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frncs

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messaggi di frncs

  1. secondo me la differenza tra me e voi è che io posso scegliere come comportarmi di fronte a un disabile, o a una discussione in cui si parla di essi, voi invece no, siete vincolati (per le vostre ragioni) a comportarvi solo in un certo modo, e di rimbalzo vincolate il disabile a comportarsi come volete voi (sano, lavoratore, trombatore, scienziato ecc ecc), il più delle volte fregandovene di quello che vorrebbe essere il disabile in questione, perchè conoscete solo un alternativa: "deve essere normale".

    non so quale delle due è la più triste...

    Per quanto mi riguarda (visto che ti rivolgi a un voi generico che non esiste) non so nemmeno che cosa significhi normalità quindi figurati se voglio imporla a qualcuno (nel caso dovrei innanzi tutto riuscire a imporla a me stessa). Il fatto è che qui la questione della normalità imposta non c'entra niente. Offrire delle possibilità è esattamente il contrario. Avere molte possibilita significa poter scegliere. Averne poche o una sola significa essere limitati nella scelta o costretti. Quindi la tua affermazione sull'imposizione della normalità è completamente illogica.

    Non ho nessuna opinione precofezionata. Anzi, nel caso dell'argomento in questione qui, non ho nemmeno un'opinione precisa. In realtà mi sembra che se la prostituzione è vista come qualcosa che lede la dignità della persona e per questo è vietata dalla legge, va vietata anche nel caso dei disabili. Ma mi rendo conto che è una situazione complessa, che bisognerebbe pensarci, approfondire ecc. Mi sembrerebbe invece certamente auspicabile offrire occasioni di conoscenze, incontri, socializzazione a chi ha difficoltà di movimeno o d'altro, in modo da facilitarli almeno un po' nella possibilità di trovare un partner.

    La differenza, rispetto a te, non è nell'opinione sull'argomento, ma nella motivazione. Tu hai scritto che sei contrario, perché non vuoi essere intralciato, non vuoi che i tuoi soldi siano usati per cose del genere. Alla base c'è una visione opposta della società. Da una parte c'è l'idea che la società debba tutelare i più deboli (che non sono solo i disabili) e cercare di ridurre almeno in parte gli squilibri dovuti alla fortuna (per esempio la fortuna di essere ricchi o sani o intelligenti ecc) e dall'altra l'idea che ognuno debba provvedere a se stesso con i mezzi che la fortuna gli ha dato.

    quale è la differenza tra dire "spero non diventi mai psicologo!"

    e dire "spero il disabile non trombi mai!" (cosa che Ego cmq non ha detto eh.)

    ?

    La differenza sta nelle conseguenze. Nella prima ipotesi si teme (a torto o a ragione) un danno per qualcun altro.

    perchè lo psicologo deve avere una mentalità standard preconfezionata? :o

    d'altronde sarebbe in linea con il concetto di "disabile normale a tutti i costi"... :Thinking:

    gli ok stanno per dire "ok è na cosa tranquilla" all'informazione che riporta l'ok :ola (4):

    Niente affatto. Anzi il problema è che la tua sembra una mentalità standard preconfezionata. Non sai quante volte ho sentito fare discorsi simili, tipo: "io lavoro dalla mattina alla sera e devo pagare le tasse per quelli che non fanno niente, per i disoccupati, i carcerati, i disabili...".

    Mi stupivo solo che uno con una mentalità del genere abbia scelto un tipo di studio orientato (il più delle volte) al campo della cura. E che quindi tendenzialmente avrà a che fare con gente spesso debole, poco produttiva, parzialmente disabile, gente insomma che nella tua logica potrebbe essere cosiderata un peso per il resto della società.

    E poi di fronte alla tua mancanza di attenzione alla logica e alle parole degli altri, oltre a tutti quei simboli messi a caso nella speranza (ahimè vana) di ovviare a un linguaggio approssimativo e superficiale, non posso fare a meno di immaginare la reazione che avrei se fossi una tua paziente.

