Donne e femminilità
Non sempre si ha la possibilità per storia e per vicissitudini di sentire al proprio interno la serenità e l'armonia.
L'equilibrio, infatti, che ognuno di noi riesce in qualche modo a costruire, per tenersi a "galla" nella propria esistenza, non garantisce in sequenza lo sciorinamento quotidiano dei propri desideri e delle proprie aspirazioni.
Piuttosto, succede di dovere accettare delle perdite importanti, come una specie di male necessario, più che un'ineluttabile conseguenza, per sopravvivere o, comunque, nell'interesse di vedere realizzati degli intenti essenziali.
Per le donne, questo pur comune aspetto acquisisce toni sostanziali e di estrema, quanto intrinseca pertinenza, tenuto conto che capita ed è capitato che ad essere messa in gioco era proprio nell'accezione la "femminilità", quindi il mattone fondamentale dell'identità, dell'essere individuo nel gruppo e soprattutto di essere se stesse.
Le donne debbono ancora oggi "essere qualcosa", identificandosi irrimediabilmente nel ruolo che esercitano (pur semplicemente in quello di figlia, moglie, madre), e, pur possedendo un diritto - spazio per "essere", lo dismettono in funzione di una soddisfacente relazione di scambio.
La determinante anatomica della maternità possibile, oltretutto, è il congiunto deterrente (che sia chiaro non solo per il maschio in specifico, ma per il gruppo a prescindere), funzionalmente all'erotizzazione proiettiva nei loro confronti.
Il corpo femminile, infatti, è "in sé", nell'accezione più profonda, una formula di contratto mediativo relazionale, che contiene ancestrali fantasie, con la perdita dell'appartenenza intrinseca e l'acquisizione da parte del gruppo, nel vincolo simbolico della gravidanza, del possesso (per la sopravvivenza). Non è casuale che quando si parla di un insieme di femmine si parli di un cerchio, quasi a rappresentare l'utero, come se il grembo prevalesse sul resto.
Le donne così assolvono una mansione oggettuale di desideri, che non trasporta nelle more dell'esperienza la soggettivazione speculare della soddisfazione del piacere personale, e quel che è peggio in alcune occasioni apprendono e riproducono meccaniche di comportamento di accezione squisitamente maschile, non cogliendo che proprio in questa pur bonaria " identificazione con l'aggressore", è la castrazione peggiore, perché in essa è contenuta, e neanche in senso sublimativo, la perdita del diritto-dovere di essere in vita perché se stessi.
E' facile contestualmente la depressione ineluttabile, essendo un lutto del genere inelaborabile, se non in un viaggio di scoperta e riscoperta del proprio interno. L'importante non è in realtà saper far meglio quel che gli altri sanno fare, per essere riconosciuti o riconoscibili e quindi gratificati, ma avere l'abilità di riuscire ad essere quel piccolo miracolo di originalità, che ognuno di noi è, godendo del grande miracolo di originalità, che sono gli altri.
Dott.ssa Lucia Daniela Bosa (Psicologa - Psicoterapeuta - Gruppoanalista AION)
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