiamo nella morte continua...e mai ti ha fatto paura...ora la tua mente ha deciso di aver paura di qualcosa di cui non hai paura...scherzi della mente...un tuo modo di giocare...un qualcosa che hai inventato tu, solo tu...così la paura di morire è solo desiderio di vivere...come fanno tutti, morendo ogni secondo...

Beh, mi sembra difficile negare che la paura della morte sia comune all'intero genere umano, altrimenti non avrebbe senso neanche parlare di "istinto di conservazione". Voglio dire, è una CREAZIONE DELLA MENTE comune all'intero genere umano. Una volta scrissi una poesia, che cominciava così: "La vita è fatta di continue morti", mi riferivo appunto al fatto che perfino le nostre cellule cambiano attimo dopo attimo, figuriamoci le situazioni e l'ambiente che ci circonda, oltre alla coscienza di noi stessi. Ma la MORTE vera e propria rappresenta qualcosa di ben diverso, qualcosa di sconosciuto, il salto del vuoto. Posso figurarmi con la fantasia cosa sarò domani, quando avrò la laurea, farò il professore, sarò sposato, avrò dei bambini...ma come posso figurarmi DOPO MORTO? Non posso neanche sapere se, semplicemente, CI SARO'. Ecco, secondo me, la radice profonda degli attacchi di panico (che non a caso mi si sono manifestati la prima terribile volta dopo aver visto una persona morire). Io credo che la paura più comune, durante un attacco di panico, sia in fondo quella di POTER MORIRE. Strano che nessuno ne abbia parlato, vorrei sapere se tutti gli altri sono o meno d'accordo. Un abbraccio :LOL:

(Ci sono gli effetti fisici, ma anzitutto è come un vortice che ti inghiotte e ti porti via nel vuoto, terrore, come essere presi e ANNULLATI, privati di ogni coscienza, morte, morte come sparizione, morte come separazione totale dal mondo, morte come TERRIBILE MANTENIMENTO DELLA COSCIENZA, in un momento in cui perderla sarebbe la salvezza, perché la cosa terribile non è morire, ma sapere che SI STA PER morire, e quel SI STA PER non ha mai fine, è un solo minuto è un'eternità...).

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in fondo....è solo autolesionismo. è solo paura. solo.

ieri una persona mi ha detto una cosa illuminante:"sai perchè hai paura di fare questa cosa davanti ad un pubblico?perchè sei egoista. sei brava, hai talento,emozioni le persone....e tutto questo te lo vuoi tenere tutto per te."

e allora la paura....sì...perchè ogni volta è come tuffarsi nel vuoto e non sapere se in quel vuoto qualcuno ci accoglierà.e invece restano tutti irretiti, e appunto formano quella rete che ti salva da una disastrosa caduta.

quanto siamo egoisti quando abbiamo paura di offrire ciò che c'è di bello in noi?

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quanto siamo egoisti quando abbiamo paura di offrire ciò che c'è di bello in noi?[/size][/color]

Ma l'egoismo non è di quelli che vogliono offrire PER FORZA le loro performance e tendono a volersi porre al centro dell'attenzione? (Che poi sarebbe NZ...). Scusa, non riesco a mettere in relazione la paura, il panico con l'egoismo... :roll: :LOL:

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Caro Maurizio, quello cui si riferiscono le mie affermazioni in questo topic corrisponde ad una prassi clinica i cui risultati sono evidenti e riconosciuti. Il mazzo bisogna farselo "terapeuticamente" per problemi più complessi che non un semplicissimo dap.

Il mio sconforto è avere esperienza quotidiana di  come sia semplicissimo debellare  il dap ed assistere viceversa a continui messaggi in cui tale semplice "malessere" sia oggetto di una quasi totale sfiducia nella possibilità di risoluzione e quel che è peggio, verificare continuamente sulle pagine di questo forum che moltissimi vengono indotti da "tecnici" della materia ,cui si sono rivolti, all'assunzione di farmaci: lo trovo davvero scandaloso a fronte delle consolidate tecniche di cui parlavo che prevedono l'assoluto non utilizzo di farmaci.

