Nessun tentativo di convincimento. Sarebbe inutile e insensato. L'obiettivo è essere così tanto consapevoli da guardare in faccia le nostre paure, le nostre debolezze e ciò che non va e che, tuttavia, è talmente radicato che non cambierà, senza che qualcuno ci indori la pillola. Non siamo andate male ad un esame che potremo provare un'altra volta, ma siamo state bocciate all'esame con noi stesse. Non trovi che il tuo giudizio sia sempre il più feroce e, soprattutto, il più inappellabile? Ti riconosci in un certo modo, capsci che non ti paci o non vorresti essere qualla che sei e ti bocci, senza alcuna possibilità, senza alcuna pietà, senza nessun attenuante. Finito. La questione è irrisolvibile, quindi hai fallito. O hai capito qualcosa di te che potrebbe essere salvato se solo fossi più indulgente nei confronti di te stessa? Immagina una come te e immagina di doverla descrivere e giudicare: scommetti che saresti molto più generosa di come sei con te stessa? Sai, Judi, qualche giorno fa ero molto demoralizzata, perchè mi sentivo una condannata. Una condannata a rimanere me stessa, con tutti i miei enormi limti, a non poter mai "guarire" perchè la "malattia" sono io, ad avere sempre le stesse difficoltà perchè il modo di sentire non può essere modificato. Sto e sono stata molto male per questo, sentendomi un individuo inutile, insulso, perennemente sofferente, sempre in difficoltà. Ma poi mi sono detta: proviamo a prendercela tutta sulle spalle questa diversità, questo isolamento, queste paranoie, e proviamo a viverle. Senza stare a ripetersi che così non va, che non dovremmo, che non sarebbe opportuno, che non ci possiamo muovere perchè quello spazio là fuori è come se non fosse nostro. Ho provato a dirmi: "tenta di non nasconderti: falle irrompere queste tue difficoltà, per una volta senza sofferenza, ma con i denti stretti". Quindi, ho preso in mano il telefono, ho chiamato il mio psi e gli ho fatto un preambolo di qualche minuto in cui dicevo di sapere di non dimostrarmi una persona matura (perchè non lo sono), una che riesce ad aspettare il momento opportuno di agire [una che è ancora lontana da sistemare i propri problemi relazionali, una che ancora non ci sa andare, avanti, con le sue gambe; una che ha ancora bisogno del cordone ombelicale che, in questo momento, anche dopo un anno di terapia, conduce a lui]. Al termine della lunga premessa gli ho chiesto se fosse possibile che mi desse un suo recapito così da rimanere in contatto con lui (solo in caso di emergenza) dopo la sua partenza, per mia tranquillità psicologica. Lui ha sorriso (ho sentito l'aria di un sorriso soffiare nella cornetta) e, con voce gentile e gaia, mi ha detto: "certo, che problema c'è?".
So che è una risposta autistica, ma volevo dire che penso che dovremmo tentare di non cadere nel possibile isolamento o nella non-azione perchè scontente di ciò che siamo. Siamo così e forse non "guariremo" mai: ma pensarci troppo e, soprattutto, pensare di essere "malate", ci farà ammalare anche di più (e questo è certo). Sono sicura che il tuo psi, che ti conosce molto meglio di chiunque, qui, non sarebbe così severo e mi sembra che nelle sue continue attestazioni di stima potresti anche desumere che non ti considera un caso disperato. Sei una donna e conosci le tue caratteristiche: limiti e pregi, con le conseguenti gratificazioni e mortificazioni derivanti dal riconoscerli.
Insomma, volevo dire che io mi stavo torturando per la mia richiesta, dicendomi che stavo dimostrando di essere immatura, di avere bisogno di un punto di riferimento, di non saper vivere se non so che c'è qualcuno pronto ad accogliermi: a me stava salendo l'ansia sempre di più, perchè mi sentivo una fallita totale, ma lui mi ha accolto, così come sono (immatura etc.) con un sorriso. C'è almeno un individuo che mi sorride anche se sono così. E non penso che a te ne manchino...
A me ha fatto un gran bene. Non so se ti sono stata utile...