Narcoanalisi (o narcoterapia)
Detta anche narcoterapia, è una tecnica diagnostica e terapeutica, utilizzata in psichiatria, che consiste nella somministrazione lenta e continua, per via endovenosa, di un barbiturico al paziente, per cui egli entra in uno stato catartico ed è più disponibile ad esternare, spontaneamente o se interrogato, i propri vissuti, permettendo, così, a ricordi e pensieri repressi di emergere a livello conscio.
Questa tecnica può essere adoperata, quindi, anche con finalità terapeutiche, quando il farmaco viene utilizzato per rinforzare una suggestione terapeutica o come coadiuvante nella terapia comportamentale.
Le indicazioni principali sono le forme di mutacismo nei pazienti con disturbo di conversione, negli schizofrenici catatonici o nei simulatori.
In un’applicazione particolare della narcoanalisi, ovvero la narcoipnosi, si aggiunge alla somministrazione del barbiturico anche una serie di suggestioni ipnotiche, nell’intento di modificare più facilmente, grazie allo stato di coscienza crepuscolare, i sintomi del paziente, senza eccessive resistenze al trattamento.
Queste pratiche nacquero alla fine del XIX secolo e si basavano sull’idea che l’essere rilassati permetta di superare la naturale resistenza della mente a formulare pensieri difficili e permetta di accedere all’inconscio (è da qui che Freud formulò le sue teorizzazioni successive). Naturalmente, questo concetto si è sviluppato completamente con la scoperta dei primi farmaci idonei a tale tipo di intervento, ovvero i barbiturici: lo psichiatra William Bleckwenn scoprì, infatti, che, somministrando barbiturici a pazienti affetti da schizofrenia catatonica, si determinava un “intervallo di lucidità”, in cui i pazienti sembravano in grado di discutere il proprio stato mentale in un modo in precedenza impossibile.
Fu così che, a partire dagli anni Venti, la narcoanalisi trovò ampio impiego, dall’uso che ne fece il ginecologo Robert House sulle donne durante il parto, all’utilizzo nelle carceri per determinare innocenza o colpevolezza dei condannati (“il siero della verità”), fino alla sua applicazione, in ambito militare, prima come terapia per i soldati rimasti traumatizzati durante la Seconda Guerra Mondiale, poi, a partire dalla Guerra Fredda, come modalità d’interrogatorio, anche durante alcuni processi penali.
In ogni caso, non vi è alcuna prova che la narcoanalisi sia realmente di aiuto, in qualsiasi forma o dose, tanto più che è stato visto che alcuni dei farmaci utilizzati possono impedire o confondere la memoria. Per questo, essa è ormai in disuso.
Bibliografia:
- Enciclopedia Treccani.
- Maldonato M., Dizionario di Scienze Psicologiche, Edizioni Simone.
- Wilhelm A., Eysenck H.J., Meili R., Dizionario di Psicologia, Edizioni Paoline.
(Dott.essa Alice Fusella)
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