Vi sono anche tecniche non farmacologiche che funzionano bene nell'affrontare casi di DAP e che presuppongono una spiegazione causale per il DAP stesso diversa da quella che hai proposto in questa sede...ne consegue che non posso che trovarmi d'accordo con turbo :arrow:

Per la verità le tecniche in uso nell'approccio di tipo comportamentale/cognitivo cui so che ti riferisci, in linea di massima tendono a disinteressarsi delle cause del Dap , come del resto delle cause di ogni altro "malessere", puntanto direttamente sul sintomo ed agendo in maniera tale da operare una conversione dell'atteggiamento considerato negativo in uno positivo ed accettabile dal soggetto; questo, nell'approccio cognitivo viene affiancato da un lavoro di "sostegno" e comprensione dei processi interiori che fanno da sfondo alla fobia, cioè si opera un lavoro di rivalutazione di tali processi tesa al raggiungimento di una maggiore autostima. Questo tipo di impostazione può portare ad una remissione totale/parziale del sintomo fobico, ma in genere si assiste sovente dopo un certo periodo od in concomitanza del "trattamento" ad uno spostamento del sintomo in altra direzione, ovvero alla scomparsa del dap subentra altro tipo di somatizzazione del "disturbo".Quindi una tecnica per potersi definire "efficace" non solo deve portare alla scomparsa del sintomo fobico ma soprattutto deve essere tale che, avendo affrontato il problema alla radice, fa si che venga eliminato del tutto detto sintomo , senza alcuna possibilità quindi di ricomparsa o di ricomparsa sotto altra forma "nevrotica" collaterale.Occorre perciò che alla attività comportamentale/cognitiva venga integrato un lavoro essenziale di percezione corporea ed emotiva generale da collegare al vissuto storico della persona, facendo si che tale percezione venga "agita" durante il lavoro sul dap.Insomma la differenza è sempre lì tra il semplice spiegare/valorizzare ed il più complesso vivere, consapevolizzare ed agire il proprio disagio. Cioè le cose non bisogna valorizzarle o capirle, bisogna solo trovare il modo di viverle fino in fondo, sentirle individuando tra queste quelle che sono in uno stato di attuale "squilibrio".

In conclusione si può affermare che le tecniche cui fai riferimento tendono a trascurare pesantemente gli effetti collaterali di tale tipo di intervento, rendendolo in tal modo, nei fatti, inefficace rispetto all'obbiettivo del raggiungimento di un quadro generale realmente equilibrato della persona. Es.: a che mi serve riuscire ad andare nelle montagne russe se poi il quoziente generale della mia angoscia resta intatto, (dato che la "vera causa" è sempre lì), canalizzandosi tale angoscia in nuove forme di squilibri psicosomatici?

Ma quali elementi abbiamo per dire che il DAP , o la Fobia , derivino sempre da una particolare classe di processi psicologici? L'aooproccio cognitivo comportamentale suppone che la fobia derivi da una associazione...una persona vive un certo tipo di esperienza paurosa , ed associa un certo oggetto/animale o una certa situazione a quella sensazione di paura...a livello sperimentale , si è visto che questo può accadere pressochè a chiunque , se vengono rispettate certe condizioni , il che mi fa supporre che lo siluppo di una fobia possa non essere particolarmente legato a traumi o disagi profondi. Certo , è anche possibile che la fobia si sviluppi , in altri casi , secondo un percorso differente...e quindi il nocciolo causale è di altra natura. Penso che questo possa valere anche per il DAP.

Un altro problema , a mio avviso , riguarda gli effetti di somatizzazione alternativa che seguono ad un trattamento cognitivo comportamentale della fobia o del DAP. Tu hai scritto che , spesso , nonostante si assista ad una regressione totale o parziale del sintomo , esso tende a manifestarsi poi in una qualche altra forma "nevrotica" collaterale...secondo me , però , bisognerebbe approfondire il livello di analisi:

1) Quali persone sviluppano forme nevrotiche alternative e quali no? Qual'è la storia , l'evoluzione che sta dietro al loro sintomo fobico?

2)La persona manifestava già , prima del trattamento cognitivo - comportamentale , altri comportamenti o sintomi "nevrotici" diversi dal sintomo fobico? Se sì , in che misura o con quale intensità?

3) Come viene vissuta la fobia dal soggetto? La giustifica in un qualche modo? Ci si nasconde dietro? Non riesce a conviverci?

Credo sia fondamentale analizzare tutti questi fattori - e certamente molti altri che mi sfuggono - prima di valutare l'efficacia di un certo tipo di trattamento.

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Un altro problema ' date=' a mio avviso , riguarda gli effetti di somatizzazione alternativa che seguono ad un trattamento cognitivo comportamentale della fobia o del DAP. Tu hai scritto che , spesso , nonostante si assista ad una regressione totale o parziale del sintomo , esso tende a manifestarsi poi in una qualche altra forma "nevrotica" collaterale...secondo me , però , bisognerebbe approfondire il livello di analisi:

1) Quali persone sviluppano forme nevrotiche alternative e quali no? Qual'è la storia , l'evoluzione che sta dietro al loro sintomo fobico?

