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Convivere con il senso di colpa


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Convivere con il senso di colpa, a cura della Dott.ssa Maria Concetta Cirrincione - Psicologa

“Colpa” è una parola che in sé non ha un suono piacevole, evoca vagamente sentimenti spiacevoli e preferiamo allontanarci da essa. Riconosciamo i nostri errori più prontamente di quanto ammettiamo le nostre colpe. Sempre di più cerchiamo disperatamente di nascondere agli altri la nostra colpa e persino di negarla a noi stessi. Perché? Perché è dolorosa? Sì, ma piuttosto che essere dolorosa è difficile da riconoscere. La colpevolezza non ha la modalità di espressione così chiaramente definite come la paura, il dubbio, l’ostilità e gli altri sentimenti. E’ persino difficile per un esperto chiarire i molti modi sottili in cui la colpevolezza si esprime.

Noi tutti teniamo una maschera ragionevolmente accettabile, ma al di sotto della maschera approvata dalla società c’è una complessa vita interiore che pochi di noi possono a lungo celare. Abbiamo delle passioni e delle antipatie sepolte in noi fin dal nostro più lontano passato e nutriamo anche sogni e desideri che ci farebbero arrossire qualora fossero rivelati indiscriminatamente agli altri. Nessuno è senza segreti, sia che riguardino fatti o fantasticherie. Sebbene a volte sia abbastanza sciocco, esistono molte cose che “dobbiamo” tenere segrete per conservare il nostro equilibrio privato e sociale.

Se ogni cosa che abbiamo celato alla pubblica vista fosse interamente privo di colpa, non perderemmo certamente tanto tempo per giustificare noi stessi. Se, ad esempio, l’interesse sessuale di un uomo verso qualche donna al di fuori del matrimonio non colpisse la sua coscienza, egli non addurrebbe a pretesto quanto è incompreso dalla moglie. Questa vecchia linea di condotta ormai logora è abbastanza facile da “denunciare”, e poche donne trovano un uomo più accettabile proprio per questo. Ma ciò aiuta l’uomo ad accettare se stesso di fronte alla propria “perfidia”. Riduce la sofferenza di tutto quanto per lui, ma questo bisogno di conservare un’apparenza “pulita” per gli altri gli pone dubbi insinuanti sul concetto che ha di se stesso.

Secondo il filosofo tedesco M. Heidegger, la colpa è parte integrante della vita. L'uomo non sa dove viene e dove va, ma in quanto agisce e si progetta è chiamato ogni volta a scegliere tra varie possibilità. E' in questa inevitabilità della scelta che avrebbe le sue radici la colpa: se si fa una cosa non se ne può fare un'altra. Dalla necessità di scegliere nasce l'insicurezza, ma anche la capacità di assumersi la responsabilità che è vista come inerente all'esistenza stessa dell'uomo. Per capire cosa si intende per colpa bisogna rendersi conto che la colpa non è una proprietà interna delle azioni umane, ma deriva dal nostro modo di giudicare le azioni umane. In ogni cultura c'è un certo consenso circa le azioni che rendono colpevoli. Per esempio si è colpevoli se si ruba. Esistono anche suddivisioni culturali, cioè sottoculture. Così, per esempio, in certi settori della cultura italiana, si ritiene che una delle colpe più tipiche in cui può incorrere un adolescente sia la masturbazione. In altri settori si ritiene invece che questa non sia affatto una colpa.

Una colpa, in sintesi, è due cose. In primo luogo è un'attribuzione, l'attribuzione di colpa. Ancora più precisamente può essere un giudizio di colpa. Questo giudizio è sociale. L'esempio più tipico è quello che accade in un tribunale penale. L'imputato può essere giudicato colpevole o non colpevole. In secondo luogo è un sentimento, il sentimento di colpa. La psicoanalisi, nata come studio dell'anima e della sua patologia, descrive il senso di colpa. La parola senso in questo caso, si riferisce all'emozione che uno prova nel momento in cui si sente in colpa, e non ha a che vedere con la consapevolezza.

