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on . Postato in Depressione | Letto 593 volte

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le risposte dellesperto

Lu, 15 anni

domanda


Sono sempre stata appassionata di psicologia, fin da ragazzina mi ha affascinata la mente umana e come potesse venire quasi “modellata” da determinati disturbi o eventi.
Un giorno, leggendo qualcosa sul dsm-5, mi cadde l’occhio sui vari disturbi, soprattutto quelli di categoria b, e così, per curiosità, iniziai a leggere.


Osservando i miei comportamenti nel presente, e nel passato, mi resi conto che molti di questi si “ritrovavano” con quelli di vari disturbi: so che consultare internet non è il massimo, ma spinta dalla curiosità lo feci.

Per la cronaca, i disturbi in cui mi sono “ritrovata” di più sono stati quello borderline e quello schizotipico, oltre ad avere forte ansia e sintomi di depressione stagionale.
Non so esattamente quando sia iniziato tutto ciò, ma so solo che c’è qualcosa in me che non va, anche più di una sola cosa.

Durante l’estate, soprattutto ad agosto, il mio morale scende sotto i piedi senza alcun motivo, divento molto più irritabile, stressata, isterica e triste del solito, a volte passo intere giornate ad essere giù di morale e non parlare, fino a stare male anche in senso fisico; le vacanze non sono mai vacanze per me, e quelle dell’anno scorso furono un completo inferno:

non riuscivo a vivere, nel vero senso della parola, camminando per strada tremavo e sobbalzavo al minimo tocco di qualcuno o qualcosa, anche di una semplice pianta. In quel periodo, scrissi anche una lettera, di cui riporto le parole: “non so nulla. Sinceramente, non so cosa c*zzo mi sta succedendo.
Non riesco più a vivere; ogni volta che esco fuori casa vengo presa da un asfissiante senso di ansia, sono sempre irascibile e alterata, più del solito, e sono stressatissima.

Alla prima cosa che mi succede, anche minima, scoppio a piangere e il panico mi attanaglia, è tutto così soffocante, ho una costante paura di tutto: un minimo rumore, una minima azione, anche la più minima cosa dell’azione più minima.
Anche solo sentire la voce di qualche sconosciuto mi intimorisce, sentire gli sguardi delle persone su di me mi manda in completo panico e inizio a respirare pesantemente. Ho paura della società, ho paura delle persone, ho paura di tutto. [...]
Non voglio balzare a conclusioni affrettate, ho sempre voluto andare da uno psicologo, perché non sto bene. Non sto per niente bene.
Non riesco più a concentrarmi, non riesco più a pensare a nulla; non riesco a vivere, non riesco a stare con gli altri.
Onestamente non saprei neanche spiegare cos’ho, sono talmente confusa con me stessa.

Porca puttan* odio così tanto tutto questo, sono sempre stata introversa e ansiosa, ma la mia paranoia sta aumentando a dismisura.

Sento un bicchiere rotolare? Panico. Vengo toccata da una pianta? Sobbalzo.
Qualcuno mi guarda e per sbaglio mi sfiora? I miei occhi iniziano a riempirsi di lacrime.
Tutto questo è così ridicolo, quasi mi fa ridere dirlo così, ma sto veramente male. Sia fisicamente che mentalmente, non so più cosa pensare, sto perdendo interesse in tutto. Ogni mia passione viene obliterata da questo fottuto problema, non so più cosa fare.
Non so più su chi contare e da chi farmi salvare.”
Era il 6 agosto 2019, e lo stesso 8 agosto avrei voluto annegarmi a mare, senza pensare a nulla, completamente annebbiata da tutto. E vorrei riportare la lettera che scrissi quel giorno, ma questo messaggio è già fin troppo lungo: grazie in anticipo per chi sta leggendo fino a qui.
Nelle relazioni sociali sono ancora più instabile: ho pochi amici fisicamente vicini e non mi soddisfano, passo continuamente a pensare che loro siano tutto a che non siano niente, come se fossero prima bianco e poi nero, e mi fanno arrabbiare anche solo piccole cose sbagliate che mi dicono, soprattutto in periodi stressanti.

