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alejothemouse

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  1. Non intendevo certamente dire che tutti gli introversi sono anche indifferenti. Tuttavia, quelli che lo sono fanno in genere pagare il prezzo delle loro difficoltà emotive più agli altri che a loro stessi. Credo che tu non abbia compreso appieno ciò che volevo dire, ma forse sono io che non mi sono ben spiegato. Non c'era nessuna intenzione di fare diagnosi, né tantomeno "scienza", era solo un'opinione e non meritava il tuo pubblico rimbrotto, semmai il tuo dissenso.
  2. Per tornare al quesito di Love me ... credo che le persone che "reprimono e sono sane come pesci" paghino comunque un conto molto salato perché vedono alterarsi proprio le capacità empatiche cui qualcuno accennava. Insomma, non volendo percepire qualcosa di sé o in sé, qualcosa che ha a che fare con gli affetti intendo, si accecano sul mondo emotivo degli altri. Primo o poi i nodi verranno al pettine, ma nel frattempo? In genere sono sorci verdi per le persone che li circondano.
  3. Scusate, sono uno nuovo, sono solo un topolino che ruba un pezzetto di formaggio o un chicco di grano qua e là. Leggendo questo forum, mi pare che il vostro amore sia più per la psicoterapia che non per la persona del terapeuta di per sé. Il primo tipo di amore è quello che condivido, ben intesi, mentre quell'altro amore (per il terapeuta) non ho mai avuto occasione di sperimentarlo (era 'n 'omo!). Credo che spesso sia molto facile confondere i due piani, che ne pensate?
  4. Sono più 'reali', secondo me, nel senso che quando ci si incontra in gruppo spesso le discussioni critiche passano in secondo piano rispetto alla goliardia e alle facezie. I discorsi appunto aderenti alla realtà (anche alla realtà interna) passano in secondo piano o diventano quasi tabù. Si va sull'onda emotiva nei cosiddetti incontri reali; le emozioni sono tra le cose più belle e importanti, ma spesso negli incontri collettivi si tratta di un'onda che ci tiene fin troppo sulla superficie dell'oceano.
  5. Vorrei chiedere al dr. Allegri come faccia a districarsi tra la selva di richieste che credo gli giungano ogni giorno. Penso, infatti, che sia molto più facile chiedere aiuto online che di persona (e questo è forse un pò troppo deresponsabilizzante per il richiedente). La seconda domanda è se abbia intenzione di pubblicare delle ricerche relative alle sue esperienze o dei case report. Sarei davvero molto lieto, e sono convinto che non sarei il solo, nel leggerne uno, magari riferito da "entrambi i lati della scrivana - virtuale -". Forse è ancora troppo presto per comprendere la validità e la portata di un intervento terapeutico (o para-terapeutico) di tipo virtuale (anche se il dr. Allegri parlava solo di consulenza e non di psicoterapia). Sulla consulenza, invece, ci sono pochi dubbi sul fatto che sia utile, ma bisogna essere davvero abili come operatori: il rischio che i suggerimenti vengano fraintesi o utilizzati malamente sono ancora maggiori che nelle sedute tradizionali. Per un terapeuta può essere molto complesso adattare l'interpretazione di realtà che le sue competenze gli consentono alla cultura, alla psicologia ed alle condizioni ambientali ed esistenziali che l'utente sta attraversando nel momento in cui chiede la consulenza.
  6. alejothemouse

    cos'è il desiderio ?