E' uno stato affettivo e si manifesta con autorimproveri o rimorsi apparentemente assurdi oppure con comportamenti di scacco, condotte delittuose o sofferenze che uno infligge a se stesso: le motivazioni rimangono inconscie. Il senso di colpa è stato approfondito in modo sottile e complesso a proposito della malinconia da Freud in Lutto e malinconia (1915). Questa è una malattia caratterizzata da autoaccuse, svalutazione del sé ed una tendenza all'autopunizione che può portare al suicidio. Ciò che non può essere accolto nella coscienza è l'odio, la rabbia diretta ad una persona amata, ritenuta responsabile di un abbandono reale o esistente solo nella fantasia. L'odio, sotto forma di energia non elaborata, non trovando altra via di scarica viene rivolta contro se stesso. Tutto questo si verifica anche per abitudini che si assorbono dai genitori o dalle tradizioni dell'ambiente in cui si vive. In un clima dove l'odio è negato o giudicato insostenibile, può accadere che una persona cresca con un'impossibilità interiore di accettare le proprie pulsioni violente. Può avvenire così la loro trasformazione in uno stato depressivo malinconico.

Negli anni’60 si è spostato il focus dall’intrapsichico al sociale, legando il senso di colpa al contesto sociale in cui l’individuo è inserito. L'esperienza del senso di colpa è collegata, secondo Mowrer a modi comportamentali vietati, ovvero il senso di colpa nasce in genere quando vengono compiuti atti antecedentemente vietati.

Un’altra delle tante ipotesi avanzate dagli psicologi , riguarda la mancanza di equità, lo squilibrio tra il proprio benessere e la sofferenza altrui. Secondo tale ipotesi, in altri termini, il senso di colpa nascerebbe allorquando si ritiene di aver avuto molto più degli altri, magari anche senza averlo meritato veramente. E' quello che capita ai compagni di studio che si sottopongono allo stesso esame con esiti diversi: quello a cui è andato bene si sente irrazionalmente in colpa nei confronti dell'amico. (Wechsler, Harlan J, 1990).

Il senso di colpa può avere o non avere una base “oggettiva”, cioè un preciso accadimento, reale o immaginario, a partire dal quale è scattato il giudizio. Molto spesso, infatti, si tratta di senso di colpa “inconscio” che, se si collega ad un episodio concreto, lo utilizza, per così dire, da evento scatenante (Fernando J, 2000). L’esempio più calzante è il senso di colpa che fa seguito alla morte- per malattia o per disgrazia- di una persona cara, evento rispetto a cui il soggetto, inchiodato in una rigida non-accettazione, si accusa di non aver fatto abbastanza.

Se prevale la modalità ossessiva egli tenderà a fissarsi nel ricordo degli antefatti, fino ad affogare nella molteplicità dei particolari, che egli evoca con insistenza, fantasticando mille e mille volte sul “come avrebbe dovuto agire” e ottenendo così, seppure in maniera fantasmatica, di indulgere indefinitamente in un passato che non esiste più. (Roy F. Baumeister, Arlene M. Stillwell, Todd F. Heatherton, 1999). Se invece prevale la modalità depressiva l'autoaccusa sarà tanto aggressiva e schiacciante da convogliare la quasi totalità di energia vitale del soggetto, fino ad esaurirne il flusso nella vita attuale, negando così ogni possibilità di presente e soprattutto di futuro, dimensioni queste, che il depresso rifiuta con ostinazione. (Roy F. Baumeister, Arlene M. Stillwell, Todd F. Heatherton, 1999).

Si parla in questo casi di senso di colpa "eterodiretto", ovvero rispetto al mondo esterno. Un ulteriore teoria a carattere “sociale” usa il termine “autodiretto” per indicare il senso di colpa che nasce dalla differenza esistente fra un'immagine ideale di sé e l'immagine che si percepisce concretamente. Il senso di colpa nascerebbe cioè dal “non essere all'altezza” e troverebbe terreno fertile in una personalità fortemente autocritica (Hoffman M.L, 1982). In altri casi si tratta di un senso più generico, ma non per questo meno invadente, di inadeguatezza rispetto al proprio comportamento o, peggio ancora, rispetto ai propri sentimenti, che vengono dal soggetto giudicati come “troppo…” o “non abbastanza…”. (Greenspan, P.S., 1995).