Quest’anno una mia amica era andata in vacanza per tutto luglio, e aspettavo agosto (nonostante, come ho già detto, sia il mese peggiore per me) solo per rivederla: una volta arrivato il 31 luglio, mi disse che doveva ripartire ad agosto, per praticamente tutto il mese.

Piansi come probabilmente non ho mai pianto in vita mia per quella piccolezza, inviai infiniti audio a dei miei amici (a distanza, questa volta) dove singhiozzavo, piangevo e quasi urlavo completamente disperata: mi sentivo abbandonata, sola, nel periodo più difficile dell’anno, ogni anno.

E quel giorno, ad ora di pranzo, bevvi del vino fino a sbronzarmi, e dissi in uno degli audio “voglio impasticcarmi”.

Ora, ripensandoci, non so quanto lo voglia davvero, ma se mi ricapiterà di nuovo una cosa del genere, ho paura che non me la caverò con degli stupidi bicchieri di vino bianco.
È da più o meno due/tre anni che la mia vita non si può definire felice, che le estati sono soltanto inferno e non vedo l’ora che venga l’inverno, ma anche prima volevo iniziare a farmi qualcosa.
A dieci anni volevo iniziare ad autolesionarmi, non ricordo neanche il motivo, ma ero una bambina che dava molto peso alle cose, quindi dev’essere stata una cosa più o meno dolorosa: e fin da piccola, anche ora, sono stata una ragazza molto ansiosa, a stento parlavo in classe e non ho mai il coraggio di chiedere anche delle stupide cose ad un cameriere al bar, anche se su questo ci sto lavorando.

Invece quest’anno, proprio in vacanza ad agosto, non avevo forza di uscire con nessuno, nemmeno con i miei amici più stretti, che però una volta mi fecero uscire contro la mia volontà: uscii dal viale dove avevo la casa, e mi guardai attorno, vedendo che non c’erano, mentre mi avevano detto che erano lì davanti.

Iniziai a tremare e avevo paura e timore che qualcuno potesse farmi del male, respirare pesantemente, non riuscivo a stare bene: il viale era vicino a una pompa di benzina, ed erano le dieci di sera circa, quindi o peggio; ricordo che mi avvicinai ad una panchina e mi misi insieme a dei ragazzi completamente sconosciuti, per avere un minimo di sicurezza in più.
Per tornare all’autolesionismo, quando mi resi conto di come i miei comportamenti possano definirsi “malati”, per farla breve, mi guardai allo specchio del bagno, e mi sentii un mostro: non ero me, mi ero estranea, non capivo chi fossi, sensazioni che ho tutt’ora con me stessa.

Aprii il mobiletto del bagno e presi delle forbici, le aprii per poter guardare le lame e poi le gettai via, perché non volevo farlo: non ero in me. Altri episodi simili li ebbi una volta quando ero affacciata al mio balconcino, e sentii come se il pavimento si “distorcesse” verso il basso a farmi cadere giù, o con delle specie di “sogni ad occhi aperti” o addirittura visioni di immagini alquanto deviate come io che, appunto, mi buttavo giù, o che venivo trafitta da aghi o lame e morivo, e simili.
Mi scuso profondamente per quanto questo post sia lungo, ma non ho mai l’occasione di sfogarmi con qualcuno dal vivo, nonostante non abbia detto completamente tutto, perché nessuno di vicino mi ha mai mostrato supporto quando ho parlato anche solo di una minima parte di tutto questo, e mi scuso anche per eventuali errori grammaticali, ma sto scrivendo tutto questo di tarda notte e di tutto cuore.
Quest’anno, se avrò la possibilità e il coraggio, vorrei riuscire a fare anche solo una visita psicologica con uno psicologo vicino a me, anche quella della scuola, giusto per avere qualche risposta.
Ringrazio con tutta me stessa chi è arrivato a leggere fino a qui, e spero di avere un riscontro da qualcuno di voi presto.