    Credo che l'innamoramento abbia a che fare con la capacità d'integrare il desiderio sessuale al'interno della relazione d'attaccamento principale (partner, compagna, moglie ...), ma anche questa è un pò un'ipersemplicficazione. Penso pure che anche noi uomini in fondo sogniamo di amare fino in fondo la persona che ci "riama", ma lancio l'ipotesi che per noi sia un pò più facile perdere l'integrazione tra desiderio e attaccamento. Scusate il garbuglio, ma l'argomento non è per nulla semplice.
  7. La spiegazione più semplice del problema della 'fuga' degli altri è che l'empatia ha un prezzo. L'altro non vuole ascoltarci in maniera partecipe perché per farlo dovrebbe assumere dentro di sé parte del nostro dolore, cosa che non è sempre facile. Voglio anche dire, però, che spesso nel dolore si diventa narcisisti e si diventa, a propria volta, indisponibili all'ascolto e all'empatia. Non voglio dire che sia il caso dell'autrice di questo forum, ma prima di rivendicare la cura e l'assistenza degli altri, dovremmo domandarci se non siamo stati noi per primi a smettere di ascoltare e sentire chi ci sta vicino perché assorbiti dai nostri tormenti. Se so ascoltare, entrare in contatto, condividere emozioni e intrecciare pensieri, prima o poi troverò anche qualcuno pronto a starmi vicino, parlarmi o semplicemente abbracciarmi. Non va poi dimenticato che l'apertura verso le emozioni, i turbamenti e i pensieri altrui può in molti casi persino confortarci in maniera molto più intensa del conforto diretto di qualcuno. La forza è nella reciprocità
  8. alejothemouse

    cos'è il desiderio ?

    Non credo che l'investimento sul proprio rapporto di coppia sia un investimento verbale o dialettico, se non marginalmente. Forse il rinnovamento di una relazione passa innanzitutto dal rinnovamento sulla propria identità. E' la crescita personale che può stimolare l'interesse ed il desiderio di una persona che ci conosce già bene. Se restiamo quello che siamo nel tempo e smettiamo di cercare un miglioramento di noi stessi, possiamo semmai rinforzare l'attaccamento al/alla partner, non certo il desiderio. Naturalmente, non è detto che funzioni, anzi in alcuni casi una crescita personale può addirittura non essere sostenuta dall'altro/o e ciò può precipitare anziché risolvere la crisi. Tuttavia, credo sia il caso di provarci, di rischiare qualcosa per non perdere tutto.
  9. Penso vi siate semplicemente trovati e che siate due passionali. L'unico consiglio che posso darvi è il seguente: nelle pause provate questo cocktail: Papaya, banana, carota, kiwi, albicocca, il tutto tritato con ghiaccio e un pò di latte.
  10. alejothemouse

    cos'è il desiderio ?

    Se è vero che il desiderio erotico è legato agli ormoni è pure senza dubbio vero che gli ormoni sono legati, nel senso che sono stimolati, da aspetti cosiddetti mentali e, comunque, caratteristici della nostra specie. Il tuo invito alla verbalizzazione, Xnuppo, ha senso ma non sempre la perdita di desiderio verso il partner può essere tradotta in parole o spiegata nella propria genesi e sviluppo. Talvota, e mi ci metto anch'io, insistiamo nel cercare spiegazioni semplicemente perché non siamo disposti ad accettare lo status quo. In genere, se il desiderio è da tempo sopito forse è troppo tardi per parlare. Per pigrizia, per insicurezza, per "analfabetismo emotivo", per intolleranza alla frustrazione abbiamo rinunciato forse già da troppo tempo a lavorare sul rapporto, a soffiare sul fuoco e siamo oltre il punto di non ritorno. Il discorso sarebbe ancora lungo, ma la faccio breve e aspetto la vostra.
  11. alejothemouse

    lasciarsi andare

    Cara Delia, penso che siamo in sostanza tutti d'accordo sulla seconda opzione tra le due che proponi. Il punto è: quanti di noi se le possono permettere? Non è per nulla semplice, ma credo che le persone mediamente smettano troppo frettolosamentedi cercare quella sorta di libertà (o completezza) sessuale cui accenni . Bisogna continuare a rischiare qualcosa, accettando la possibilità della delusione, sostenendo la vergogna o la difficoltà del partner (o dei partner) di comprendere. A maggiore insicurezza corrisponde maggiore propensione ad arroccarsi in vecchi schemi consolidati anche se insoddisfacenti. Credo che spesso si tenda a sopravvalutare i rischi connessi all'accettazione della novità in campo erotico. D'altra parte, qui come altrove, bisognerebbe trovare il sistema per non tramutare l'autocritica in perdita di sicurezza, la rinuncia a schemi difensivi in una vertigine insostenibile ed i piccoli passi falsi lungo la strada della ricerca in sensi di colpa e rimorsi urenti.
  12. alejothemouse

