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"E’ mio!": Psicologia e proprietà

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on . Postato in Crescita personale | Letto 1189 volte

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Psicologia e proprietà. Un breve viaggio tra le sfumature di un concetto facile da intuire, ma difficile da spiegare.

psicologia e proprietàMio!” è una della prime parole che imparano i bambini.

Questo è comprensibile, se consideriamo che la nostra società è radicata nei concetti di proprietà, di possesso, di cosa è tuo e di cosa è mio.

Cosa vuol dire realmente che una cosa è mia?

In giurisprudenza, “proprietà” fa parte della terminologia specifica.

Un modo per definire questo concetto è “nient’altro che la base di un’aspettativa, l’aspettativa di avere alcuni vantaggi da una cosa che diciamo di possedere, in conseguenza della relazione che abbiamo con essa” (Jeremy Benthan, Theory of Legislation, 111-12, C.K. Ogden, ed. 1931).

L’autore cerca di spiegare, quindi, che la proprietà “non è materiale, è metafisica… una mera concezione della mente”.

Ma, riflettendoci, anche la parola “possesso” è ambigua, poiché essa è usata per riferirsi sia all’atto fisico del potere, che al controllo effettuato su qualcosa, che, infine, ad un diritto legale.

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Il Dott. Harold Demsetz, professore emerito di Economia alla University of California at Los Angeles (UCLA), ha fornito una spiegazione fondamentale per poter capire il concetto di proprietà, affermando che la sua “principale funzione allocativa” è “l’internalizzazione degli effetti benefici e nocivi (Harold Demsetz, Toward a Theory of Property Rights, in Perspectives on Property Law, 135, 137, Robert C. Ellickson, Carol M. Rose & Bruce A. Ackerman et al., eds., 2002).    

Detta con parole più semplici, ciò significa che l’essenza di possedere qualcosa è questa: godere dei suoi benefici, ma anche subire i suoi svantaggi.

Come nasce una proprietà?

Una risposta può essere trovata nel “Second Treatise on Civil Government” del filosofo inglese John Locke.

In questo trattato, egli ha proposto che, poiché ciascuna persona possiede il suo corpo, allora la proprietà può essere estesa al lavoro fatto con il corpo: cioè, quando un individuo indirizza il suo lavoro (quindi, la sua proprietà) verso una cosa esterna, quest’ultima può diventare sua.

Bisogna notare, però, che la teoria di Locke parla di lavoro manuale o fisico (il suo esempio classico è quello in cui se si raccoglie una mela da un albero, si ottiene la sua proprietà).

Al contrario, secondo un nuovo studio, dovremmo considerare l’importanza del lavoro creativo.

In esso, infatti, i ricercatori verificarono se i bambini in età prescolare e gli adulti ritenessero possibile trasferire la proprietà di una persona ad un’altra, dopo che quest’ultima aveva effettuato un lavoro creativo su di essa.

Gli studiosi hanno trovato che i partecipanti avevano più possibilità di far cedere la proprietà al secondo individuo, se egli aveva effettuato un tipo di lavoro creativo sull’oggetto, che dopo qualsiasi altra forma di manipolazione (afferrare l’oggetto, apportarvi piccoli cambiamenti).

I ricercatori notarono, inoltre, che questo effetto era significativamente più marcato nei bambini di età prescolare, che negli adulti.

Conclusioni

A parte il dibattito se il lavoro debba essere manuale o creativo, in questo studio è stata messa in luce una delle cose più interessanti: il concetto di proprietà è impermeato nella nostra cultura e nella nostra vita sociale, in ogni fase ed ambito della nostra vita, che sia studiata da stimati professori, che sia oggetto di dissertazione da parte dei grandi filosofi occidentali, o che sia rivendicata dai bambini durante i loro giochi

 

(a cura della Dottoressa Alice Fusella)

 

 

 

 


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