 

 


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risposta

Ciao Lu, buongiorno.

nell'offrirle la mia risposta vorrei farle una premessa.

Tutti sintomi, di qualunuqe natura, fisica, emotiva, relazionale, delle condotte, rappresentano grossomodo un linguaggio specifico con cui specifiche sofferenze si manifestano.

Tutti i manuali e i siti che formulano diagnosi aggregando sintomi è come se ci dicessero: queste parole raccontano una storia. La storia di ogni racconto però nell'immaginario di chi la scrive prima che le parole possano essere scelte. In altri termini le parole o sintomi, da soli, non ci fanno capire esattamente come, dove e perchè quella storia si sia data prima ancora di essere espressa o comunicata.

Per usare un'altra metafora i sintomi rappresentano una fotografia di un paesaggio ma la fotografia non ci racconta dei fattori geologici, climatici, ambientali, sociali, economici, che hanno generato quel paesaggio e offerto nel tempo quella foto.

Questo per dirle che, pur avendo contezza, consapevolezza, che le informazioni estratte dai motori di ricerca online sono poco affidabili, pur avendo potuto magari lei riconoscersi in qualche quadro clincio diagnostico, è necessario andare alla radice, alla storia che può aver determinato quei sintomi.

Come per la febbre: come facciamo a sapere se si tratta di una febbre virale o batterica? La febbre è sempre la stessa, si manifesta con un innalzamento della temperatura ma diverse possono essere le cause e diversi i trattamenti per cause differenti.

Ora, scorrendo fra le righe delle sue parole, vorrei distinguere sintomi e cause anche se preferirei chiamare le cause fattori predisponenti o concorrenti.

Tra i sintomi segnalo:

1. sintomi emotivi: ansia, irritabilità, rabbia, paura, senso di abbandono.

1. Fra i precedenti alcuni più risonanti ad Agosto: irritabilità, tristezza, stress, ritiro sociale.

Hanno prevalentemente a che fare con una dissonanza o discrepanza percettiva tra il senso di vitalità e pienezza che spesso l'estate evoca in generale in molte persone ed il senso che quella vitalità non sia condivisa per ragioni che storiche o contingenti, identitarie, caratteriali, psicologiche.

Una discrepanza che ci farebbe sentire esclusi distanti diversi dagli altri, anche noin volendo e che porta con se prevalentemente stati di tristezza e a volte vuoto.

2. Quelli più facilmnete riferibili ad un quadro da attacco di panico: ansia, altrerazione o disregolazione, tremore, sobbalzo, crisi di pianto.

Sono sintomi attivati generalmente quando vengono stimolati i suoi organi di senso (contatto con le piante, rumori, lo sguardo degli altri). In genere informano di una ipervigilanza, di uno stato di allerta molto attivato, di uno stress acuto o cronico che ha mobilitato i suoi sistemi più ancenstrali, cioè innati, di difesa.

Gli organi di senso sono quelli che ci permettono di orientarci nel mondo, evitare pericoli o percepire sicurezza dove ce n'è.

Però, se vengono stressati a lungo, perdono la propria funzione discriminativa, non ci consentono cioè di distinguere quando il pericolo è reale e quando non lo è.

In altri termini tutto diventa pericolo alla percezione con conseguente evitamento, o tutto diventa sicurezza con conseguente perdita dei confini tra sé e gli altri, ovvero fusionalità, dipendenza, controllo e disagio al distacco dagli altri oppure delusione delle attese con conseguente crollo psicologico (un po' quello che le è successo con la sua amica a fine Luglio)

3. Quelli riferibili alle condotte relazionali: l'instabilità, gli altri sono tutto o sono nulla, il senso di abbanono, la rabbia che, come nella conclusione del punto precedente, sussite quando si viene delusi, o vengono sfumati i confini fra sè e gli altri, o si perde di capacità discriminativa non potendo né fidarsi né non fidarsi: "non so più su chi contare e da chi farmi salvare"..ha paura degli sconosciuti ma si rifugia negli sconosciuti..la sera dell'incontro con i ragazzi sul suo viale di casa.