    m.fagioli

    Allora te ne consiglio uno più semplice anche se forse non facilissimo a trovarsi: "Introduzione al pensiero di Bion" di L. Grinberg, D. Sor, E. Tabak de Bianchedi, Armando editore, le prime trenta pagine sono sugli studi di Bion sui gruppi. Buona lettura
  13. alejothemouse

    m.fagioli

    Conosco bene la questione. Credo che il Nostro sia molto più interessato al'autoincensamento ed alla magnificazione della propria storia che alla salute mentale dei suoi pazienti. L'autoreferenzialità è assoluta ed esclude il lavoro sul pensiero e sul rapporto con il mondo scientifico e culturale. Le poche buone idee espresse sono spesso il frutto di operazioni di m,aquillage su concetti di grandi autori del passato (minkowski, klein, freud, fairbairn, bion ...). Il nesso con queste idee del passato, e con il pensiero psichiatrico e psicoanalitico in generale, viene del tutto negato, e sovente questi autori vengono denigrati, ridicolizzati, scotomizzati o se ne nega del tutto l'esistenza. Quest'ultima dinamica ha la finalità di allontanare la possibilità che chi ascolta possa intuire la temutissima somiglianza o derivabilità dei concetti. Nel rapporto con i suoi pz, poi, cerca di ottenere un consenso assoluto ed acritico rispetto al proprio pensiero mediante l'assoluta rimozione o denigrazione pubblica (anzichè risoluzione dialettica) degli elementi che porterebbero i malcapitati ad un dissenso anche solo parziale. Sfruttando il cliché freudiano (autore definito peraltro "un imbecille") secondo il quale "chi mi critica mette semplicemente in atto delle resistenze" o pratica un transfert negativo, si mette al riparo da qualsiasi ombra di dissenso che potrebbe offuscare l'idea d'infallibilità e grandiosità attorno alla quale riesce a compattare il proprio gruppo e ottenerne l'idealizzazione. Oltre a rimandare al forum citato da altri partecipanti a questo forum, ti consiglio la lettura di "esperienze nei gruppi" di W. Bion nel quale l'autore spiega, certamente molto meglio di me, la differenza tra un gruppo di lavoro ed un gruppo fondato sugli assunti di base. Ecco, ritengo che Fagioli, almeno in parte coscientemente, ottenga la stabilità dei gruppi ed un consenso colmo di venerazione mediante lo sfruttamento degli assunti di base, in particolar modo, ma non solo, dell'a. d. b. dipendenza.
  14. Rispondo a Claudia 74. Ho un'opinione che molti non condividono in merito. Penso che la tua lettera, in particolare se sentita e sincera, meritasse una risposta più affettiva per iscritto o, ancor meglio, di persona. Chi scrive lettere, al giorno d'oggi, viene spesso preso per una persona stramba o un pò patetica, ma ad essere tristi e limitati sono proprio quelli irridono a questa forma speciale di comunicazione. Credo quindi che tu non ti debba dolere troppo perché, seppure come primo approcio sia sempre meglio essere semplici, delicati ma abbastanza diretti, in questo caso non sei stata certo tu a comportarti in maniera superficiale e fatua.
  15. Non amo criticare ciò che non conosco bene, mi limito quindi ad esporre una breve riflessione. Poiché sintomi, elementi di disagio e aree della vita in cui siamo disfunzionali (lavoro, coppia, rapporto con genitori o figli, fobie ... ) sono espressioni dell'intera nostra personalità nel suo incontro (o scontro) con la realtà, ho l'impressione che lo sfondo biografico e psicologico dal quale il singolo elemento disfunzionale emerge resti quasi del tutto inesplorato da questa tipologia d'intervento. Per questo motivo, il rischio è che il nostro disagio non incontri quella restituzione di senso più globale e profonda che sarebbe necessaria per superare in maniera sostanziale il nostro impasse. In qualche modo, mi pare che la visione della psicologia umana che si propone sia quella di una sommatoria di elementi separabili secondo la quale curando il pezzo disfunzionale, gli altri pezzetti, che invece funzionano, riprenderebbero a lavorare correttamente. Il terapeuta sarebbe un pò come un meccanico che smonta il carburatore lo pulisce, e reinserendolo correttamente, fa ripartire l'auto oppure un elettrauto che, cambiando un fusibile, restaura l'intero apparato elettrico. La mia opinione è che