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Psicologia professione sanitaria

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di Catello Parmentola

La Legge 3-2018 ha configurato la Psicologia come professione sanitaria ma la questione ha una complessità culturale ed epistemologica che non può essere elusa

Psicologia professione sanitariaLa Legge 3-2018, Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute, ha configurato la professione psicologica come professione sanitaria.

La cornice ‘culturale’ sarebbe costituita dall’ampliamento dell’orizzonte della tutela della salute, in coerenza con il cambio di nome del Ministero e degli Assessorati regionali, da ‘sanità’ a ‘salute’.

Tale ampliamento avrebbe consentito quindi di inglobare anche figure sanitarie dall’ampio spettro di attività, non tutte sempre ‘identificabili’ nella mera dimensione clinica della Cura.

La questione tuttavia ha una sua complessità culturale ed epistemologica che non andrebbe elusa, per non rischiare che una buona intenzione possa prestarsi ad un cattivo utilizzo.

Gli psicologi, purtroppo, hanno dato finora pessima prova di sé per dentro e per attorno questi delicatissimi temi.

La psicologia italiana non solo è arrivata sempre tardi e ‘dopo’ ma non ha neanche mai avuto una sua chiarezza di partenza, riguardo ai suoi Oggetti.

La stessa Legge istitutiva della professione psicologica fu lottata e costruita solo su basi e in alvei fondamentalmente giuridici e ‘sindacalistici’, senza nessun lavoro ‘ad altri livelli’.

D’altronde, chi avrebbe dovuto farlo questo lavoro, se fino a 14 anni prima, manco c’erano ancora gli psicologi (i primi laureati dei Corsi di Laurea in Psicologia…)?

Per questo motivo, lo psicologo ha sempre ricercato identificazioni più facili e percepite come più concrete, attorno al sintomo ed al perseguirsi come un ulteriore ‘medico della psiche’.

Dall’esodo biblico verso le specializzazioni cliniche e la psicoterapia fino all’esultanza per la Legge 3, è intravedibile sempre uno stesso filo del discorso: lo psicologo non si basta, deve cercare sempre ‘modi altri’ di cercarsi, con la catastrofica conseguenza di corrompere, contaminare, sgualcire, inquinare la propria cifra identitaria.

Lo psicologo non dovrebbe fraintendere la Legge 3-2018: si sono già colti indizi di eccitazione verso frontiere implausibili, del tipo coinvolgere anche questa figura professionale nell’urgenza (confusa con l’emergenza) e nei ‘pronti soccorsi’. Non si tratta solo di un qualcosa che non ha epistemologia, modelli clinici di riferimento e Protocolli d’intervento, è molto più grave: non li ha mai avuti proprio perché la premessa epistemologica dello psicologo è assolutamente opposta a queste misure contingenti della clinica.

Ma forse non è un caso che queste eccitazioni ‘siano capitate’ proprio poco tempo dopo la legge 3.

Gli psicologi, ‘au contraire’, non dovrebbero fraintendere la Legge 3-2018 perché come meri e banali medici della psiche sarebbero solo gli ultimi arrivati, i meno consolidati, i meno utili e i meno attrezzati nel Mercato.

Quello che, invece, qualifica l’impegno dello psicologo nelle dimensioni curative (e fa la sua differenza e la sua utilità) è proprio la sua premessa epistemologica, in qualche modo pre-sanitaria: la sua riflessione intellettuale, culturale, sociale, ‘politica’, sulle forme del Mondo, sui gangli  generativi di disagio, sull’inumano da stanare auspicabilmente ‘prima’ della malattia.

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Anche quando lo psicologo opta per specializzazioni cliniche, come psicoterapeuta non dovrebbe mai dimenticare da dove viene, non dovrebbe mai ‘disfidare’ il sintomo in termini allopatici ma sempre connetterlo alle relazioni, ai contesti, ai momenti ed agli eventi che lo hanno generato nel mondo, che pro-vengono dalla vita.

C’è anche una questione ‘operativa’ non da poco: la relazione terapeutica può succedere solo in un contesto psicologico che è stato pre-costituito proprio a tale scopo.

Per questo, gli psicoterapeuti che vengono da medicina hanno sempre difficoltà a farla succedere (la relazione terapeutica): perché non essendo prima psicologi, non sanno prima istituire un contesto psicologico.

Lo psicologo non dovrebbe fraintendere la Legge 3 perché non è (non dovrebbe essere) un medico della psiche: è (dovrebbe essere) un intellettuale, attento alle mutazioni antropologiche ed ai cambiamenti ed alle innovazioni sociali, perché è sempre nei contesti e nei Linguaggi contemporanei che, con modalità contemporanee, si generano i nuovi disagi, i disagi  contemporanei.