Potrei dire con una battuta "quelle che se ne accorgono"..infatti la cosa si può notare nella quasi totalità dei casi...magari ci si accorge della comparsa dei sintomi alternativi dopo un certo tempo...ma potrei dire anche che tale effetto compare in chi ha una sintomatologia che fa capo ad una situazione più articolata e profonda, tale cioè da configurare il dap come sintomo di qualcosa di un pò più complesso e non come qualcosa di semplice superficie.

2)La persona manifestava già , prima del trattamento cognitivo - comportamentale , altri comportamenti o sintomi "nevrotici" diversi dal sintomo fobico? Se sì , in che misura o con quale intensità?

Io parlo esclusivamente dei sintomi che insorgono dopo o parallelamente al trattamento.

3) Come viene vissuta la fobia dal soggetto? La giustifica in un qualche modo? Ci si nasconde dietro? Non riesce a conviverci?

Fermo restando quanto detto al punto 1) sulla possibile diversità dell'articolazione del significato del sintomo dap, è da notare che alcuni pensano ( e non senza una logica ) che , per esempio, senza il mal d'aereo possono lavorare e se hanno qualche altro sintomo insorgente ,tipo, che sò, difficoltà di coppia, possono sopravvivere benissimo, tanto, pensano loro, le difficoltà di coppia ce le hanno tutti...

Io, personalmente in un caso, sebbene astratto come questo, credo che il bilancio dell'intervento che ha portato alla scomparsa del dap sarebbe nei fatti fallimentare, in quanto la capacità di integrazione nella coppia è senz'altro più importante del dap.

Credo sia fondamentale analizzare tutti questi fattori - e certamente molti altri che mi sfuggono - prima di valutare l'efficacia di un certo tipo di trattamento.

Difatti.

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l'esperienza concreta della morte' date=' caro Maurizio' date=' è una cosa che ci capita di vivere ogni istante della nostra vita...siamo morti all'ieri e siamo nulla nel futuro...quante cose abbandoniamo di noi ogni istante...morte per sempre...quante cose non saremo mai...nell'oceano ci sei già...navighiamo nella morte continua...e mai ti ha fatto paura...ora la tua mente ha deciso di aver paura di qualcosa di cui non hai paura...scherzi della mente...un tuo modo di giocare...un qualcosa che hai inventato tu, solo tu...così la paura di morire è solo desiderio di vivere...come fanno tutti, morendo ogni secondo...[/quote'']

Beh, mi sembra difficile negare che la paura della morte sia comune all'intero genere umano, altrimenti non avrebbe senso neanche parlare di "istinto di conservazione". Voglio dire, è una CREAZIONE DELLA MENTE comune all'intero genere umano. Una volta scrissi una poesia, che cominciava così: "La vita è fatta di continue morti", mi riferivo appunto al fatto che perfino le nostre cellule cambiano attimo dopo attimo, figuriamoci le situazioni e l'ambiente che ci circonda, oltre alla coscienza di noi stessi. Ma la MORTE vera e propria rappresenta qualcosa di ben diverso, qualcosa di sconosciuto, il salto del vuoto. Posso figurarmi con la fantasia cosa sarò domani, quando avrò la laurea, farò il professore, sarò sposato, avrò dei bambini...ma come posso figurarmi DOPO MORTO? Non posso neanche sapere se, semplicemente, CI SARO'. Ecco, secondo me, la radice profonda degli attacchi di panico (che non a caso mi si sono manifestati la prima terribile volta dopo aver visto una persona morire). Io credo che la paura più comune, durante un attacco di panico, sia in fondo quella di POTER MORIRE. Strano che nessuno ne abbia parlato, vorrei sapere se tutti gli altri sono o meno d'accordo. Un abbraccio :wink:

(Ci sono gli effetti fisici, ma anzitutto è come un vortice che ti inghiotte e ti porti via nel vuoto, terrore, come essere presi e ANNULLATI, privati di ogni coscienza, morte, morte come sparizione, morte come separazione totale dal mondo, morte come TERRIBILE MANTENIMENTO DELLA COSCIENZA, in un momento in cui perderla sarebbe la salvezza, perché la cosa terribile non è morire, ma sapere che SI STA PER morire, e quel SI STA PER non ha mai fine, è un solo minuto è un'eternità...).

in fondo....è solo autolesionismo. è solo paura. solo.

