Articolo 18 - il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentato
Su Psiconline.it proseguiamo, con il commento all'art.18 (libertà di scelta), il lavoro a cura di Catello Parmentola e di Elena Leardini che settimana dopo settimana ci introduce al Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
Articolo 18
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.
Questo articolo ha una remota premessa epistemologica e una meno remota afferenza all’Etica Attiva.
Partiamo dalla premessa epistemologica: lo psicologo non è un medico della psiche, il suo Oggetto professionale non si risolve nel Sintomo, nella malattia da sconfiggere, nell’annullare un discostamento dalla norma.
Lo psicologo ha uno sguardo complesso: tende a connettere ogni disagio ai suoi punti generativi, alla storia personale, ai Contesti, alle relazioni ecc.
Ha una misura intellettuale e culturale della sua professione che lo impegna a riflettere sempre il mondo ed il tempo sociale.
Ha un riflesso al perseguimento della psicologicità e della cura ad ogni livello, per questo è volto alla promozione del benessere in ogni contesto ed è molto informato di etica attiva.
È a questo punto che la riflessione epistemologica sfocia inevitabilmente nell’etica attiva ed è questo complessivo impianto del discorso che protegge lo psicologo da deroghe all’articolo che stiamo commentando.
Infatti, se il suo esercizio professionale si risolvesse nella lotta contro il sintomo, contro la malattia, lo psicologo non potrebbe militare intellettualmente e culturalmente contro ciò che nel mondo genera il proprio Oggetto professionale.
Perché, paradossalmente, senza il suo oggetto professionale, la malattia, non ci sarebbe più bisogno di lui, non esisterebbe più il suo reddito.
Vivremmo la paradossale circostanza di un curatore che ha bisogno (commercialmente) della malattia: del dottore che ha bisogno del paziente invece che il paziente del dottore.
Sono immaginabili le conseguenti contaminazioni e trasfigurazioni di senso, Linguaggio, setting ecc.
Basta guardare le degenerazioni che hanno riguardato la classe medica: il potere del sapere al posto di un sapere al servizio, il cercare disperatamente di allargare l’area del mercato fino all’invenzione o alla produzione di nuove malattie, le lobby, le pressioni, la corruzione…
In una tale cornice di interessi opachi, sono inevitabili i fenomeni di comparaggio et similia e quindi non potrebbe neanche venire rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.
Si tenderebbe a trattenere il paziente, identificato col proprio interesse commerciale.
O smistarlo nel modo più conveniente in base ai proprio agganci o opachi accordi di comparaggio, percentuali sul guadagno ecc.
Si farebbe di tutto per rendere difficoltosa la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.
L’ultima cosa a venire considerata sarebbe proprio lo smistamento più mirato nell’interesse clinico del paziente, lo smistamento più utile al paziente.
Ecco perché questo articolo poteva essere meglio commentato solo richiamando la speciale etica di cui è informato lo psicologo e la speciale complessità epistemologica della sua figura e del suo esercizio professionali.
Sono discorsi che torneranno nel commento ad altri versanti di questi articolo che sono distribuiti in altri successivi articoli.
Come ogni argomento, anche questo ha poi un livello giuridico e un livello tecnico-professionale.
A livello giuridico, la libertà di scelta è richiamata in vari ambiti, compreso quello costituzionale.
Ed è ovviamente tanto meglio esercitabile tale libertà di scelta, quanto più è Informata.
Non c’è quindi contraddizione tra l’esercizio della libertà di scelta da parte del paziente e un’indicazione competente ed etica dal parte dello psicologo, se ha misure competenti ed etiche.
Per esempio, è molto meglio che in prima istanza l’indicazione sia richiesta dal paziente.
In seconda istanza, che sia data ‘in forma e modo’ di proposta, non sia pressante e non evochi alcunché di vincolante.
In terza istanza, sarebbe meglio proporre sempre una rosa di professionisti, distinti tra pubblici e privati, per genere, per competenze specialistiche, esperienza, qualificazione formale ecc., in modo che il paziente abbia tutti gli elementi per potere esercitare in modo Informato il proprio diritto alla scelta libera del professionista a cui rivolgersi.
A tali riflessioni se ne deve aggiungere un’altra: così come il paziente deve essere posto nelle migliori condizioni di avvalersi di altri professionisti, nel caso in cui essi rappresentino per lui una migliore soluzione di cura, allo stesso modo deve essergli consentito di poter proseguire il proprio percorso con lo stesso psicologo.
Potrebbe apparire una conclusione piuttosto ovvia, se non fosse che sovente il primo contatto tra paziente e psicologo avviene in contesti in cui lo spazio concesso è a ‘tempo determinato’, oppure soggetto ‘a condizione’.
Ciò accade, ad esempio, presso strutture pubbliche che, per comprensibili e anche legittime esigenze operative e sulla scorta di necessari criteri di economicità, contingentano le sedute definendone il numero a priori.
Ancora, può avvenire che l’instaurazione del rapporto professionale avvenga in virtù di una collaborazione tra psicologo e Enti o Associazioni regolata da accordi che prevedono patti cosiddetti di ‘non concorrenza’, in forza dei quali lo psicologo si dovrebbe impegnare a non ‘portare via i pazienti’ in caso di cessazione di tale rapporto di collaborazione.
In tutti questi casi, l’utente/paziente viene in pratica ‘costretto’ o a interrompere il proprio percorso, oppure, nella migliore delle ipotesi, a proseguirlo con un’altra figura professionale - forse analoga, ma di certo non più la stessa – che subentra in sostituzione del Collega che lo ha preceduto.
Prassi simili sono molto frequenti e, sorprendentemente, accettate come evenienze accettabili; tuttavia, di fatto esse si risolvono in una concreta compromissione della libertà di scelta del paziente.
In base all’art. 18 C.D., lo psicologo, invece, non può accettarle supinamente: egli è tenuto ad adoperarsi affinché il diritto alla salute del destinatario della propria prestazione sia sempre tutelato attraverso l’adozione di misure idonee in tal senso.
Tra queste, ad esempio, lo specializzarsi in approcci metodologici scientificamente fondati che consentano al paziente di giungere ad un accettabile grado di benessere nello spazio e nel tempo concesso ed applicarli solo se e in quanto coerenti con il quadro sintomatico presentato da quello specifico paziente.
Oppure, l’adoperarsi fattivamente affinché venga riconosciuto al paziente il diritto ad usufruire ulteriormente della prestazione sempre in regime convenzionato e con lo stesso curante.
In ogni caso, il rifiutarsi di sottoscrivere patti o clausole contrattuali che, per come formulati, non consentano né al professionista né, di riflesso, al paziente alcuna possibilità di poter proseguire il rapporto professionale in atto ove dovesse interrompersi la collaborazione con l’Ente o l’Associazione committente/datore di lavoro.
Settimana dopo settimana prosegue il nostro commento di tutti gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. L'appuntamento è per la prossima settimana con il commento all'Articolo 19. Non mancate.
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(a cura del Dottor Catello Parmentola e dell'Avvocato Elena Leardini)
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