  2. So bene che in generale bisognerebbe solo ignorare i messaggi stupidi e provocatori, ma questa volta non riesco a non fare due domande a chi li ha scritti:

    come ti è venuto in testa, con una mentalità come la tua, di metterti a studiare psicologia (l'unica ipotesi verosimile che mi viene in mente è che speri di trovare lavoro nella selezione del personale di qualche grande azienda)?

    e poi perché metti continuamente quei pollici di okay a casaccio nel bel mezzo di frasi in cui non c'entrano niente?

  3. .........

    ...e quindi questo topic lo lasciamo scivolare lentamente nell'oblio??? :(:

    non è colpa mia se nessuno si cimenta e l'unica che ha indovinato non può partecipare e quindi non dà la spiegazione (ammesso che la sappia e non si sia buttata a indovinare).

  4. il problema è che bisogna evitare peggioramenti .

    per quanto riguarda il problema dei soldi.. bisogna rivolgersi alle strutture pubbliche.

    no.. io con lo psichiatra ho incontri sporadici e lui parla..

    e lo psicoterapeuta che parla poco.

    che non incalza...

    e che fa cadere le parole per terra.

    intendevo lo psicoterapeuta (che a volte è anche psichiatra)

    lo psichiatra non psicoterapeuta certo parla ma appunto lo si vede di rado

    per il resto non so che dirti

    te l'ho detto a me il suo silenzio dava ai nervi

    ma è anche vero che poi se incalzano è difficile parlare liberamente

    perché non si riesce a fare a meno di pensare: se nomino questo poi lui mi chiederà quest'altro, e dovrò spiegare, e dovrò parlare di una cosa di cui non voglio parlare ecc. E si finisce per evitare proprio certe parole, certi discorsi. Insomma non è facile capire cosa è giusto, tovare un modo per non apparire lontani e indifferenti, ma nemmeno inquisitori. Non so. Prova a fargli tu delle domande (se ci riesci, per me non so bene perché ma era difficilissimo).

  5. non so che dirti frncs... è che tu sei arresa. arresa per principio. se tu avessi fatto anni e anni di terapia spremendoti come un limone, potrei darti ragione, potrei dire: forse ha sbagliato terapeuta...o metodo terapeutico. oppure è proprio vero che la psicoterapia in toto non funziona...

    ma non è il tuo caso. non ci ha mai provato e adduci mille motivi validi per non averci mai provato.

    tutti, TUTTI quelli che fanno una terapia, soprattutto per problemi personali grossi, subiscono la frustrazione, i momenti (i mesi!!) di sconforto quando sembra non servire a niente, non cambiare niente.

    la terapia non è una cosa ne semplice ne breve...allora o ci si prova fino in fondo...oppure ci si può arrendere, si può decidere che è troppo difficile per noi o che noi non siamo adatti... però non smontiamo il valore o l'utilità di un percorso terapeutico quando il problema è fondamentalmente nostro.

    ma sì lo so che sono io

    (ho fatto comunque due anni di terapia, ma è vero che forse mi mancava la fiducia necessaria o qualche altra cosa, non so, forse anche a quello sono inadatta)

    in ogni caso non intendevo affatto smontare il valore o utilità delle terapie in generale

  6. certo non è una bella prospettiva essere malati cronici...e allora uno cosa fa, non si cura sapendo che non esiste la guarigione completa? come se chi ha il diabete non facesse l'iniezione di insulina perchè non è una bella prospettiva limitarsi a tenere a bada i sontomi (per fare un esempio)

    left ha capito che l'analisi gli serve a tenere a bada i sintomi (oltre alla terapia farmacologica) e allora la fa.

    Non dico che non sia importante tenere a bada i sintomi. Anzi in alcuni casi può essere indispensabile e allora uno accetta la prospettiva limitata, il meno peggio.