ieri una persona mi ha detto una cosa illuminante:"sai perchè hai paura di fare questa cosa davanti ad un pubblico?perchè sei egoista. sei brava' date=' hai talento,emozioni le persone....e tutto questo te lo vuoi tenere tutto per te."

e allora la paura....sì...perchè ogni volta è come tuffarsi nel vuoto e non sapere se in quel vuoto qualcuno ci accoglierà.e invece restano tutti irretiti, e appunto formano quella rete che ti salva da una disastrosa caduta.

quanto siamo egoisti quando abbiamo paura di offrire ciò che c'è di bello in noi?[/color']

quanto siamo egoisti quando abbiamo paura di offrire ciò che c'è di bello in noi?

Ma l'egoismo non è di quelli che vogliono offrire PER FORZA le loro performance e tendono a volersi porre al centro dell'attenzione? (Che poi sarebbe NZ...). Scusa' date=' non riesco a mettere in relazione la paura, il panico con l'egoismo... :roll: :wink:[/quote']

certo che è una creazione propria del genere umano...ma sempre creazione è...egoismo è ciò che è partorito dalla nostra mente ed a cui invece vogliamo dare valore di vissuto universale...magari è invece errore universale... ma è da dire, però, anche che non tutte le culture hanno lo stesso rapporto catastrofista con la morte che ha la nostra cultura "occidentale"...

in realtà qualsiasi morte che conosciamo è solo vita, è solo una nostra esperienza di vita...la morte "vera" non la conosceremo mai...

Riporto un passo tratto dai "Dialoghi" di Confucio:

"Ji Lu domandò come servire mani e spiriti.Il Maestro disse: "Non sai servire i vivi,come vuoi servire i morti?" "Oso chiedere della morte?" "Non sai della vita, come vuoi sapere della morte?"

Allora ogni paura di morire è desiderio di vivere...l'egoismo è la presunzione di spiegare la morte, senza rendersi conto del proprio vero desiderio di vivere, che sta sotto tutto quel volersi spiegare...

Questo concetto si chiama anche "ottimismo del Leopardi", che nell'incessante sottolineare la natura matrigna della vita più ti fa desiderare di viverla, di trovare la felicità...

quindi egoismo è soffermarsi sulla natura rea delle cose e non cercare invece la felicità in esse...

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certo che è una creazione propria del genere umano...ma sempre creazione è...egoismo è ciò che è partorito dalla nostra mente ed a cui invece vogliamo dare valore di vissuto universale...magari è invece errore universale... ma è da dire, però, anche che non tutte le culture hanno lo stesso rapporto catastrofista con la morte che ha la nostra cultura "occidentale"...

in realtà qualsiasi morte che conosciamo è solo vita, è solo una nostra esperienza di vita...la morte "vera" non la conosceremo mai...

Riporto un passo tratto dai "Dialoghi" di Confucio:

"Ji Lu domandò come servire mani e spiriti.Il Maestro disse: "Non sai servire i vivi,come vuoi servire i morti?" "Oso chiedere della morte?" "Non sai della vita, come vuoi sapere della morte?"

Allora ogni paura di morire è desiderio di vivere...l'egoismo è la presunzione di spiegare la morte, senza rendersi conto del proprio vero desiderio di vivere, che sta sotto tutto quel volersi spiegare...

Questo concetto si chiama anche "ottimismo del Leopardi", che nell'incessante sottolineare la natura matrigna della vita più ti fa desiderare di viverla, di trovare la felicità...

quindi egoismo è soffermarsi sulla natura rea delle cose e non cercare invece la felicità in esse...

A cosa ci porta, nel senso terapeutico -che è quello che più conta- l'affermazione che dietro ogni paura esiste un desiderio? In che modo ti serviresti di ciò per "guarire"? Certo, parli di uno strano egoismo quando affermi in pratica l'egoismo dell'infelicità...però mi pare che qui il termine "egoismo" venga ad assumere un significato enormemente ampio, nel senso di "affermazione soggettiva a cui si pretende di dare un valore oggettivo" (cosa che facciamo tutti), correggimi se sbaglio... ciao! :wink:

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A cosa ci porta' date=' nel senso terapeutico -che è quello che più conta- l'affermazione che dietro ogni paura esiste un desiderio? In che modo ti serviresti di ciò per "guarire"?

Proprio come dici tu, serve a guardare la luna e non il dito che la indica, ovvero ciò che è oltre l'ostacolo e non l'ostacolo...l'obiettivo è la meta, non la difficoltà per raggiungerla...

