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Casanova e l'invecchiamento - tra le pagine di Schnitzler, il tempo della vita

Casanova e linvecchiamento tra le pagine di Schnitzler il tempo della vitall ritorno di Casanova è un racconto che potrei definire di ‘non-formazione all’invecchiamento sereno’ scritto nel 1918 dello scrittore e drammaturgo austriaco Arthur Schnitzler - noto al grande pubblico soprattutto per Doppio sogno, romanzo dal quale è stato tratto il film “Eyes Wide Shut” con la (ex) coppia Kidman-Cruise. 

L’autore che fa ruzzolare con enormi scossoni e alterne gioie il famoso libertino Giacomo Casanova dalla cima della virilità alla dura terra, dritto nella categoria degli ultra-cinquantenni in crisi, è stato un medico contemporaneo di Sigmund Freud, appassionato alla neonata Psicoanalisi.

Freud e Schnitzler hanno avviato un rapporto nutrito di ricerca negli spazi tra le distanze, più che di (rare) epistole. In una famosa lettera del 1922, l’esploratore dell’inconscio confessa allo scrittore (ormai quasi sessantenne) di aver a lungo evitato di incontrarlo per una sorta di “timore del doppio”. Scrive: “Mi sono sempre chiesto con tormento per quale ragione io non abbia mai cercato in tutti questi anni di avvicinarla e di avere un colloquio con lei (senza considerare, naturalmente, se lei avrebbe gradito una tale iniziativa da parte mia). La risposta a questa domanda contiene la confessione che a me sembra troppo intima. Io ritengo di averla evitata per una specie di timore del sosia.” (A. Schnitzler, Sulla psicoanalisi, trad. it. a cura di Luigi Reitani, SE, Milano, 2001)

Gli anni di Schnitzler contano certamente le cinquanta primavere, quando il personaggio di Casanova emerge dal suo animo come un potente doppio da esorcizzare scrivendo, perché scrivere è cura e conoscenza dei dubbi e dei timori che si agitano nella mente.

Una nuova epoca creativa” si apre per l’autore dopo il suo cinquantesimo compleanno; così lo stesso Schnitzler confida alle pagine del diario il 25 dicembre del 1917.

A cinquanta e tre anni anche il veneziano, in fuga dalla città amata, brama il ritorno a casa: non è più l’età dei viaggi, vagabondando di letto in cuore e di paese in ideale.

Ora Giacomo Casanova deve fare i conti con il piano di realtà, e la verità del tempo si mostra superficie dura, nuda e cruda. Non c’è più il fascino della giovinezza. Una vita imbottita di eccessi non ha favorito il corpo e nemmeno lo spirito di quest’uomo che, attaccato al potere dell’Io come pochi, fatica ad avviarsi lungo il viale del tramonto.

Il lungo racconto ci conduce in un bel podere nel territorio mantovano, luogo apparentemente sereno nel quale Casanova soggiorna per un breve periodo prima del suo definitivo ritorno a Venezia. La dimora e i terreni appartengono a Olivo, un parvenu che il libertino ha aiutato economicamente in passato, non senza approfittare, in cambio, delle grazie della di lui consorte. È in questa sede che si intestardisce, volendo imporre il proprio desiderio, decisamente non ricambiato, a Marcolina, una colta fanciulla del tutto immune al fascino verboso e vanesio dell'astuto avventuriero. Il non-eroe del caso è costretto a fare i conti con se stesso ma ancora una volta fugge dalla possibile presa di coscienza.

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Qualche moderno Casanova, probabilmente, nella stessa situazione eviterebbe la crisi acquistando un’auto nuova o tenterebbe in ogni modo di riportare in vita la relazione traballante con la ventenne del caso, così come è accaduto a un paziente che seguivo in terapia tanti anni fa. Chissà che fine ha fatto il Signor P., figlio e nipote di imprenditori di successo, instancabile viveur capace di indossare aspetti ‘Senex’ soltanto in ambito lavorativo e completamente ‘Puer’ nelle relazioni amorose? Ossessivamente attratto da una ragazza straniera, P. aveva rischiato di dilapidare buona parte delle proprie sostanze per correrle dietro, perdendo per strada se stesso, facendo finta di non accorgersi del disprezzo che il suo comportamento provocava in lei. All’epoca, il soggetto in questione non aveva molta voglia di impegnarsi nel complesso discorso terapeutico. Nel momento in cui stava cominciando a intravedere il proprio ‘doppio’ ha preferito fuggire verso l’altrove, come Casanova.