Esempio significativo è il senso di colpa di chi, adolescente o in fase di crescita, è portato dalla sua stessa evoluzione a prendere una distanza affettiva dall'ambiente che gli è familiare, verso cui non si sente più emotivamente così coinvolto, fino a provare fastidio o rabbia per quelle che solo ieri considerava manifestazioni di affetto e che oggi gli stanno strette: vissuti rispetto a cui il soggetto tende a giudicarsi aspramente, sentendosi ingiusto, mostruoso o, quanto meno “anormale”. Scattano allora le difese contro il senso di colpa, tese ad allentare una tensione che, a ben vedere, può rivelarsi molto produttiva; i meccanismi di difesa possono andare dalla negazione alla proiezione della colpa sull'altro, al prezzo di una profonda distorsione della realtà, così come era originariamente percepita; oppure possono andare dalla richiesta indiretta di perdono attraverso un'eccessiva gentilezza alla richiesta di punizione attraverso un comportamento scortese e provocatorio, al prezzo, in questi casi, di una violenta distorsione dell'atteggiamento verso l'altro.

Se si chiede a qualcuno di raccontare un episodio in cui si è sentito in colpa o se si chiede di inventare un episodio in cui ci si potrebbe sentire colpevoli, di solito si hanno risposte che fanno riferimento a tre predicati (Middleton-Moz, J, 1990)

- il colpevole C, ovvero colui che si sente in colpa,

- la vittima V, ovvero colui verso il quale ci si sente in colpa,

- ciò di cui C si sente in colpa ovvero il danno patito da V.

Probabilmente per provare senso di colpa sono sufficienti pochi presupposti e delle operazioni cognitive elementari. L’operazione cognitiva necessaria è un semplice confronto tra le fortune del colpevole e quelle della vittima che, per generare senso di colpa deve dare un risultato sfavorevole alla vittima. Il soggetto pone su un piatto della bilancia le proprie fortune ed i propri meriti e sull’altro quelli della vittima. Se la bilancia pende a favore del primo allora vi è senso di colpa. Dunque l’operazione di confronto presuppone la definizione di almeno tre parametri: con chi e a quali condizioni si è disposti a confrontare le fortune, cosa è considerato fortuna e cosa sfortuna ma soprattutto quali eventi vanno pesati ed infine il punto di giusto equilibrio fra i due piatti ossia i meriti e i demeriti che vanno considerati per definire il risultato equo o iniquo.

Tali parametri possono essere definiti automaticamente sulla base di alcuni principi naturali (una sorta di fondamento del comune ed immediato senso della giustizia) oppure possono essere definiti da norme morali condivise dal soggetto. Tre osservazioni a riguardo delle norme:

- innanzitutto si nota che le norme condivise sono scopi che il soggetto pone su se stesso

- i precursori delle norme sono le aspettative degli altri,

- non tutte le norme sono morali ma lo sono quelle che definiscono i parametri del confronto fra fortune proprie e altrui e che sono strumenti per il fine dell’equità.

1) La condizione molto generale che deve essere realizzata affinché il colpevole sia disposto a compiere confronti è che riconosca l’appartenenza di se stesso e della vittima allo stesso gruppo, che ci sia dunque una sorta di identificazione di gruppo, che sia possibile per il colpevole dire che la vittima e lui stesso appartengono al medesimo ‘noi’ contrapposto ad un ‘loro’. Probabilmente entra in gioco anche il riconoscimento di legami di parentela, di somiglianze ideologiche, di valori esistenziali

2) Nei sensi di colpa più immediati ovvero più istintivi di solito mi sembra che sono considerate le fortune più strettamente collegate con l’evento in cui il colpevole e la vittima sono stati coinvolti. Spesso è solo in fase di autogiustificazione che il colpevole considera nel bilancio fortune di altra natura o fortune avvenute in altri momenti o circostanze.

E’ anche sulla definizione delle fortune da considerare che intervengono le norme così che ad es. è consuetudine che chi ha già sofferto per un handicap fisico abbia diritto ad una maggiore attenzione.

3) Per provare senso di colpa non è sufficiente che il confronto compiuto da C dia un risultato sfavorevole per V serve anche che la sfortuna di V sia immeritata e/o il vantaggio di C immeritato.