Certo, parli di uno strano egoismo quando affermi in pratica l'egoismo dell'infelicità...

difatti, come ben sappiamo, l'egoismo non è mai stato fonte di felicità vera, anche se è giusto quando a volte serve per autoproteggersi, autoaffermarsi, a patto però che corrisponda ad un reale sentire, ad un reale sentito ed importante bisogno, ma in quel caso parlerei più di "prendersi cura di sè", però succede che a volte il reale bisogno è proprio l'opposto di quello che pensiamo con la testa che sia ...

però mi pare che qui il termine "egoismo" venga ad assumere un significato enormemente ampio, nel senso di "affermazione soggettiva a cui si pretende di dare un valore oggettivo"

è proprio questa la radice su cui nasce e prospera il dap.... voler conservare lo status iniziale partorito da una nostra, solo nostra, idea...

a me è stato insegnato a non innamorarsi delle proprie idee, cercando di arrivare a qualcosa che davvero ti convinca, cioè che "senti" più convincente, senza paura di abbandonare la precedente idea, senza aver paura che inevitabilmente rispetto ad essa si dovrà "morire" ( è questa l'unica vera esperienza che possiamo avere della morte, ma vale la pena "suicidare" quella parte di sè per una che ci convince di più....alcuni si suicidano per davvero quando è solo una singola parte di sè che vorrebbero cancellare)

Proverbio: Chi ricostruisce abbattendo quello che ha già edificato non ha mai perso il suo tempo, nè prima nè dopo...

(cosa che facciamo tutti),

certo a tutti capita di aver paura....

correggimi se sbaglio...

non l'ho fatto, come vedi... :D

ciao! :wink:

un abbraccio, Mauri.

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Un altro problema ' date=' a mio avviso , riguarda gli effetti di somatizzazione alternativa che seguono ad un trattamento cognitivo comportamentale della fobia o del DAP. Tu hai scritto che , spesso , nonostante si assista ad una regressione totale o parziale del sintomo , esso tende a manifestarsi poi in una qualche altra forma "nevrotica" collaterale...secondo me , però , bisognerebbe approfondire il livello di analisi:

1) Quali persone sviluppano forme nevrotiche alternative e quali no? Qual'è la storia , l'evoluzione che sta dietro al loro sintomo fobico?

Potrei dire con una battuta "quelle che se ne accorgono"..infatti la cosa si può notare nella quasi totalità dei casi...magari ci si accorge della comparsa dei sintomi alternativi dopo un certo tempo...ma potrei dire anche che tale effetto compare in chi ha una sintomatologia che fa capo ad una situazione più articolata e profonda, tale cioè da configurare il dap come sintomo di qualcosa di un pò più complesso e non come qualcosa di semplice superficie.

2)La persona manifestava già , prima del trattamento cognitivo - comportamentale , altri comportamenti o sintomi "nevrotici" diversi dal sintomo fobico? Se sì , in che misura o con quale intensità?

Io parlo esclusivamente dei sintomi che insorgono dopo o parallelamente al trattamento.

3) Come viene vissuta la fobia dal soggetto? La giustifica in un qualche modo? Ci si nasconde dietro? Non riesce a conviverci?

Fermo restando quanto detto al punto 1) sulla possibile diversità dell'articolazione del significato del sintomo dap, è da notare che alcuni pensano ( e non senza una logica ) che , per esempio, senza il mal d'aereo possono lavorare e se hanno qualche altro sintomo insorgente ,tipo, che sò, difficoltà di coppia, possono sopravvivere benissimo, tanto, pensano loro, le difficoltà di coppia ce le hanno tutti...

Io, personalmente in un caso, sebbene astratto come questo, credo che il bilancio dell'intervento che ha portato alla scomparsa del dap sarebbe nei fatti fallimentare, in quanto la capacità di integrazione nella coppia è senz'altro più importante del dap.

Credo sia fondamentale analizzare tutti questi fattori - e certamente molti altri che mi sfuggono - prima di valutare l'efficacia di un certo tipo di trattamento.

Difatti.

Ma quindi , il DAP può , in certi casi , essere sintomo di qualcosa di abbastanza "superficiale"?

So che tu parli dei sintomi che insorgono dopo o parallelamente al trattamento , ma se certi sintomi erano presenti già Prima , questo significa che non derivano da una compensazione del sintomo fobico , riosso col trattamento , ma da qualcos'altro...

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Ma quindi ' date=' il DAP può , in certi casi , essere sintomo di qualcosa di abbastanza "superficiale"?

