Articolo 27 - il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentato
Con il commento all'art.27 (interruzione della cura inefficace) prosegue, su Psiconline.it, il lavoro a cura di Catello Parmentola e di Elena Leardini che settimana dopo settimana spiega ed approfondisce gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa.
Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi.
Si tratta di un articolo molto ovvio in via di principio ma di delicata e complessa applicazione.
Perché non è semplice constatare che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e ancora meno semplice prevedere se ne trarrà dal proseguimento della cura stessa.
Un medico ha misure formali del beneficio della cura: una pomata riduce progressivamente la dermatite e, quasi sempre, questo è il mandato che medico e paziente si aspettano di evadere.
Non sono in gioco valutazioni ad altro livello, sui punti generativi del sintomo o su altre misure di efficacia.
Anche lo psichiatra si dà categorie formali, si riferisce ad una norma e a un discostamento dalla norma che va ridotto.
Il beneficio in questi casi è di più semplice e sicura constatazione.
Ma nel caso dello psicologo-psicoterapeuta, come si po’ misurare con certezza il beneficio?
La misura è la scomparsa di un sintomo? Potrebbe avere dei suoi tempi di persistenza a fronte di altre misure di efficacia, un maggiore equilibrio, una maggiore consapevolezza, una maggiore funzionalità o abilitazione, un migliore accesso, una maggiore ‘onestà’, migliori perseguimenti, la risoluzione di un conflitto, una più piena adesione al setting…
L’una o l’altra di queste misure, in tempi molto diversi e sempre diversi rispetto all’aspettativa…
A volte un apparente peggioramento è invece uno squilibrio benefico tra il precedente equilibrio patologico e un successivo equilibrio più adattivo.
Nel gioco intersoggettuale, prima va istituito un contesto psicologico, poi si può ‘far succedere’ la relazione terapeutica.
La psicoterapia inizia quando il paziente sente che il dottore tiene a lui.
E comincia a funzionare davvero quando il paziente sente di tenere al dottore più di quanto tenga a quello che sta difendendo.
Ognuno di questi scarti è abbastanza imprevedibile nei suoi tempi e, quasi sempre, avviene proprio in un momento di apparente crisi e improduttività della relazione clinica.
Quasi sempre la valutazione sugli andamenti, fra l’altro, è molto diversa tra paziente e dottore: sono contenti o scontenti in momenti diversi.
E la valutazione del dottore è anche molto correlata al suo grado di esperienza, tranquillità e maturità professionali.
In una complessità del genere, la misura del beneficio è quasi ‘inafferrabile’, senza parametri formali di riferimento.
Ma, in ogni caso, qualora ritenesse che il beneficio non ci fosse, lo psicologo valuta ed eventualmente propone l’interruzione del rapporto terapeutico, non fosse altro perché l’insicurezza e la sfiducia non gli consentirebbero più, comunque, di lavorare bene.
Se è così difficile la valutazione del beneficio nel tempo reale, figurarsi quanto possa esserla in previsione.
Lo scarto terapeutico potrebbe intervenire in qualunque momento: nel bene e nel male gli andamenti clinici possono sempre sorprendere, i meccanismi dell’animo umano e di una relazione intersoggettuale conservano sempre una quota di imperscrutabilità.
Bisogna essere sempre molto cauti nel prevedere se il paziente trarrà beneficio dal proseguimento della cura.
E bisogna essere abbastanza sicuri in tal senso prima di un’interruzione del rapporto terapeutico che avrà comunque i suoi costi, per il destinatario della prestazione, prima di tutto.
Onde contenere questi costi, è pertanto importante che lo psicologo si prepari anche all’evenienza di un’interruzione del rapporto coltivando un’adeguata competenza anche a tale riguardo: per saperne cogliere i segnali durante il rapporto professionale e per giungere ad un’interruzione che sia, per il soggetto in cura, la meno gravosa possibile, soprattutto in termini psicologici.
Non è raro assistere, infatti, a prese in carico finite a ‘strappi’, spesso dolorosi quanto improvvisi, sanciti dal professionista in nome di un’asserita assenza di beneficio di cura venutasi a determinare più per l’inadeguatezza del riconoscimento e della gestione di nodi critici del rapporto in realtà anche di molto risalenti nel tempo: un esempio classico, è quello del paziente al quale sono stati fin da subito comunicati recapiti personali, anche privati, e che, in seguito, ne ha fatto un uso talmente incontrollabile da ‘sfinire’ il terapeuta.
Già fin dagli esordi della relazione professionale, possono celarsi piccoli errori genetici che, man mano che il rapporto cresce, maturano a loro volta pregiudicando la cura; è compito del professionista fare sì che ciò non avvenga.
Così come importante è che, ove davvero il rapporto professionale non possa positivamente proseguire, lo psicologo possieda un’accurata capacità di governo del processo di smistamento ad altro professionista.
Secondo chi scrive è un atto dovuto fornire al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi, anche qualora non fosse richiesto.
Perché, anche a seguito delle difficoltà riscontrate con quel caso, il dottore è depositario di conoscenze e cognizioni che gli consentono di smistare in modo particolarmente mirato e qualificato.
Inoltre è un modo per trarre comunque qualcosa dall’esperienza professionale condivisa e lasciarsi bene e con un ulteriore contributo.
Il paziente potrà utilizzare o meno le indicazioni di smistamento ma è importante che siano fornite in modo sempre accurato, corretto e mirato.
È importante che la rosa di colleghi consigliati contenga sia opzioni pubbliche che private, opzioni diversificate di genere, di età e di modelli clinici.
In modo che il paziente possa avere interlocuzioni qualificate qualunque siano le premesse relazionali di maggior agio di cui ritenga di avere bisogno.
Settimana dopo settimana prosegue il nostro commento di tutti gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. L'appuntamento è per la prossima settimana con il commento all'Articolo 16. Non mancate.
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(a cura del Dottor Catello Parmentola e dell'Avvocato Elena Leardini)
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