Articolo 14 - il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentato
Su Psiconline.it proseguiamo, con il commento all'art.14 (intervento sui gruppi), il lavoro a cura di Catello Parmentola e di Elena Leardini che settimana dopo settimana ci introduce al Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
Articolo 14
Lo psicologo, nel caso di intervento su o attraverso gruppi, è tenuto ad informare, nella fase iniziale, circa le regole che governano tale intervento.
È tenuto altresì ad impegnare, quando necessario, i componenti del gruppo al rispetto del diritto di ciascuno alla riservatezza.
Alcuni fatti di cronaca ci stanno in questi giorni facendo molto confrontare sui temi Consenso, Segreto, Riservatezza, Obbligo di Denuncia.
Sovente, ci inducono ad un approccio essenzialmente di natura giuridica.
L’art. 14 C.D., pur trattando temi quali Consenso e Riservatezza, è – a parere di chi scrive – il ‘meno giuridico’ tra tutti gli articoli del Codice, così facendo emergere e apprezzare particolarmente la ratio e l’equilibrio generali del Codice Deontologico.
Tale sua qualità è apprezzabile soprattutto nel secondo comma.
Il primo, infatti, non fa che riaffermare un principio fondamentale di diritto (poi ripreso e meglio ancora declinato nel successivo art. 24 C.D.) e, cioè, quello del consenso informato: anche in caso di intervento su un gruppo di persone, ognuna di esse non perde perciò stesso la propria individuale titolarità ad essere posta nelle condizioni di aderire in maniera consapevole ed informata al percorso di cura.
Il secondo comma, invece, pone in capo allo psicologo il dovere di stimolare, nei partecipanti al gruppo, concrete istanze di riconoscimento reciproco anche in termini di rispetto della riservatezza di ognuno.
Ogni partecipante al gruppo verrà ‘giocoforza’ a conoscenza di dati personali riservati degli altri partecipanti. L’art. 14 C.D. chiede allo psicologo di adoperarsi perché ogni suo paziente rispetti la riservatezza degli altri.
Ad un occhio giuridicamente esperto non può sfuggire quanto tale precetto sia, di per sé, ‘innocuo’ in termini di possibile sanzione: i pazienti del gruppo non sono tenuti, per il solo fatto di parteciparvi, a rispettare gli obblighi in tema di riservatezza dei dati personali ex GDPR 2016/679 che, invece, incombono sullo psicologo. Infatti, l’art. 2, c.2, lett. c della normativa citata recita: ‘Il presente regolamento non si applica ai trattamenti di dati personali: […] c) effettuati da persona fisica per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico’.
Neppure può affermarsi che gli obblighi dello psicologo ex GDPR 2016/679 si trasferiscano tout court ai suoi pazienti, come invece può validamente sostenersi in tema di trasferimento dei vincoli posti da riservatezza e segreto professionale dallo psicologo ai propri collaboratori.
Inoltre, lo psicologo non ricopre, rispetto ai propri pazienti, alcun ruolo di preordinazione gerarchica; pertanto, neppure ci si può ragionevolmente attendere che egli possa ordinare loro alcunché.
Pertanto, l’accezione del termine ‘riservatezza’ utilizzato dall’art. 14 C.D. deve riportarsi ad una definizione più ampia e ricavabile, in via generale, da quel rispetto costituzionalmente riconosciuto per ‘i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità’ (Art. Cost.); diritti inviolabili tra cui viene ormai annoverato il diritto a poter mantenere segreto/riservato tutto ciò che attiene alla propria sfera personale e intima.
Purtroppo, l’estrema ampiezza di un simile diritto ne rende anche poco agevole la tutela in tutti quegli ambiti ancora non espressamente disciplinati da precise norme.
Si ponga un esempio: tutti noi deteniamo il numero dei cellulari privati di nostri amici o parenti. La detenzione a fini personali di un simile dato, ancorché privato e spesso riservato, non ci impone per legge particolari obblighi di trattamento e, neppure, l’adozione di particolari misure di sicurezza. Tuttavia, è ‘regola comune di civile convivenza’ (come chi scrive ama chiamarla) preoccuparsi, quando qualcuno ci chiede il numero di cellulare di un amico, di chiedere a questi il permesso prima di comunicarlo a chi lo ha richiesto. E, questo, nonostante noi sappiamo bene che, in caso non lo chiedessimo quel permesso, il nostro amico non potrebbe per ciò solo ‘farci causa’. Potrebbe anche provarci, certo, ma con ben miseri risultati, salvo non fosse in grado di dimostrare di avere subito un danno concreto ed effettivamente meritevole di tutela giuridica.
Tornando al nostro art. 14 C.D., lo psicologo potrebbe avere solo due modi per adempiere al precetto sancito dalla norma: uno ‘facile’, e cioè ottenere dai partecipanti al gruppo un impegno espresso, ma anche e soprattutto libero e consapevole, al reciproco rispetto della riservatezza di ognuno e preoccuparsi che tale impegno sia dimostrabile in quanto documentato; uno ‘difficile’, e cioè fare bene il proprio mestiere.
Nel caso di intervento psicologico con gruppi, l’attivazione nel singolo componente di un senso di appartenenza al gruppo e, di conseguenza, l’adozione individuale di un comportamento leale anche in termini di rispetto delle riservatezza altrui non è condizione preordinabile, bensì una conquista determinata (anche) dalla capacità del professionista di attivare o favorire dinamiche individuali soggettive che rendano ciò possibile (Leardini, 2018).
Segreto e Riservatezza sono dimensioni specificamente ‘deontologiche’ e ‘fondative’ dello specifico esercizio professionale dello psicologo; senza una matura e piena consapevolezza di ciò, oltre la norma giuridica, rappresentano Segreto e Riservatezza, egli non potrebbe ‘essere’ psicologo, tout court.
Non è un caso che il Codice Deontologico dedichi ben 7 articoli a Segreto e Riservatezza, ma citi l’Obbligo di Denuncia solo in un’occasione, nel primo rigo del primo comma dell’art. 13 e solo per ‘contenerlo’ e limitarlo allo ‘stretto necessario’.
Eppure gli psicologi vogliono parlare sempre e solo di questo Obbligo, ne sono ossessionati, spaventati, ne hanno fatto una fantasmatica, mentre il Codice Deontologico dice e significa altro, ha ben altri bilanciamenti e trasmette, a coloro che sanno leggerlo alla luce della corretta regola metodologica, ben altri messaggi.
Settimana dopo settimana commenteremo tutti gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. L'appuntamento con il commento all'Articolo 15 è per la prossima settimana. Non mancate.
In questa pagina trovate tutti i commenti finora pubblicati!
(a cura del Dottor Catello Parmentola e dell'Avvocato Elena Leardini)
Scrivi articoli di psicologia e psicoterapia e ti piacerebbe vederli pubblicati su Psiconline?
per sapere come fare, Clicca qui subito!
Tags: psicologia codice deontologico catello parmentola elena leardini Codice Deontologico degli Psicologi Italiani articolo 14