Certo, il dap è semplice da eliminare, il trattamento sulle cause invece è più complesso; non di meno però queste cause posso essere più articolate o essere invece di più semplice strutturazione. Cioè una cosa è se il dap tende a farti rimuovere un grande dolore un'altra è se il dap copre delle tue convinzioni "indotte", "educative" cioè, in definitiva "mentali" e che non sono radicate in disfunzioni cmplesse della tua emotività/fisicità.

So che tu parli dei sintomi che insorgono dopo o parallelamente al trattamento , ma se certi sintomi erano presenti già Prima , questo significa che non derivano da una compensazione del sintomo fobico , riosso col trattamento , ma da qualcos'altro...

Mi riesce difficile immaginare un quadro che non sia organico, cioè intimamente connesso in tutte le sue manifestazioni in un dato momento che chiamiamo per esempio "T". In questo momento T tutto è collegato quindi non c'è da distinguere ciò che ti determina il dap e cosa no...è un tutt'uno...il trattamento quindi una volta effettuato correttamente risolve tutto il quadro e non solo una parte...quindi se assisti ad una ricomparsa di sintomi sotto altra forma sai per certo a quel punto che vi è stato spostamento del sintomo, se invece trattasi di sintomi preesistenti collaterali al dap vuol dire che la terapia non è ancora approdata ad un esito soddisfacente...

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Visto che il DAP sarebbe facile da eliminare almeno per le sue manifestazioni esteriori, potresti dirci qualcosa di più a questo riguardo, Aio? Siamo poveri APPANICATI bisognosi... :LOL:

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Quali sono queste tecniche Aio ?

Visto che il DAP sarebbe facile da eliminare almeno per le sue manifestazioni esteriori, potresti dirci qualcosa di più a questo riguardo, Aio? Siamo poveri APPANICATI bisognosi... :wink:

Tecniche per affrontare il Dap.

prima di passare ad illustrare alcune tecniche collaudate che hanno come risultato la scomparsa del dap, è quanto mai opportuno cercare di imparare degli esercizi di "percezione corporea"

A questo riguardo, per facilitare questo compito, riporto, integrandolo, il contenuto di un mio post, che, tra l'altro, linka ad un file audio.

http://www.psicologiasalute.it/mp3/rilassamento.mp3

per cominciare ad imparare a percepire le sensazioni che avverte il nostro corpo...capire che qualcosa si rilassa del corpo vuol dire anche rendersi conto di cosa sia al contrario la rigidezza localizzata in alcune parti in particolare...di seguito con lo stesso modo di procedere si potrebbe cercare di far caso alla "temperatura" delle varie parti, cioè se in quella data parte avvertiamo una sensazione che è più di caldo o di freddo...e poi ancora cercare di vedere se in una parte vi siano "onde",  tremolii, brividi, battiti,...si potrebbe quindi avvertire in quali parti queste sensazioni siano presenti e dove invece si interrompano...si potrebbe anche cercare di capire quali parti avvertano una eccitazione di tipo sessuale...una volta agganciata la sensazione è importante seguirne l'evoluzione, rimanere in contatto e vedere cosa succede, se la sensazione si amplia, se si sposta quanto più possiamo mantenere la percezione più ci conosciamo profondamente.  

Teniamo anche presente che ognuna di queste sensazioni non è altro che un modo diverso di dire esattamente ciò che sentiamo a livello emotivo...

nel nostro caso non dovremo fare alcunché per rilassare le varie parti del corpo, ma ci interessa invece percepire quale sia la reale sensazione che proviamo.senza fare assolutamente nulla per modificarla.

Una volta acquisita una certa dimestichezza con l'autopercezione che è imprescindibile per ottenere il risultato che ci prefiggiamo, proseguiamo con il lavoro sul dap.

Do,a questo punto, per scontata una certa capacità di differenziare i diversi stati d'animo, cioè le proprie emozioni ( rabbia, tristezza, paura, gioia) e di percepire le proprie sensazioni fisiche ( bisogni, sensazione di caldo/freddo, rigidezza/rilassamento, pulsazione/stasi, eccitazione sessuale, etc.).

1) Amplificazione del sintomo.

Quando si presentano i sintomi, questi non vanno combattuti per poterli fare andare via, ma vanno conosciuti, cercando di farne, invece, aumentare l'intensità. Così per esempio, se il dap è tale da procurare un capogiro, si deve trovare la forza di cominciare a girare su se stessi, per alcuni minuti; in questo modo il sintomo tende ad aumentare. Durante questo lasso di tempo, bisognerà fare attenzione a tutte quelle che sono le sensazioni fisiche, emotive e quali pensieri percepiamo.Subito dopo bisognerà prendere appunti di tutto quello che abbiamo percepito ai vari livelli fisico/emotivo/mentale.