    Però l'esempio che fai non è preciso. Perché con l'iniezione di insulina il diabetico vive normalmente anche se la sua malattia è cronica. Invece io no. Non vivevo comunque normalmente quando facevo la terapia. Erano solo attenuati i sintomi più drammatici, quello sì, lo riconosco, me ne accorgo soprattutto da quando ho smesso. Ma il resto (che non so se va considerato un sintomo) era immutato. Questo dico. Non è solo la prospettiva di dover continuare per sempre la terapia (costosa tra l'altro, il che per chi ha difficoltà nel lavoro non è un dato irrilevante), ma anche il fatto che gli effetti sono molto limitati. Per fare un esempio più vicino alla mia situzione, direi che era come se a uno che ha una gamba rotta gli si facesse fare una terapia a vita che non gliela guarisce, non gli permette comunque di usarla, di camminare, di correre, ma solo attenua un po' il dolore. Meglio di niente, si dirà, e può darsi che sia vero. Ma non è facile accettare una prospettiva del genere.

    si ma vedi io per anni "sentivo" che cera qualcosa che non andava ,.

    poi lo psichiatra con una parola mi ha dato un senso a questo mio sentire.. me lo ha reso concreto.

    e una cosa ben diversa.. perchè almeno sai con che cosa fare i conti.

    Sì è vero. Però per me è stata una sensazione di breve durata (allo stesso tempo di sgomento e di sollievo). Poi, dopo qualche tempo, ha cominciato a sembrarmi un sapere illusorio.

    In ogni caso (al di là degli effetti terapeutici) con uno psichiatra muto mi verrebbero i nervi. E mi sentirei abandonata. Ma se gli fai delle domande non ti risponde?

  7. quindi a qualcosa serve...

    La via al sentire è sentire...non sapere...sai quante cose sappiamo ma non sentiamo!!!

    Certo anche a me la terapia teneva a bada i sintomi, però il fatto che si limiti a questo (parlo solo per me, può darsi che per L sia divrso) dopo un po' è deprimente. Perché uno pensa che dovrà continuare tutta la vita, senza comunque risolvere mai niente, senza mai partecipare alla vita come gli altri, ma solo con qualche sintomo drammatico in meno. Non è una grande prospettiva.

    Quanto al sapere invece sono d'accordo con te. La consapevolezza non serve, o almeno non basta, è del tutto staccata dal comportamento reale, dalle reazioni reali, dalle possibilità e impossiblità. Almeno a me succede così. Il sapere appartiene a un mondo instabile, sempre discutibile e non verificabile. Con la logica si può arrivare a risultati opposti, entrambi ragionevoli e possibili, tra i quali continuare a oscillare in eterno. Il sentire non so bene cosa sia, ma immagno che abbia una sua verità interna (arbitraria e indiscutibile). COme la letteratura, l'arte, ecc.

  8. Il mio parlava eccome. A volte anche troppo. Nei giorni in cui mi sentivo più lontana mi capitava pure di pensare qualcosa come "che me ne importa dei fatti tuoi". Perché a volte accennava a qualcosa, sempre in riferimento a quello che capitava a me naturalmente, ma qualcosa di suo, per somiglianza o differenza. E prendeva pure appunti. Solo all'inizio stava zitto. Io odiavo il silenzio anche se non riuscivo a interromperlo. Pensavo che sarebbe stato più semplice se mi avesse fatto una domanda. Poi quando me la faceva, mi sembrava impossibile rispondere. Qualunque fosse. Pensavo che la risposta sarebbe stata talmente complicata e lunga e confusa che non avrei mai avuto il tempo. E allora piuttosto che darne un pezzettino preferivo non rispondere. O meglio non è che preferivo ma non riuscivo a rispondere. Non riuscivo a scegliere il pezzettino da cui partire. Uno qualsiasi diceva lui, ma intanto si sgretolavano tutti nella mia mente, diventavano sempre di più e sempre più piccoli, microscopici, inafferrabili.

