Articolo 35 - il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentato
Prosegue su Psiconline.it, con il commento all'art.35 (fonti delle ricerche), il lavoro a cura di Catello Parmentola e di Elena Leardini che settimana dopo settimana spiega ed approfondisce gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
Articolo 35
Nel presentare i risultati delle proprie ricerche, lo psicologo è tenuto ad indicare la fonte degli altrui contributi.
Forse l’articolo più essenziale del Codice.
Non è solo questione di correttezza o bon ton.
Non indicare le fonti fa passare un implicito indebito accredito, un’abusiva appropriazione; rappresenta una condotta non solo moralmente deprecabile, ma altresì passibile, ove ne ricorrano le condizioni, di sanzioni in sede giuridica.
Per un professionista che volesse minimamente accreditarsi quale studioso e depositario di autentica conoscenza, l’incorrere nel plagio (sia esso accademico, scientifico o anche letterario) dovrebbe essere il primo timore; eppure, soprattutto nel nostro Paese, l’indebita attribuzione a se stessi di un compiuto pensiero altrui è prassi largamente diffusa anche in ambiti dove si fa, o dovrebbe farsi, cultura.
Che tale tendenza possa essere dovuta ad un’obiettiva difficoltà di scoprire il plagio, non è ipotesi che qui si vuole neppure proporre; piuttosto, ci si limiterà a sottolineare come tale vizio espositivo sia sovente determinato da una non adeguata sensibilizzazione circa la sua gravità, circa la sua ineleganza estetica, prima ancora che etica.
Il plagio è solitamente il frutto di una mancata maturazione critica, da parte ovviamente di colui che ne approfitta, dell’essenza stessa del lavoro intellettuale altrui; esso, pertanto, in quanto risolventesi in un pedissequo ‘copia e incolla’, sa disvelarsi grazie a incongruenze argomentative, a repentini cambi di registro comunicativo, a scelte lessicali o sintattiche tanto improbabili quanto sospette. Tutto ciò interrompe la fluidità del discorso o dell’elaborato, prima ancora che minarne la maggiore o minore autorevolezza.
Quando, poi, il plagio ha per oggetto la manifestazione di un pensiero altrui avente carattere di originalità creativa, esso espone chi lo ha commesso a diverse responsabilità: di carattere civile, quali quella dell’immediata cessazione del comportamento indebito, la diligente rimozione di ogni già avvenuta conseguenza dannosa, così che non se ne possano creare altre, nonché il risarcimento dei danni già patiti e patendi dall’originale autore del pensiero plagiato; di carattere penale, quando dal plagio ne sia derivata altresì un’offesa all’onore o alla reputazione di colui che lo ha subito; in alcuni casi, anche di carattere amministrativo (cfr. art. 2575 C.C. e L.633/1941 sul Diritto d’Autore).
Inoltre, esso comporta altresì conseguenze sul piano disciplinare, in sede di valutazione deontologica.
A fronte di un simile quadro, stupisce a maggior ragione il fatto che il ‘copia e incolla’ possa essere anche solo tollerato.
Preme considerare che l’esercizio professionale dello psicologo è ancora in stagioni edificative.
Sostanziarsi di contributi scientifici, di un’organizzata trama di riferimenti bibliografici, con una strutturazione dei saperi condivisi ed utili a tutta la comunità, è quanto di più importante possa esserci.
Più dignità e qualità avrà questo impianto dottrinario, più ne risulteranno qualificati l’esercizio e la figura professionali dello psicologo.
È importante dunque che ognuno contribuisca in tal senso senza gestioni selvatiche, fantasiose e personali della presentazione dei risultati delle proprie ricerche.
Va anche tenuto presente che la puntuale citazione delle fonti corrobora la condivisione dei contributi: nessun collega ne sarà geloso se non ne teme appropriazioni indebite.
Ne risulteranno incoraggiate le collaborazioni, tutti potranno essere più ‘aperti’ nell’affidamento dei propri contributi.
Dunque, il rispetto di questo articolo ‘lavora’ nel cuore della colleganza.
Va anche aggiunto che ogni volta che nell’esposizione pubblica lo psicologo descrive nel mondo condotte molto serie e rigorose, ne beneficerà la complessiva sagomatura identitaria.
Verrà più naturale pensare allo psicologo come un professionista solido e adulto, dai rigorosi codici e paradigmi scientifici, se, proprio sulle frontiere più scientifiche (quali la presentazione di risultati delle proprie ricerche) si mostra etico e inappuntabile da punto di vista procedurale.
Dimostrando che, da uomo di scienze, sa bene come debbono funzionare certe cose, quali sono i codici di comportamento.
Settimana dopo settimana prosegue il nostro commento di tutti gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. L'appuntamento è per la prossima settimana con il commento all'Articolo 36. Non mancate.
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(a cura del Dottor Catello Parmentola e dell'Avvocato Elena Leardini)
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