Per quanto riguarda gli scopi attivati dal sdc essi sono fondamentalmente di due tipi, il primo riparatorio e il secondo espiativo. Le strategie messe in atto dal colpevole tendono o a riparare il danno, e più in generale a sollevare le fortune della vittima, o consistono nella diminuzione delle fortune del colpevole.

Come si riesce ad uscire dal circolo vizioso del senso di colpa?

I sensi di colpa possono nascere soprattutto da conflitti di tipo affettivo: basta aver chiaro il concetto che l’affettività va esplicata prima nei propri confronti e poi nei confronti di altri, per smontare alla base lo stato nascente del problema. Quante volte ci...

http://www.psiconline.it/article.php?sid=5679

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Ciao Alessandro,

non ti senti un pochino in colpa per averci costretto a leggere tanto :LOL: ?

Scherzi a parte credo che il senso di colpa sia qualcosa di estremamente positivo, se contenuto entro limiti accettabili, in una società dove siamo pronti a calpestare ogni giorno chi incontriamo per la strada.

Pensa che alle volte non ce ne rendiamo neanche conto...quante nostre azioni possono danneggiare le persone che ci sono accanto? E quelle più lontane?

Ovviamente dovremmo imparare ad ascoltare il nostro senso di colpa...cosa ci vuole comunicare?

Reputo quindi utile il senso di colpa nel momento in cui ci aiuta ad individuare i nostri errori e a rimediarne.

Conviverci, a mio avviso, diviene difficile quando non vi è possibilità di rimediare all'errore, volontario o involontario, compiuto.

Penso alle uccisioni avvenute durante conflitti bellici ad esempio...in quel caso il "pentimento" generato dal senso di colpa non trova sfogo, rimane dentro noi e allora ognuno reagisce in modo diverso...

P.s. ho volutamente usato il plurale, non per prepotenza...solo per cercare di far immedesimare meglio il lettore (dovevo precisarlo per non sentirmi in colpa...)

Ciao :wink:

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La cosa curiosa del senso di colpa è che di solito si prova per cose di cui non si ha (o si ha poca) colpa. Molto più spesso persone superficiali che non sono solite arrovellarsi il cervello fanno del male senza accorgersene e senza provare alcun senso di colpa. Insomma, la capacità di soffrire di sensi di colpa è propria degli animi sensibili e portati all'altruismo.

Detto questo, è stato ricordato più volte che i sensi di colpa sono inutili e a volte autodistruttivi. Serve assai più la semplice attenzione, essere presenti a noi stessi e ai nostri inevitabili errori per rendercene conto e cambiare. Siamo sperimentatori eterni, ciò vuol dire "sbagliare" per capire, ma il bambino che a un anno di età cade perché non guarda per terra imparerà presto a farlo, se non cadesse non imparerebbe. (E con queste banalità mi sono guadagnato anch'io il titolo di "psicologo da salotto" :wink: ).

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sec me il senso di colpa non è altro che... una sorta di "sublimazione", una "coperta" che nasconde... un "segreto" sotto :p :D

p.s. non so se è gia stato detto nell'articolo, ma non lho letto :oops: :LOL:

cmq approfondiro meglio il discorso che ora devo scappare che fra un ora ho un esame :shock:

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Lo chiamo senso di colpa preventivo, cioè, quando devo affrontare un'altra persona alla quale devo dire in faccia una certa cosa di cui ho la certezza di essere nella ragione, inizio a pensare alle eventuali reazioni del tizio. Prioritariamente penso ad una sua incazzatura, seguita da una mia reazione uguale e con un successivo senso di colpa per averlo offeso.

Questo è un problema personale che sto cercando di risolvere perchè mi mette in una condizione di inferiorità rispetto a qualcuno che si crede furbo e cerca di farmi fesso ogni volta che ne ha l'occasione.

Potrebbe essere un refuso della mia infanzia che quando chiedevo qualcosa a mia madre ella s'incazzava come una belva e mi sentivo in colpa per averla fatta arrabbiare.

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E' veramente possibile che dei genitori possano creare gravi problemi psicologici ad una figlia che si sente incolpata di tutto? sentirsi dire... è colpa tua se abbiamo divorziato, è colpa tua se tuo padre vive lontano, ecc?