La convincerò. Lei mi dirà: “Eccellente, signor Casanova!” 

Arthur Schnitzler è impietoso nei confronti del proprio non-eroe; ne analizza i sentimenti facendoci immergere nei contrasti di quello che soleva chiamare “medioconscio”; ci racconta tutto quello che sarebbe meglio evitare per accettare il tempo, insieme a tutti i possibili e nuovi significati che lo scorrere degli anni porta nella nostra vita di umani rivolti a un destino comune e ineluttabile.

Nel 1914 l’autore aveva letto le memorie di Casanova e voleva trattare il tema della gelosia utilizzando la figura del libertino. Ma “Il ritorno di Casanova” è molto più di un mini-romanzo sulla gelosia: si tratta piuttosto di un trattato sul rischio che ogni uomo corre, e l’appunto val bene in tutte le epoche, quando non accetta l’idea e la realtà dell’invecchiamento

Invitandovi a leggere il gustosissimo libretto e ad accompagnare Casanova verso i suoi ultimi fuochi d’artificio, tento di estrapolare alcuni punti, quasi per gioco e al contempo per offrire ai miei lettori qualche riflessione.

  1. Il SONNO - Casanova lo ritiene una perdita di tempo, dovendo utilizzare la notte per le proprie trame, per le avventure erotiche che ormai diventano più difficili da allacciare; stravolto dalla mancanza di riposo, ne ottiene soltanto una disperazione maggiore.
  2. L’ILLUSIONE - Casanova non accetta i ‘no’; non arretra di fronte al rifiuto chiaramente espresso da Marcolina. Insiste, fa e disfa, vuole a tutti i costi consumare con lei un amplesso e lo sguardo disgustato della ragazza non fa che regalargli un ulteriore smacco - uno sguardo molto diverso da quello ardente della sua coetanea locandiera, donna che il libertino considera vecchia pur essendo lei più giovane di lui. Strano effetto fa l’illusione in chi non ammette per se stesso l’invecchiamento.
  3. IL TRADIMENTO - Non c’è amicizia che tenga, non c’è santo, non c’è tetto e non c’è legge. Casanova venderebbe persino la propria madre, se ciò servisse a condurlo alla meta ambita. Il personaggio di Schnitzler non contempla un insuccesso, ed è per questo motivo che, calpestando chiunque e facendo a pezzi i sentimenti delle persone, alla fine non può che rimanere da solo, immerso nel proprio gelo senza affetti. 
  4. IL DENARO - “Il buon uso del denaro” è per Giacomo Casanova un ideale inutile ma lo sperpero lo ha portato alla soglia della povertà. Con gli abiti ormai lisi e privo di smalto, il nostro non-eroe è quasi costretto a chiedere l’elemosina ai propri conoscenti. Ricordare la fiaba della cicala e della formica sarebbe, in effetti, d’uopo.
  5. GLI ARGOMENTI INUTILI - Tra le pagine di Schnitzler troviamo un Casanova occupato nella stesura di un libello contro Voltaire. Pur sapendo che questo lavoro non gli darà né denaro né fama, l’illusione adolescenziale del ‘successo’ attanaglia il protagonista facendogli perdere un sacco di tempo. 
  6. LA GELOSIA - Geloso del tempo che fu, Casanova non sa stare nel presente godendo appieno nel ‘qui e ora’. L’assassinio è il gesto estremo senza rimedio quando non c'è alcun barlume di coscienza.
  7. Scrivetemi i vostri spunti...

In Le vicissitudini del mondo interno in C. G. Jung, Giampiero Quaglino e Patrizia Ronco scrivevano del percorso individuativo come di quel viaggio per diventare ciò che si è. Un’avventura da compiere con coscienza, l’individuazione, altrimenti il rischio in ogni fase della vita è il fallimento.