il sintomo o la disfunzione comportamentale non siano frutto di una "cellula" della mente impazzita, ma il risultato di uno scarto esistenziale che investe l'intera biografia e personalità del soggetto. L'intervento dovrebbe rispettare, dunque, la complessità dell'essere umano si siede davanti ad un terapeuta. Esprimo poi perplessità su questi studi di follow up perché seppure il sintomo non riprende, rimanendo sostanzialmente invariato lo sfondo psicologico da cui esso è emerso, il disagio si limiterà ad assumere altre forme che non verranno considerate delle ricadute in quanto sostanzialmente diverse. La realtà è, a mio avviso, che questa "assenza del sintomo" o diversità del disagio sussista unicamente su un piano fenomenologico. Scusate se mi sono dilungato, aspetto le vostre controcritiche.
  16. Nei forum è più facile incarnare un'immagine idealizzata di sé (ma anche idealizzare altri partecipanti). In questo senso somigliano un pò alle chat. Tuttavia, gli aspetti dialettici del dialogo sembrano occupare più spazio di quanto non avvenga in un gruppo reale. Gli aspetti "protomentali" e l'azione e coordinazione del gruppo secondo gli assunti di base, secondo la terminologia di Bion, potrebbero avere un ruolo meno decisivo. Non va dimenticato poi che la molteplicità dei forum e dei partecipanti, nonché l'anonimato, potrebbero disperdere se non frammentare alcune dinamiche tipiche dei gruppi. In qualche modo, a volte sembriamo più passeggeri di una metropolitana che attaccano discorso piuttosto che persone che si riuniscono in una stanza per una seduta di psicoterapia di gruppo. La mia opinione e che se un forum è valido e durevole primo o poi i rapporti virtuali dovrebbero tradursi in rapporti reali o comunque si dovrebbe almeno fare un tentativo in tal senso
  17. Sono d'accordo; ci sono però sottotraccia allusioni a prostituzione, abuso, rapporto sessuale. Occorrerebbero delle associazioni sugli elementi principali del sogno (bambino, n. d'angelo, invito a bere una coca, movimento a dondolo e scuotimento ...).
  18. SOno un uomo e non mi hanno mai particolarmente smontato le donne più intreprendenti, anzi! Però non mi è capitato spessissimo. A voi?
  19. Oggi sono felice perché non sono felice
  20. Vorrei anche considerare che siamo in un'epoca in cui gli scambi epistolari sono scomparsi. Le chat certamente non possono sostituirsi a quel tipo di interazione, ma in un certo senso secondo me si collocano a metà tra la chiacchiera ed il confronto mediante lo scambio di lettere. Forse, poi, è anche un'epoca in cui, perfino in una metropoli, non è poi così semplice estendere la propria cerchia di conoscenze. Le chat potrebbero in parte limitare questo problema. Le occasioni di aggregazione mi sembrano più scarse e più sterili anche se non posso dire con certezza che le chat siano la cura per questo disagio sociale (ammesso che la mia impressione sia corretta e che questo disagio effettivamente esista). Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate.
  21. Credo che prima si debba aver affrontato un'approfondita psicoterapia personale ed aver maturato una certa competenza ed esperienza come psicoterapeuta individuale, ma potrei sbagliarmi
  22. Io volevo dire che il messaggio di AM mi semrbava molto centrato. Le chat offrono grosse potenzialità purché si sia ben consapevoli di queste e di altre dinamiche sottese a questo tipo di interazioni. Quella che AM chiama "L'assenza di riscontri non verbali in tempo reale" potrebbe in un certo senso tramutarsi in un'opportunità anziché in un impasse; mi spiego: le interazioni reali sono più "reali" poiché la comunicazione è più completa ed il livello empatico non mente bene quanto possono farlo le parole. Tuttavia, anche le proiezioni sono molto "reali" ed in poche altre situazioni le fantasie e le identità celate emergono con tale prepotenza.
  23. Molto interessante: pensa solo a quanto è importante per un paziente in psicoterapia imparare a riconoscere e nominare i propri vissuti
  24. Sono sempre interessanti queste ricerche su correlazioni bio-psico, ma in questo caso non si rischia di dimostrare l'acqua calda o giù di lì?
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