La fenomenologia nella clinica del quotidiano. Il “CSM” come campo fenomenologico-antropologico
00199 Roma RM, Italia
Da diversi anni all’interno della UOSM di S. Maria
C.V., esiste l’articolazione CSM ed è svolta la “funzione”
Centro diurno di riabilitazione psichiatrica e psicosociale,
ospitando in media 12-15 persone cittadini/utenti
psichiatrici. Si tratta di persone con patologie gravi che
tendono a mettere pesantemente in discussione la stabilità,
continuità e condivisione del setting.
Tra i tanti effetti benefici, la riforma psichiatrica in
Italia ha avuto anche quello di ostacolare ciò che prima
avveniva quasi regolarmente, cioè il “nascondere” il paziente
nelle istituzioni psichiatriche. “Nascondere” i pazienti
all’interno delle attuali strutture psichiatriche, anche
territoriali, è sempre possibile, ma certamente è aumentato il
numero di pazienti che chiedono di essere curati a vari
livelli.
La cura delle persone con patologie gravi, i problemi
tecnici e teorici che essa pone e gli interrogativi importanti
che apre sulla materia stessa di cui siamo tutti costituiti (quel
che si chiama a volte, con ossimoro troppo spesso sopito, la
“natura umana”) sono temi di fronte ai quali si impone,
innanzitutto l’umiltà.
Nel campo delle patologie gravi, l’umiltà è anche un
deterrente contro ogni velleità onnipotente: sappiamo che
nessuno ha ancora squarciato il velo della patologia grave in
modo tale da consentirne una visione di insieme e in modo
tale da consentirne un trattamento risolutivo.
Organizzatori specifici sono la flessibilità, la flessibilità
del setting, la flessibilità nel setting, con uno spostamento di
importanza dalla centralità del setting alla centralità della
relazione, la dimensione ed il campo allargato all’interno dei
quali le equipe curanti si attivano nel trattamento dei
pazienti, ai vari livelli, compresa la cura delle loro famiglie.
“Nessuno paziente grave può guarire o migliorare se anche
la famiglia non è d’accordo”
Non sappiamo nemmeno che senso possa avere in
queste situazioni umane, la parola “recovery”,
impropriamente tradotta come “guarigione”, anche se
ritengo che essa contenga comunque un quid di
irrinunciabile.
Cè stato il cambiamento sempre più deciso, nel mio
modo di approcciare le persone che incontro come
“pazienti” e che naturalmente io preferisco chiamare
“persone che si incontrano”.
E’ nell’incontro con l’Altro che si fa strada l’idea
dell’infinito come evento che chiamiamo volto, sola
prossimità in cui la relazione si gioca. (E. Levinas)
Altre date
- Sabato 24 Novembre 2018 14:30 - 17:00