La cosa può, ovviamente, risultare non agevole le prime volte, ma con un po’ di allenamento, diventerà più semplice farlo.

2) Anticipazione del sintomo.

Durante il periodo che abbiamo scelto per affrontare il lavoro sul dap, è molto utile non aspettare che il dap si faccia vivo da solo, ma dovremo cercare di far si che siamo noi a cercarlo, a provocare la sua comparsa. Questo si ottiene attraverso la consapevolizzazione della sensazione fisica che prevale ed affiora durante il dap e la sua riproduzione in un momento successivo. Si dovrà quindi imparare a riconoscere quali risvolti fisici nel nostro caso ha il dap e attraverso tale conoscenza attivarsi per provocare noi quella data sensazione. Ad esempio se il dap mi procura il tremolio del braccio destro dovrò cominciare da solo a tremare col braccio destro . Quindi il dap può essere anticipato inducendo nel corpo una data sensazione che per chi ne soffre induce il disturbo: ad esempio, se è il caldo a procurare il dap, si può immaginare di produrre piano piano le sensazioni di calore interno e spingersi fino alla soglia di sopportazione , se se si tratta di vertigini si cercherà di riprodurre il giramento di testa girando in tondo e così via discorrendo.

E' chiaro che durante lo svolgimento di tali attività, ci si metterà nelle condizioni di sicurezza , adottando le dovute cautele, affinché non si abbia un danno fisico dalle stesse.

L'anticipazione è molto utile perché ci da la possibilità di avere più prove a disposizione per la percezione delle nostre sensazioni, e dall'altro induce una sorta di dialogo col dap, nel quale esso mano mano non è più nostro padrone, ma ci rendiamo conto che siamo in condizione di stabilire con lui un diverso rapporto, un rapporto cioè positivo e costruttivo.

3) Analisi dei risultati

Una volta effettuate tecniche di consapevolezza di cui sopra, dovremo cercare di analizzare gli appunti che abbiamo preso durante i momenti in cui abbiamo percepito, amplificato ed anticipato il sintomo dap.

Sicuramente ci si accorgerà che immediatamente prima della comparsa del dap, e durante, per la nostra mente è passato un pensiero, che abbiamo subito cercato di cancellare, che tende a ripetersi uguale/simile in tutti i momenti in cui il dap è presente. Così altrettanto accade a livello emotivo e fisico. Cioè faremo caso a delle sensazioni fisiche particolari, che avvertiamo nel nostro specifico caso e ad una emozione tra le altre che si fa più presente, e che normalmente tendiamo a reprimere. Il nostro racconto sugli appunti conterrà a questo riguardo, per ognuno di noi, maggiori dettagli che andranno valutati di caso in caso.

E' da tener presente che laddove non si riuscisse a fare esercizi di amplificazione e/o anticipazione del sintomo, resta in ogni caso utile e sufficiente consapevolizzare e aumentare via via il temp di esposizione percettiva alle sensazioni che avvertiamo durante una manifestazione del dap.

4) Contenuto della analisi dei risultati..

La sensazione negativa che ci procura il Dap indica che l'azione che stiamo compiendo in quel momento in realtà non desideriamo farla.

. Faccio degli esempi: se per caso recandomi al lavoro vengo colto da un attacco fobico è perchè non ci voglio andare, poiché in realtà desidero inconsciamente mandare all'aria quel lavoro , compreso il mandare a quel paese il mio partner che non voglio più sopportare sapendo ulteriormente che la perdita dell'impiego potrebbe essere causa della rottura del legame . Altro esempio una donna che accompagna sempre il figlio a scuola è presa da dap. Quella donna non vuole accompagnare il figlio a scuola perché magari sente troppo il peso della conduzione familiare sulle sue spalle, visto che non è supportata dal marito nel disbrigo delle faccende domestiche, il quale marito, dopo aver fatto le sue otto ore di lavoro, si disinteressa ampiamente del menage familiare…Situazioni di questo tipo sono molto più diffuse di quanto non si creda come origine del dap. Ancora: l'esempio della fobia dell'aereo; ci si potrebbe chiedere in quel caso in realtà perché inconsciamente non desideriamo andare nel luogo dove l'aereo ci condurrà.

