Errare è davvero umano?
Passiamo la maggior parte del nostro tempo ad evitare di sbagliare/errare con la convinzione che una esistenza senza errori sia una esistenza “perfetta”.
Ed è così che le persone maturano diverse forme di disagio con gli annessi sintomi e comportamenti compensatori. Esattamente la direzione opposta da percorrere rispetto alla strada del benessere psicofisico. In altre parole il modo migliore per rendere la vita il più infelice possibile è EVITARE DI SBAGLIARE.
Eppure ciò che apprendiamo durante le varie fasi evolutive è proprio questo: meno errori possibili per avere ottimi risultati. Impariamo si dai primi anni di scuola che meno errori si fanno più il voto è alto. Sin dalla prima infanzia ci viene insegnato che se non facciamo errori e seguiamo le regole “ senza allontanarsi dal sentiero” saremo apprezzati e premiati. E’ così che il numero di errori commessi diviene una sorta di unità di misura del valore della persona.
“E’ ovvio meno errori faccio più valgo”, “una vita senza errori è una vita perfetta!”.
“Le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e non esistono. C'è solo un modo per evitare le critiche: non fare nulla, non dire nulla e non essere nulla.” Aristotele
Immaginiamo un bimbo di circa un anno che sta imparando a camminare. Se non provasse a mettersi in piedi e cadesse di tanto in tanto non avrebbe modo di imparare. Senza tentativi e senza errori nessuna procedura può essere acquisita. Camminare è lo schema motorio base di partenza di tutte le esperienze motorie complesse. Se il bimbo non tentasse e non cadesse per poi riprovare fino a memorizzare “la corretta procedura” del camminare non potrebbe spostarsi da un luogo ad un altro, esplorare, apprendere, comprendere. In sostanza non si evolverebbe e con grande probabilità la sua vita non avrebbe sviluppi. “Non sarebbe nulla”. (Aristotele) Nella sua accezione più estesa la vita senza il “fare” e in assenza di “errori” non sarebbe vita perché non potrebbe essere vissuta.
La vita dipende dal “fare” e dall’”errare”.
L’etimologia della parola, particolarmente utile se si vuole approfondire un concetto, ci suggerisce che errare deriva dal lat. ER-RA-RE e significa andare, allontanarsi dal sentiero, girovagare, viaggiare, deviare dal percorso, peregrinare. In tutti i suoi significati e sfaccettature la parola errare ci suggerisce tutt’altro significato da quello impresso nell’immaginario collettivo, che ritroviamo in tutta una serie di detti e proverbi che nel loro senso comune ne colgono appieno il senso implicito: “sbagliando si impara”, “errare humanum est” solo per citarne alcuni. Essi suggeriscono infatti tutt’altro significato a quello tramandato da generazioni, soprattutto nella cultura occidentale, che mira alla ricerca di una esistenza priva di errori. In sostanza un’esistenza “perfetta”. Chiunque fosse interpellato sull’argomento confermerebbe convinto che la perfezione non esiste e che errare è umano ma nel dubbio …
…meglio comunque evitare di sbagliare!
Perché questa dissonanza?
Nella costruzione del concetto di “valore” personale, ovvero di come una persona si giudica e il valore che si attribuisce, ognuno di noi ha disegnato una sorta di mappa contraddistinta da unità di misura corrispondenti al giudizio dell’ambiente e dell’altro relazionale. Tale mappa ci guida verso la necessità di approvazione dell’altro, non come feedback da valutare ed eventualmente comprendere nel proprio sistema interpretativo, ma sottoforma di MUST. Il MUST si orienta solitamente nel consolidare alcune credenze pesantemente compromesse da dicotomie che oscillano tra il giusto e lo sbagliato, tra il bello e il brutto, il buono e cattivo ecc, sminuendo notevolmente la possibilità interpretativa rispetto al Sè, alle relazioni e all’ambiente. Regole semplici a cui si delega il proprio valore personale. Ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è bello e ciò che è brutto per l’altro diviene unità di misura per sè stessi. Chi vorrebbe mai sentirsi stupido, cattivo, brutto?
Il Sé si frammenta nei milioni di passanti sul proprio cammino.
E’ su questo sentiero che la paura di sbagliare regna padrona. L’energia vitale viene così convogliata nell’evitare la disapprovazione e confluisce nel corrispondere in maniera assoluta alle richieste e alle aspettative dell’ambiente. Ovviamente è qui che la “perfezione “ trova terreno fertilissimo che accentua il disagio e la frammentazione. Il dialogo interno si arricchisce di automatismi “non devo sbagliare”, “le persone che sbagliano sono incapaci”, “devo fare tutto perfettamente e senza errori”. Tali pensiero automatici si mettono alla guida delle nostre vite portandoci al fallimento certo dei nostri obiettivi, fermandoci ancora prima di partire, ammutolendo i nostri bisogni.
Quindi Errare/Sbagliare?
Errare è esattamente quello che ci rende umani nella specificità di ognuno. Se nessuno avesse mai commesso un errore nella nostra storia evolutiva ci saremmo probabilmente estinti, immobili ed incapaci di vivere ed evolverci. Senza scomodare le grandi scoperte scientifiche, non raramente dettate da errori da parte dei ricercatori, pensiamo alla nostra vita di tutti i giorni. Siamo cresciuti, abbiamo acquisito competenze ed abilità e messo a punto comportamenti complessi grazie a tutte le prove e a tutti gli errori che abbiamo vissuto. Cogliere la preziosa inevitabilità di ogni singolo errore può allontanarci dal considerarlo una grave compromissione dell’efficacia del Sé, spingendoci verso una sana rilettura del significato del giudizio dell’altro: non una unità di misura del nostro valore ma una delle possibili rappresentazioni del mondo. Errare è sinonimo di evolvere, di vita vissuta. Una raccolta di emozioni ed esperienze che rappresentano una vera e propria guida per orientarci nella nostra mappa dei valori, così da esprimerci nel nostro intero potenziale.
Errare non è umano ma necessario.
Dott.ssa Tiziana Persichetti Auteri
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