Lo scopo della vita e il significato dell'esistenza, in quanto realizzazione progressiva del programma archetipico custodito nel Sé, si esplicitano lungo il ciclo vitale rappresentato dall'esperienza umana. È in questo viaggio che nuovi e reconditi aspetti del Sé assumono un valore essenziale e chiedono di essere espressi.” E ancora: “Lungo il cammino si incontrano frammenti di quel Sé sconosciuto che è sempre davanti a noi.” (Stevens, 1990)

Gli autori indicano nella via tracciata da Jung, la strada dello sviluppo umano. La vita assume quindi il valore di un percorso, attraverso il quale è data la possibilità di comprendere il significato di tale procedere: esistere non vuol dire individuarsi ma decidere ogni volta se seguire o abbandonare, recuperare o perdere, e guardare o percorrere il sentiero dell'individuazione.

La parabola in questione è espressa da Jung (1930-31) con la metafora del corso quotidiano del sole: “Immaginate un sole animato dal sentimento umano e dalla coscienza momentanea dell'uomo. Al mattino esso sorge dal mare notturno dell'inconscio e guarda il vostro mondo, il vasto mondo variopinto la cui estensione si accresce a mano a mano che esso si innalza nel cielo.”

Come si innalza, così il sole dovrà calare: “Da questo estendersi del suo cerchio d’azione prodotto dall'ascensione, il sole riconoscerà la sua importanza e vedrà la sua meta ultima nel punto più elevato possibile, quindi anche nella massima estensione della sua influenza. Con questa convinzione, egli raggiungerà all'improvviso lo zenit al quale non aveva sognato, poiché la sua esistenza individuale, che viene una volta sola, non poteva conoscere precedentemente il suo punto culminante. A mezzo giorno s’inizia la fase decrescente, il riconoscimento di ogni valore, di ogni ideale del mattino. Il sole diviene inconseguente. Si direbbe che esso ritrova indietro i suoi raggi. La luce e il calore diminuiscono sino all'estensione dell'estinzione definitiva.”

Se manca la coscienza e l’accoglienza di questo momento, non resta che la disfatta di Giacomo Casanova.

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E ancora, C. G. Jung ci racconta di una vita ‘del mattino’ e ‘del pomeriggio’; il cambiamento può avvenire in una di questi di queste fasi di transizione; dopo i quarant'anni, la trasformazione è spesso un cambio di rotta. Solo così si previene alla realizzazione del Sé, abbandonando il sole alto della coscienza, l'estate, l’idea di una eterna alba, per accogliere la mezza età e andare oltre. Entrare nella seconda età della vita è procedere oltre il periodo di massima fioritura. L'uomo, dice Jung, non raggiungerebbe i settanta e gli ottant'anni, se la durata della vita non corrispondesse al senso della sua specie; così, la vita nella fase del pomeriggio “deve avere il suo significato e il suo scopo” e il procedere ‘dalla culla alla tomba’ non può essere “una misera appendice del mattino”. Un’introversione, una ricerca interiore è il lumicino che si può accendere per una trasformazione significativa e ricca di nuova vita.

C. G. Jung ci mostra come l'inizio della discesa coincida con “la disposizione ad occuparsi del proprio mondo interno” e “rivitalizzare il rapporto con l'inconscio”. (1934)

Mentre un giovane che non lotta e non vince si lascia sfuggire la parte migliore della giovinezza, un vecchio che si rifiuta di dare ascolto al mistero del torrente che scroscia dalle cime verso le valli è un dissennato, è una mummia spirituale, e quindi null'altro che è un passato cristallizzato.” (Jung, 1934)

Soprattutto: C. G. Jung, Gli stadi della vita, in Opere VIII, 1976, e L’Io e l’Inconscio, 1983 – in G. P. Quaglino e P. Ronco, Le vicissitudini del mondo interno in C. G. Jung, in A. Rosati e S. Stella, Mondo interno e mondo esterno, Carocci, 1996. 

 

 

 

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