Articolo 33 - il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentato
Prosegue su Psiconline.it, con il commento all'art.33 (lealtà e colleganza), il lavoro a cura di Catello Parmentola e di Elena Leardini che settimana dopo settimana spiega ed approfondisce gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
Articolo 33
I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi al principio del rispetto reciproco, della lealtà e della colleganza.
Lo psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della propria attività, quale che sia la natura del loro rapporto di lavoro e la loro posizione gerarchica, vedano compromessa la loro autonomia ed il rispetto delle norme deontologiche.
Al primo comma del primo articolo del Capo dedicato alla Colleganza non poteva che esserci il richiamo al rispetto e alla lealtà.
Sono istanze che dovrebbero informare ogni relazione umana.
E, ovviamente, a maggior ragione, ogni relazione di colleganza.
Quello che possiamo dire di più, con riferimento agli psicologi, è che da loro, che sono psicologi, ci si dovrebbe aspettare, quasi assiomaticamente, che sappiano avere sempre rapporti ‘psicologici’.
Dovrebbero avere un riflesso alla calibratura sulle soggettività, alla corretta profilassi relazionale.
Avere un governo più consapevole delle dinamiche, una conoscenza dei meccanismi, incappare meno nei malintesi, nei pregiudizi, negli incauti etichettamenti.
Essere anche meno esposti alle contaminazioni per quelle umane debolezze, frustrazioni, invidie, nervi personali che creano gli abbrivi confliggenti e causano condotte improprie.
Quella psicologica è una professione nuova, spesso incompresa, esposta, anche ‘accerchiata’.
Anche la qualità umana e professionale che lo psicologo dimostra con riferimento a questo comma, può sostanziare una cifra identitaria nuova, bella e diversa.
Contribuire a promuovere un’immagine positiva nel mondo della professione psicologica e della comunità professionale degli psicologi.
Lo psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell’ambito della propria attività, quale che sia la natura del loro rapporto di lavoro e la loro posizione gerarchica, vedano compromessa la loro autonomia ed il rispetto delle norme deontologiche.
Abbiamo precedentemente evocato il concetto di ‘accerchiamento’ perché spesso lo psicologo nei Servizi vive in un contesto di controversa interprofessionalità.
Deve confrontarsi con figure più antiche e consolidate che non sempre sanno bene dei codici professionali della psicologia, non assimilabili a quelli di altre professioni.
E spesso, per i più diversi motivi, queste figure più antiche e consolidate non sanno disporsi bene nei confronti della psicologia e degli psicologi.
E spesso, in questo contesto mal disposto ‘lavora’ male qualunque Oggetto condiviso.
La differenza non è più occasione, articolazione, ricchezza, bensì diventa pretesto ostile, pretesto confliggente.
Questo comma semplicemente invita a ‘fare sempre squadra’ quando possibile o, comunque, a contenere entro i limiti di un ‘gioco corretto’ eventuali confronti.
Ogni ingiustificata, strumentale, pretestuosa lesione alla psicologia o a un singolo psicologo è inferta a tutta la psicologia e a tutti gli psicologi.
Perché, se passa che può accadere a uno, un domani potrà accadere anche ad altri.
Perché all’affermazione e alla tutela di un’Identità non è mai estranea una questione di forza contrattuale, di rapporti di forza, financo di potere.
Esistono misure alte dell’Identità, come il rigore, la coerenza, i valori e la qualità del proprio esercizio professionale.
Ma ne esistono anche misure apparentemente più prosaiche, fatte di Norme e Diritti, vigilanza sindacale e giuridico-amministrativa.
Ogni professionista e ogni comunità professionale deve sapere maneggiare entrambi gli alfabeti.
Alla bisogna, gli psicologi debbono ritrovarsi solidali, a fare squadra, su entrambe le frontiere.
Debbono fare forti le loro cause e i presidi di ogni loro Diritto, con un’azione sempre comune e condivisa.
Senza bieco corporativismo (che generalmente si definisce per l’improprietà e l’implausibilità delle cause) ma anche senza lasciare mai solo un collega in una frontiera di ingiustizia subita, far sentire mai solo un collega di cui è attentata l’autonomia o l’autorità-competenza-responsabilità.
Di cui vengono attentate o minate le condizioni per il suo esercizio professionale o per il rispetto dei codici professionali o delle norme deontologiche.
In definitiva, ciò deve avvenire non solo al fine di mera difesa tra professionisti, ma anche e soprattutto in funzione della salvaguardia della correttezza della prestazione in sé e, in definitiva, di concreta tutela anche del destinatario di quella prestazione.
Settimana dopo settimana prosegue il nostro commento di tutti gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. L'appuntamento è per la prossima settimana con il commento all'Articolo 34. Non mancate.
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(a cura del Dottor Catello Parmentola e dell'Avvocato Elena Leardini)
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