4. Quelli riferibili allo stato cognitivo: quando descrive difficoltà di concentrazione, o sentirsi annebbiata, di sognare ad occhi aperti, produzioni di immagini alterate.

5. Quelli riferibili alla percezione di sé e della realtà : quando riferisce di non riconoscersi, di essersi sembrata allo specchio un mostro, di percepirsi estranea a sé, di percepire il pavimento distorcersi.

6. Quelli riferibili alla condotta: autolesionismo, uso di alcol.

Su questo vorrei comunicarle che in genere l'autolesionismo e l'abuso di sostanze sono startegie regolatorie di angosce incontenibili, la migliore risorsa a disposizione per qualcuno in un particolare momento a gestire qualcosa di doloroso non diversamente gestibile.Non rappresentano in questo caso un vera patologia.

 

Tra i fattori predisponeneti che invece Lei cita, rilevo questo

1. ll fatto che da sempre soffre di ansia.

A partire da quale età? può farselo raccontare dai suoi genitori se non lo ricorda? si ricorda come erano i rapporti nella sua famiglia, o a scuola o negli ambienti che frequentava, nel periodo in cui è possibile ricordare la maggiore ansia espressa?

2. Lei scrive: "A dieci anni volevo iniziare ad autolesionarmi, non ricordo neanche il motivo, ma ero una bambina che dava molto peso alle cose, quindi dev’essere stata una cosa più o meno dolorosa: e fin da piccola, anche ora, sono stata una ragazza molto ansiosa, a stento parlavo in classe e " ... OGGI "non ho mai il coraggio di chiedere anche delle stupide cose ad un cameriere al bar" quello è il punto di snodo.

Era una bambina che dava molto peso alle cose, si autoilesionava e forse lo faceva per qualcosa di doloroso.

Magari che lei ricordi ha avuto esperienze dolorose a seguito di qualche invalidazione per le cose a cui dava molto peso? Era una bambina poteva rimanerci male come tutti i bambini se a svalorizzare era qualcuno per Lei importante. In fondo oggi non riesce a chiedere nemmeno per cose poco rilevanti..sembra esserci una vergogna a chiedere: vergogna è un'emozione che io ipotizzo lei possa aver esperito, perchè non l'ha mai citata e spesso correla con gli altri sintomi che ha narrato. Ma siccome si tratta di vergogna è difficle pure parlarne.

Tuttavia, se fosse così, si tratterebbe di una vergogna che riemergerebbe come risposta condizionata dalle esperienze di apprendimento passate, e quindi in modo generalizzato cioè non discriminante..magari quello del bar prova simpatia per lei..ma lei lo vede come una minaccia ad impatto umiliante.

Lei dice che sta lavorando su questo aspetto del bar: sarebbe interessanbte comprendere come ci sta lavorando e chi la sta aiutando.

Perchè è un punto importante che non andrebbe affrontato senza una adeguta risorsa di contenimento rispetto all'eventualità che affrontando il tema possa aggravarlo invece che risolverlo.

Quindi se potesse andare da un buon psicologo psicoterapeuta sarebbe la cosa migliore, a sua protezione anche della privacy.

Infine, vorrei segnalarLe alcune risorse di cui dispone e che si evincono dalla sua comunicazione.

Anche questo è importante che lei ce l'abbia ben presente:

1) la capacità di rifelttere sui suoi processi mentali con un senso critico e di avvalersi di questi per modulare le risposte meno "sane" che tenderebbe a mettere in atto nei momenti di maggiore disagio . Tecnicamnete si chiama metacognizione.