    Però pure il silenzio a oltranza è disumano. A me veniva una rabbia feroce. Nessun pensiero, se non quello di alzarmi e andarmene. Che silenzio per silenzio tanto valeva starmene a casa mia. Insomma non so. Forse quella silenzio/parola non è poi una variabile tanto importante. Non so. Ma possibile che davvero a te non dica mai niente? Non interpreta mai, non chiede, non torna su cose dette in precedenza? Non insiste quando tu cambi argomento? Possibile?

  9. Io in verità quando ho letto il sogno (non ho scritto prima perché sono negatissima a capire i sogni quindi di solito preferisco non pronunciarmi) ho collegato immediamente il fatto che tua madre dice che vostro padre la vuole lasciare per un'altra, col fatto che poi in effetti la separazione c'è quando tua madre resta su mentre tuo padre va giù nel burrone con te.

    Giovanna mi fa pensare a "giovane", una più giovane. La macchina è uno strumento, un mezzo, e forse potrebbe avere a che fare con la psicoterapia.

  10. Bah..... :icon_rolleyes: .....personalmente non posso fare a meno di lamentarmi sistematicamente del fatto che non so se lui mi vuole bene....ma proprio bene-bene......oppure no!

    Mischio il tutto con il resoconto settimanale delle sensazioni e fantasie spiacevoli che mi perseguitano anche quando ogni tanto mi accade qualcosa di buono.

    Un po' piango e un po' gli rompo er ca e lui un po' risponde e un po' rigira le mie domande e questo facciamo in continuazione e non sono molto in grado di ricordare cosa ci siamo detti precisamente. Mi ricordo che mi ha chiesto in cosa vedevo le sue manifestazioni d'affetto.....o se non le vedvo proprio, visto che mi lamento tanto :Just Kidding:

    Diciamo che la sua ironia sembrava sottintendere "dai che lo sai che un po' di bene ti voglio" però.....bla bla bla....non so come e perchè il discorso si amplia, si dirama e una risposta semplice non arriva mai. Io gli do del complicato e lui ovviamente mi rigira la cosa e la tarantella prosegue.....

    A un certo punto gli ho ribadito un concetto già espresso altre volte, ossia che la bestia dentro di me gli dice: Sient', ma tu me vuò bene sì o no?! perchè se è no, vafanculo!

    Lui se ne esce con un'esclamazione di soddisfazione ma poi mica risponde, stu fetente!

    E quest'è......un po' faccio la pagliaccia e un po' soffro davvero, certe volte esco di lì sentendolo distante e altre volte, come l'ultima, più vicino.

    Credo che cerchi di rispondermi il minimo possibile per farmi affilare le armi, almeno così immagino ora, e per farmi allenare ad esprimere sempre al massimo l'emozione del momento.

    Però, sai, in fondo capisco che non ti risponda. Non che voglia difenderlo (mica mi schiero col nemico io). Il fatto è che nessuna parola basterebbe. Non bastano mai. Mi è capitato di aspettare (senza mai chiedere né sollecitare in alcun modo naturalmente perché non avrei mai potuto) una parola da qualcuno. In vari ambiti. Diciamo una parola di conferma, di rassicurazione. Come quella che vuoi tu. Ebbene anche quando la parola è arrivata, anche quando ne sono arrivate di più di quante mai avrei immaginato e desiderato, il senso di sollievo è durato pochissimo. Poi, sotto i colpi del dubbio, quelle parole hanno iniziato a sgertolarsi, a indebolirsi. Ed è bastato, in seguito, un minimo cenno, un tono, un gesto che pareva smentirle, per svuotarle completamente di senso, e lasciarmi solo degli involucri vuoti, ridicoli e tristi.