Lo psicologo non dovrebbe avere paura della complessità epistemologica della propria figura professionale, intendendo la Legge 3 come un’assimilazione alla sanitarietà dei medici, come una via di fuga nell’identificazione-riduzione nel perimetro stretto del sintomo da affrontare.

La Legge 3-2018 è mossa da un intento semplicemente opposto: anche altre figure rientrano ‘nel sanitario’ perché il sanitario va inteso in senso più ampio e inclusivo anche di altre cose.

La Legge 3 vuole allargare concettualmente la Cura, valorizzando codici e paradigmi della Psicologia, assegnando maggiore importanza ai portati psicologici e quindi al prima ed all’attorno del disagio: è una responsabilità, non un privilegio.

Più in generale, la figura professionale dello psicologo ha un senso, anche nel Mercato, solo se ‘non ripete’ il medico perché sono proprio i limiti della medicina allopatica che l’hanno giustificata.

La medicina allopatica ha troppo ribadito la fretta, la ‘merce’, la frammentazione del mondo per poterne curare e guarire i mali.

Ha troppo colluso con l’elusione-erosione del Tempo, della Parola, del Corpo e della Morte per poterne curare-guarire la Nostalgia.

La clinica dello psicologo si colloca invece nella cornice e nella logica della restituzione e del risarcimento delle perdite sopra evocate.

È qualificata da una Domanda di comprensione ed approfondimento di questi livelli che la medicina allopatica trascura poiché il suo business è costituito dalla malattia, con tutte le inevitabili catastrofiche conseguenze: il medico allopatico vive ‘di malattia’, dei suoi allargamenti di mercato (della malattia), dell’individuazione di sempre più innumerevoli suoi ordini e sottordini (della malattia).

Lo psicologo non può inseguire il medico su questa china per un motivo molto semplice: il medico può abitare il paradosso di avere lui bisogno del paziente più di quanto il paziente abbia bisogno di lui, con tutte le degenerazioni corporative e lobbystiche del Mercato della Malattia e delle infinite malattie (ogni discostamento dalla norma è per il medico una nuova malattia, non contano le misure soggettive o sociali dei Discostamenti).

Lo psicologo, invece, non può abitare il paradosso dell’avere lui bisogno del paziente anziché il contrario, poiché Questo costituirebbe una trasfigurazione epistemologica irrimediabile per una clinica che si sostanzia di analisi della domanda e del bisogno, della traduzione di una fantasmatica in un Mandato.

Si tratterebbe di una trasfigurazione che svuota il lavoro psicologico del suo senso: tout court, non esisterebbe più la professione psicologica.

La Legge 3 intende recuperare e riscattare questa differenza e questo ‘di più’ incarnati dalla professione psicologica.

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Vuole dirci che è contemplabile nel sanitario –adesso anche giuridicamente ed istituzionalmente- anche qualcosa che ne sembrava lontano, che può rientrare nella prevenzione anche ogni ‘preventiva’ riflessione sulle forme del mondo, sull’organizzazione del reale, della produzione, dei consumi ecc., che è indispensabile assumere il punto di vista psicologico (e un punto di vista più psicologico), i codici ed i paradigmi intellettuali e culturali dello psicologo.

La Legge 3 intende rifondare concettualmente ‘il sanitario’, non sanitarizzare tutto nei vecchi termini e nei vecchi perimetri.

Sollecita quindi, e non è un paradosso, anche l’impegno sanitario dello psicologo fuori e perfino lontano dalla clinica.

E anche quando lo psicologo si trova vicino o dentro la clinica, ne sollecita una declinazione sanitaria molto diversa dal medico e dagli altri medici della psiche.

È uno sprono ad essere se stessi non un invito a conformarsi.

Lo psicologo non deve fraintendere la Legge 3 e l’appartenenza sanitaria come mito trasognato, il venire accolti in società o in un consesso agognato.

Si tratta di una partita ben più importante e complessa ma, soprattutto, di una delle ultime occasioni per lo psicologo di riflettere i propri Oggetti, di colmare i catastrofici ritardi culturali ed epistemologici che ne hanno determinato gli smarrimenti identitari e nel Mercato.

È soprattutto in questo senso che va colta ed accolta la grande occasione costituita dalla Legge 3-2018 che sancisce l’appartenenza della professione psicologica al novero delle professioni sanitarie.

 

(articolo del Dottor Catello Parmentola)

 

 

 

 


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Tags: psicologia professione sanitaria legge 3-2018

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