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Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico (Bion, 1967)

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on . Postato in Autori della Psicologia - frasi e citazioni fondamentali | Letto 3532 volte

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wilfred bion

“Durante certe analisi […] ci si trova dinanzi a degli aspetti che risultano inanalizzabili perché non si riesce mai a portare prove convincenti all’interpretazione che si vuol fornire. Sono queste le analisi in cui il paziente ricorre all’identificazione proiettiva con una tale sistematicità da fare concludere sia che egli non è mai riuscito ad affrancarsi da quel meccanismo sia che l’analisi gli ha dato l’opportunità di tornare a farvi ricorso in misura indiscriminata. Con tali pazienti non è questa la sola impressione che ho ricevuto: mi sono anche accorto che in certe sedute essi avvertivano la presenza di qualche oggetto che impediva loro di usare l’identificazione proiettiva. Specialmente nel primo e nel quarto degli esempi dati, […] alcuni fatti indicavano che il paziente sentiva che le parti di sé che egli voleva mettermi dentro venivano da me rifiutate; c’erano poi precedenti associazioni che me l’avevano fatto pensare. Quanto il paziente cercava di liberarsi dalle angosce di annientamento, sentite troppo violente perché lui le potesse tenere dentro di sé, egli le distaccava da sé e le poneva dentro di me, collegandovi ovviamente l’idea che, se esse restavano abbastanza a lungo dentro la mia persona, sarebbero state modificate di quel tanto da poter essere poi reintroiettate senza pericolo. In alcuni casi avevo l’impressione che il paziente sentisse […] che io avevo eliminato quelle angosce troppo presto sicchè esse erano diventate non già più tollerabili bensì più dolorose ancora rispetto a quando il paziente me le aveva affidate.

[…] lo sforzo che egli faceva per tornare a metterle dentro di me diventava sempre più drastico e disperato. Se si fosse potuto isolare dal resto del campo analitico tale procedimento, l’aggressività primaria si sarebbe potuta evidenziare con tutta chiarezza: più erano violente le sue fantasie di identificazione proiettiva, più io diventavo terrificante. Certe volte questo suo contegno stava a manifestare un’aggressività spontanea, altre volte […] esso esprimeva la reazione a quanto veniva percepito come risposta ostile e difensiva da parte mia: l’insieme della situazione evocava in me quella scena molto primitiva che io mettevo in relazione a un bambino che percepisce una madre che, alle esigenze emotive del figlio, reagisce richiamandosi unicamente al suo dovere di madre. Col suo andare in soccorso soltanto per dovere, una madre del genere denuncia la presenza, dentro di sé, di un disturbante << sono del tutto ignara di come si tratta un bambino>>. Proseguendo la mia linea di pensiero, ne deducevo che, se si vuole capire quello di cui ha bisogno il bambino, la madre non può limitarsi a considerare il suo pianto semplicemente come richiesta della presenza di lei: secondo il punto di vista del bambino la madre dovrebbe prenderlo in grembo e accogliere la paura che egli ha dentro di sé, la paura di morire, perché è questa che il bambino non è ii grado di tenersi dentro. Questo paziente cercava di staccarla via da sé, insieme alla parte di sé che la percepiva, e metteva tutto in grembo alla madre. Una madre comprensiva è in grado di sperimentare quest’angoscia che il figlio tenta di introdurre in lei attraverso l’identificazione proiettiva e di mantenere, ciò nonostante, un sufficiente equilibrio. Il mio paziente invece si era trovato di fronte a una madre che non sapeva tollerare una simile paura e che reagiva a essa bloccandone l’ingresso dentro di sé oppure, quando non lo faceva, lasciandosene travolgere per averla introiettata; mi ero fatto l’idea che questa seconda evenienza si fosse verificata molto più raramente della prima.

[…] In analisi le situazioni suscettibili di essere chiarite sono di una complessità estrema: il paziente si accorge che ha davanti a sé un’occasione unica che non aveva mai avuto in precedenza. L’asperità delle carenze a cui venne esposto diventa perciò più acuta, e così pure più violento si fa il suo risentimento per le privazioni subìte in passato. In altre parole, vengono a coesistere sia la gratitudine per l’opportunità concessagli sia l’ostilità per l’analista in quanto persona che non vorrà capire e che rifiuterà al paziente l’uso del solo modo di comunicazione mediante il quale egli sente di poter essere compreso. Cosicchè il legame tra paziente e analista, o tra il bambino e il seno, viene a consistere nel meccanismo dell’identificazione proiettiva. Gli attacchi distruttivi contro questo legame provengono da una fonte esterna al paziente (o al neonato) vale a dire dall’analista (o dal seno). Ciò provoca nel paziente un incremento nell’identificazione proiettiva, che diviene eccessiva, ed il deteriorarsi dei suoi processi maturativi”. (pp. 157 -160)

 

Bion W. (1967), Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, tr. it. Armando, roma, 1970

 


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