  11. io invece credo che siano propio ste' persone che con i loro lobbies

    comperano i soliti corrotti politici per mettore il bastone fra le ruote.

    Be' io per esempio conosco un ragazzo ebreo che vive e studia a roma e non partecipa a nessuna lobby e non compra proprio nessuno.

    Ancora una volta bisogna distinguere: una cosa sono le lobbies degli ebrei (di alcuni ebrei) un'altra cosa sono gli ebrei.

  12. a parte quello... c'è della gente che ha iniziato la psicoterapia dopo aver giocato a l'intruso con ransie... :rolling eyes

    mi sa che mi aggrappo al mio verticino risicato... :icon_confused: cosa intendeva per "discorso"?

    Be' in realtà la questione era un po' più ampia. Lui parla della follia come esclusione dalla società. E dice che la società ha vari sistemi di esclusione (i quattro punti che io ho chiamato vertici, anzi più esattamente: lavoro, famiglia, discorso, gioco). Con esclusione dal discorso intendeva dire che le parole di certi individui sono recepite dalla società in modo diverso da quelle degli altri, gli si dà meno credito o al contrario le si considera profetiche. In ogni caso non le si interpreta secondo lo stesso codice.

    Conclude dicendo che gli individui esclusi contemporaneamente da tutti e quattro questi ambiti possono essere genericamente detti "folli".

    Poi credo che a partire da questa teoria dell'esclusione, altri abbiano elaborato idee più strettamente psicologiche.

  13. massagiao allora che fa pure rima con Bertolao...e meravigliao..... :Whistle:

    Frncs....hai preparato la lista?????

    ah scusate

    è la prima volta che leggo questo "trova l'intruso" (non so come chiamarlo, mi viene solo capitolo, non imparerò mai le parole da forum) non ho pensato proprio al funzionamento del gioco.

    Cmq (breve fuori tema) una volta mi hanno detto che il gioco (secondo qualcuno che non ricordo) è uno dei quattro vertici del quadrilatero della salute mentale. O una cosa del genere. Quindi giochiamo almeno ci garantiamo un vertice... Fine del fuori tema.

    La lista (sperando che non ci siano regole speciali che non so):

    fantasma, violenza, paura, cameriera, giorno, fascino, libertà, desiderio, angelo.

    Forse è troppo facile. Vabbè.

  14. ...siccome ho preso atto che molto probabilmente anche la sottoscritta non è psico-emotivamente preparata per stabilire una relazione "sana" con un'altro a livello di coppia, credo che per quanto mi riguarda cercherò di trovare degli strumenti, dovunque, che mi possano far capire come risolvermi... leggerò, mi confronterò, farò qualche percorso adatto a me che mi possa ri-educare... chissà se ci sono delle terapie di gruppo al riguardo (sulle dipendenze affettive dico)? ...comunque ancora grazie per gli input!

    La terapia di gruppo? Mi sa che bisogna avere uno " sviluppo psico-emotivo sufficiente " pure per quella. Io non potrei mai. Non ci andrei neanche sotto tortura.

  15. Ed è per questo motivo che non mi basta aver amato, no, io voglio essere amata in modo sano, per parte mia cerco d'impegnarmi nel fare altrettanto.

    Sarebbe stato molto più bello se la protagonista del film avesse detto: ho sofferto molto ma ho amato e sono stata amata.....nella vita l'amore reciproco è l'unica cosa che conta.

    Lo so che è molto meno poetico....perchè è la sofferenza che è poetica (nei film).....ma noi dobbiamo stare attenti a non rendere poetico ciò che non lo è affatto.

    In realtà non credo che la questione sia essere o meno poetici. Il fatto è che il film sosteneva (così mi pare) proprio il contrario (non come aspirazione, ma come constatazione). Lei, la protagonista, in realtà era anche stata amata però da un altro, dal marito, a modo suo. Tutti amori che non si incontrano insomma.