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Ciao Aioblu,

è perfettamente vero,la frase da te riportata racchiude l'essenza del DAP. è un meccanismo di pensiero molto molto sottile,quasi impercettibile,talmente subdolo da non essere riconosciuto finchè una corretta psicoterapia te lo insegni.

Perchè abbiamo paura di volare?Perchè non ci vogliamo abbandonare alla vita,all'energia vitale,la vita è stata tanto cattiva con noi,ci ha fatto soffrire,e non merita di essere vissuta.

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  • 4 weeks later...

Caro Aio, torno a parlare del DAP per dirti che condivido in gran parte le tue affermazioni, e per esporti i rimanenti dubbi, iniziando per ora dal primo:

- tu dici che la sensazione negativa generata dal DAP indica una certa azione che non desideriamo fare. In molti casi la situazione è diversa, faccio un esempio con un attacco di panico capitato a me.

C'era uno sciopero dei mezzi un po' inaspettato, mi è capitato di vedere quei pochi che passavano strapieni e presi d'assalto. Mi è presa l'angoscia di non riuscire a tornare a casa, da questo l'attacco di panico. Qual era l'azione che non desideravo fare? Io a casa ci volevo tornare, era proprio l'impedimento che mi faceva star male...A seguire scriverò altre osservazioni, un abbraccio :wink:

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l' attacco di panico puo' essere anche un sintomo .

sarebbe bello se si trattasse solo di voglia di volare..

:wink:

invece spesso è la puntina di un iceberg gigante .

ma va affrontato, non è saggio fare finta di niente e tirare dirtto.

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Caro Aio, torno a parlare del DAP per dirti che  condivido in gran parte le tue affermazioni, e per esporti i rimanenti dubbi, iniziando per ora dal primo:

- tu dici che la sensazione negativa generata dal DAP indica una certa azione che non desideriamo fare. In molti casi la situazione è diversa, faccio un esempio con un attacco di panico capitato a me.

C'era uno sciopero dei mezzi un po' inaspettato, mi è capitato di vedere quei pochi che passavano strapieni e presi d'assalto. Mi è presa l'angoscia di non riuscire a tornare a casa, da questo l'attacco di panico. Qual era l'azione che non desideravo fare? Io a casa ci volevo tornare, era proprio l'impedimento che mi faceva star male...A seguire scriverò altre osservazioni, un abbraccio  :wink:

Da quello che dicevo prima è proprio il desiderio di non voler tornare a casa che ti ha scatenato la crisi…non dirmi, caro Maurizio, che anche tu, come tutti noi ,non abbia mille motivi validi per non voler tornare a casa… :D

Tu "pensavi", con la testa, di voler tornare a casa, ma c'era una parte di te che "sentiva", nel profondo, che ci sono alcuni validi ( per te) motivi per non voler tornare a casa….

.

Perchè abbiamo paura di volare?Perchè non ci vogliamo abbandonare alla vita,all'energia vitale,la vita è stata tanto cattiva con noi,ci ha fatto soffrire,e non merita di essere vissuta.

E quindi il dap a ricordarci che, volere o volare, abbiamo bisogno di… volare, indipendentemente da come siano andate le cose nella nostra vita…così magari , volando, cominciamo a vederle più dall'alto, e come si sa, dall'alto tutte le cose diventano più piccole….

Ciao Mysterio :wink:

l' attacco di panico puo' essere anche un sintomo .

sarebbe bello se si trattasse solo di voglia di volare..  

:wink:  

invece spesso è la puntina di un iceberg gigante .

ma va affrontato, non è saggio fare finta di niente e tirare dirtto.

il Dap "non è altro" che un sintomo…

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Tu hai ragione quando dici che c'era qualcosa che NON VOLEVO...solo che non riguardava il tornare a casa, era una cosa ben più drammatica, cioè l'AFFRONTARE LA GENTE, dovermi mettere in una soffocante marmellata di persone che mi atterriva, la stessa cosa che mi accadde una volta nella ressa dello stadio (non avevo certo il desiderio di non vedere la partita, in quel periodo ero fanatico di calcio, certo che alla fine ho pensato "meglio perdermi la partita"). Tuttora a volte ho paura degli altri...

Insomma, è certo che c'è qualcosa che non vuoi alla base di tutto, quando vidi quel ragazzo morire c'era il rifiuto più assoluto della morte stessa...un caro saluto 8)

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potremmo cercare di individuare un sottile legame tra le varie ipotesi...tra i vari elementi del discorso...

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Però forse il discorso potrebbe diventare troppo personale e annoiare gli altri...se vuoi ti mando un' email, ciao! :LOL:

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