Cito alcuni suoi passaggi.

a. "tutto questo è così ridicolo.." Sebbene questa parola possa essere associata ad un giudizio negativo di deprezzamento di quanto vive, in realtà illumina sul fatto che non riconosce quegli stati psicologici-fisici da cui è soverchiata come suoi (come d'altra parte ha pure scritto altrove).

In altri termini è consapevole che accanto ad una parte disfunzionale ve ne è un'altra più funzionale nella sua percezione che fa da riferimento e a cui evidentemente era abituata.

Questa parte più funzionale è disponibile alla memoria ne può tener conto per tenere condotte estranee alla sua memoria come quando dice:

b. "Aprii il mobiletto del bagno e presi delle forbici, le aprii per poter guardare le lame e poi le gettai via, perché non volevo farlo: non ero in me".

Ciò che conta per poter asserire che esiste un buon livello utile di metacognizione è che queste parti, funzionali e meno funzionali dialoghino fra loro e non siano alla sua esperienza percettiva isolate l'una dall'altra..tipo dott. Jakill e Mr. Hide..o l'uno o l'altro e non insieme a dialogare.

c." Piansi come probabilmente non ho mai pianto in vita mia per quella piccolezza". Anche qui, la parola "piccolezza" rivela da una parte un deprezzamento del suo pianto, un giudizio, una delegittimazione o una non accettazione, a fronte del dolore che invece ha sempre necessità di essere riconosciuto a prescindere dalla "grandezza/piccolezza" delle situzioni a cui si associano, ma rivela anche una consapevolezza e la preservazione di un piano di realtà che invece, a differenza del dolore "può" essere valutato come più o meno oggettivamente coerente con quanto si sta provando internamente.

La domanda a cui dovremmo tendere quindi sarà: qual è il contesto, l'evento reale recente o storico, che potrebbe essre considerato come più coerente al vissuto all'esperienza soggettiva di cui riferisce?

2) La capacità narrativa. Narrare del proprio dolore è sicuramente una risorsa prognostica positiva. La sua narrazione è fluente, aperta, a cuore aperto, come scrive alla fine, non confusa nell'ordine. Una buona narrazione permette di fare delle associazioni logiche tra un fatto e i suoi conseguenti, permette di dare un senso a quanto si sta vivendo. Certamente lei dice di non capire cosa le sta succedendo..però dispone di una risorsa preservata anche nelle proprietà linguistiche, che va indirizzata ad indagre le fonti del suo disagio mettendole a disposione delle conoscenze della materia psicologica che appartengono allo studio e alla pratica di chi fa la professione psicologica psicoterapeutica.

Perciò, anche per questa ragione, avvallo la sua intenzione/desiderio (frutto di buona osservazione di sé) di consulatrsi con un buon professionista e seguire un percorso.

3) La capacità di chiedere aiuto. Per quanto dica che gli altri siano tutto o niente per lei, per quanto abbia paura anche degli sconosciuti e contemporaneamente si affidi agli sconosciuti ( veda l'episodio dell'incontro accetatto quasi forzatamente con i suoi amici ..del viale vicino alla pompa di benzina), per quanto ci sia questa perdita di discriminazione sulla sicurezza/minaccia proveniente dall'approccio con gli sconosciuti che sono avvicinati con grado elevato di ambiguità, tuttavia la ricerca del contatto sociale rimane per lei un sistema di riferimento e di sicurezza prioritario.

Un' ultima nota. Mi sono permessa di parlare come se parlassi ad un adulto, dandole anche del Lei, pur essendo Lei molto giovane. Non per distacco, ma perchè penso lei meriti molta considerazione.

Le auguro ogni benefica e desiderata evoluzione. Con affetto.

dott.ssa Liuva Capezzani

 

Pubblicato in data 09/09/2020

 

 


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