    In fondo non c'è nemmeno una vera contraddizione con quello che dici tu: descrivere in modo triste e cupo una situazione alla fine non è poi tanto lontano dall'aspirare alla situazione opposta. Tranne per il fatto che nel primo caso manca la speranza. L'idea di un'impossibilità irrimediabile al posto dell'idea di una possibilità a cui aspirare. Mi torna in mente, a proposito della tendenza a vivere la relazione tutta all'interno di se stessi e della volontà invece di una condivisione reale, questo (forse lo conoscete già, sennò guardatelo che è molto bello):

    ps L'ho risentito anche io. Pure lui parla, più o meno come te, di "lirismo degli impotenti". (Non pensava a Dreyer naturalmente...).

  16. Secondo me fai male, i problemi si risolvono vivendo e si cresce attraverso la relazione.

    Quello che volevo dire io è di cercare di non impelagarsi in una relazione con qualcuno più pazzo di noi !!!

    Spero di essere stata chiara! :D:

    Mi scuso in anticipo per il fuori tema.

    Eri stata chiara pure prima. Solo che c'è qualcosa di illogico. Tu parli di due persone: "noi" e "uno più pazzo di noi". E io, siccome non riesco a assumere il puno di vista del tuo "noi", mi identifico con l'altro. Quindi mi chiedo, se il "più più pazzo di noi" non deve impelagarsi in una relazione con qualcuno ancora più pazzo di lui, gli restano due possibilità o trovare uno "pazzo come lui" ma non credo che la relazione verrebbe un granché o entrere in relazione con uno meno pazzo, per esempio il tuo "noi". Ma visto che tu dici che il tuo "noi" deve evitarlo perché è "più pazzo di noi", lui che deve fare?

    Perciò ne ho dedotto che deve starsene al di fuori. Del resto, come dice giustamente quintessenza, se uno sta al di fuori anche quando in realtà è dentro, tanto vale che stia al di fuori e basta senza affliggere il resto dell'umanità.

    A questo punto, poiché non dipende da Tizio il fatto che io non riesca ad esprimermi emotivamente con lui (anche perché lui nei miei confronti è sempre stato molto affettuoso etc), ma è un "tratto" di me che mi porto dietro da tanti anni e che mi ha sempre limitato tantissimo nei rapporti interpersonali, e poiché questo ha portato frustrazione e malessere anche in lui ora, non sarebbe giusto nei miei confronti in primis, e nei suoi in secundis, che io risolva questi problemi che riguardano SOLO me senza coinvolgere anche lui in un rapporto in cui non posso DARMI per chissà quali traumi subiti precedentemente? :starwars:

    ..quindi io penso si, che rapportandoci con l'altro possiamo crescere, ma bisogna comunque avere avuto almeno uno sviluppo psico-emotivo "sufficiente" che ci permetta di incontrare l'altro... altrimenti rispondere con dei pugni a chi ci regala fiori e continuare così nel tempo non mi sembra neanche tanto bello né dignitoso per chi lo accetta.. non so.. io non lo chiamerei amore.. :Black Eye:

    Be' certo. Sarebbe giusto. Del resto (certo non per le nobili ragioni cui accenni tu) faccio così anche io.

    Chissà che deve fare però chi non ha "lo sviluppo psico-emotivo sufficiente"...

  17. :Straight Face:

    va beh per sentito dire li conosco ma non li ho mai visti, non ricordo proprio che li facessero....magari hai 5-6 anni in più...ogni anno c'è un cartone nuovo...

    no ma io il cartone non l'ho mai visto

    avevo giornaletti e libricini e pupazzetti di gomma

    forse in effetti li avevo ereditati da qualche cugino più grande

  18. appunto! -_- Non si fanno le domande vietate ai minori....

    però stanno tornando di moda

    probabilmente perché quelli della mia generazione (che poi è più o meno la tua, com'è che non li conosci?) ora sono genitori e li vogliono per i figli.

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