Io vorrei cercare di capire ed aiutare grazie a voi (se vi è possibile) di più una ragazza! Odia sentire dire la frase "è COLPA tua" e da quello che ho sentito dire da lei più volte i suoi genitori l'hanno incolpata della situazione che si è creata nella loro famiglia!!! Ora questa ragazza ha un problema molto serio e secondo me questo problema deriva proprio dal fatto che i suoi genitori l'hanno fatta sentire colpevole ed ora cerca di punirsi.

Penso questo!

Questa ragazza ama troppo suo padre ed odia troppo sua madre. Prima viveva sotto lo stesso tetto con la madre ed il fratello. Questa ragazza anche se il padre le dice "è colpa tua se natale non lo passo con te. io a natale non ci sono cosi non dovrai decidere se passarlo con me o con la tua mamma". Lei ovviamente il natale avrebbe voluto passarlo con il suo papà ma fanno un anno con la madre e un altro con il padre.

Lei difende suo padre, dicendo che se non ha passato il natale con lei l'ha fatto appunto per lei. Per non metterla in un bivio, per non farle fare una scelta cosi difficile.

Che so io l'hanno incolpata solamente del motivo della causa della separazione dei genitori perchè come dice lei è stata lei in prima persona a dire ai genitori di separarsi, di non vivere più assieme perchè la cosa era diventata invivibile e di andare dall'avvocato.

La mia piccolina dice che è una vita che cerca di raggiungere la vetta ma più cammina e più è lontana, ora è stanca e ha solamente voglia di stare seduta sulla sponda del fiume, ad aspettare... aspettare di capire!

P.S. di questa suo "problema" ne sono a conoscenza solamente io

Non so se mi sono spiegato bene perchè vado di fretta

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Quando qualcuno mi dice "è colpa tua..." per una sua incapacità di risolvere un suo problema, mi sale la pressione e mi vien voglia di picchiarlo e di gridargli in faccia che è un incapace. Invece mu trattengo e mi faccio del male.

:bash

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io ci convivo con un 'senso di colpa', dall'agosto 2002. e cosa fai? ormai è fatto e nessuno può tornare indietro. come si dice?? 'lasci passare'.

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io ci convivo con un 'senso di colpa', dall'agosto 2002. e cosa fai? ormai è fatto e nessuno può tornare indietro. come si dice?? 'lasci passare'.

Una data precisa? Dunque un avvenimento identificabile e correggibile.

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Sensi di colpa ne ho alcuni. Soprattutto in questi ultimi giorni. Per cose che non ho fatto ma che potevo fare e per cose che avrei potuto benissimo risparmiare. Ma la vita è anche questo, si sbaglia, si ragiona e ci si rimette sul cammino. E soprattutto si cresce e si matura.

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io nn mi capacito invece d provare un forte senso d colpa x gli animali che vengono maltrattati e abusati da "noi umani". anche oggi ho avuto un forte schok nel vedere alcune immagini alla tv, tra l'altro sul TG, nn mi do' risposte plausibili x accettare tutta questa violenza inutile!

poi a peggiorare le cose c si e' messa pure mia madre,urlando come una matta.sono dovuta scappare fuori d casa e mi sono fatta una bella passeggiata x calmarmi!

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io nn mi capacito invece d provare un forte senso d colpa  x  gli animali che vengono maltrattati e abusati da "noi umani". anche oggi ho avuto un forte schok nel vedere alcune immagini alla tv, tra l'altro sul TG, nn mi do' risposte plausibili x accettare tutta questa violenza  inutile!

poi a peggiorare le cose c si e' messa pure mia madre,urlando come una matta.sono dovuta scappare  fuori d casa e mi sono fatta una bella passeggiata x calmarmi!

come ti capisco... :LOL:

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io ci convivo con un 'senso di colpa', dall'agosto 2002. e cosa fai? ormai è fatto e nessuno può tornare indietro. come si dice?? 'lasci passare'.

Una data precisa? Dunque un avvenimento identificabile e correggibile.

certo, data precisa ma oramai quello che è fatto è fatto, e quello che ho perso, ho perso. non si può correggere.

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certo, data precisa ma oramai quello che è fatto è fatto, e quello che ho perso, ho perso. non si può correggere.

Non si può correggere ma probabilmente si può imparare. :wink:

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