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"Family scripts": le relazioni familiari tra copione ed improvvisazione

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John Byng-Hall, psichiatra infantile e terapeuta della famiglia alla Tavistock Clinic di Londra dal 1973 (anno del pensionamento di John Bowlby, a fianco del quale ha lavorato a lungo), è l'autore di un modello del funzionamento familiare che supera il dualismo tra "represented family" e "practising family", vale a dire relazioni "rappresentate" e "reali".

family scripts relazioni familiariUn modello che considera insieme gli aspetti rappresentazionali e gli aspetti pragmatici della relazione, risolvendo (perché si colloca in posizione meta rispetto alla questione) la diatriba tra intrapsichico e relazionale, tra relazioni reali e modelli operativi interni, considerando lo sviluppo psicologico un processo interpersonale.

Byng-Hall (1995) introduce nella terapia familiare il concetto di "copione" (script): esso può essere definito una rappresentazione mentale di un comportamento di attaccamento. Il modello descrive il modo in cui i vari script convergono a creare script familiari (che contengono le aspettative condivise dalla famiglia sul modo in cui i ruoli devono essere rappresentati) e l'influenza della famiglia sul modo in cui un ruolo è impersonato. In qualche modo il copione familiare assomiglia ad una commedia in cui ogni personaggio ha un ruolo proprio e proprie motivazioni: questi contribuiscono a creare quello che può dirsi un intreccio, una trama familiare.

La famiglia circoscrive i confini entro i quali un copione può essere messo in scena o può essere modificato: muoversi creativamente, improvvisare al di fuori dei limiti previsti dallo script è un'operazione di esplorazione e di distanziamento, possibile soltanto una volta soddisfatti i bisogni di attaccamento e di una "base sicura" (Bowlby, 1988).

Ciò che rende il suo modello originale e fecondo è, a mio avviso, la costante tensione tra il suo approccio evidentemente postmoderno (sul "postmoderno" v. Chiurazzi, 1999; sul concetto di "postmoderno" in psicoterapia v. Bertrando, 1998) e la natura certamente modernista delle teorie su cui poggia: normativa e prescrit-tiva è infatti la distinzione tra famiglia "sana" e famiglia "disfunzionale" (in relazione alla propria organizzazione gerarchica) che sottostà al modello strutturale; "oggettivista" è l'impianto della teoria dell'attaccamento, che descrive, con ricchezza di prove sperimentali, i meccanismi evolutivi che hanno garantito la sopravvi-venza all'essere umano, al punto che Bowlby auspicava l'ingresso della psicoanalisi nel campo delle scienze naturali, dotate di "criteri la cui applicazione possa […] risolvere i disaccordi" (1988); e altrettanto si può dire della teoria delle relazioni oggettuali, che assume l'esistenza di oggetti interni e di meccanismi intrapsichici come una realtà che precede e prescinde dall'intervento di un osservatore.

D'altro canto, tipicamente postmoderno è l'interesse di Byng-Hall per tutte le storie e per tutte le narrazioni dei pazienti: tutte concorrono, con uguale legittimità, a co-creare le nuove storie che emergono nella terapia (McNamee e Gergen, 1992) assieme a quelle proposte dal terapeuta, che rinuncia così - almeno parzialmente - alla propria posizione di "esperto" per condividerla con la famiglia. Come dice Pocock (cit. da Byng-Hall) inserendo sia la posizione moderna che quella postmoderna nella terapia familiare, si può dar vita ad una "storia migliore".

Postmoderna, infine, è la sua natura di "metalinguaggio", per usare la definizione di Boscolo e Bertrando: secondo questi autori il paradigma della complessità (Bocchi e Ceruti, 1985) indica il modo più appropriato di comprendere il mondo nell'uso di una rete di teorie, di una pluralità di cornici riduzionistiche all'interno di una cornice olistica. Ciò permette di "identificare un orientamento che consente di uscire dalle dicotomie individuo/famiglia e mente/sistema" (Boscolo e Bertrando, 1996).

In questa cornice trovano spazio, ad esempio, la terapia della famiglia, in particolare nella sua variante strutturalista (v. Minuchin e Fishman, 1981, e Colapinto, 1991); la teoria dell'attaccamento di John Bowlby nonché le successive ricerche sperimentali ad essa ispirate (Main, 1985; Ainsworth e Eichberg, 1991; v. an-che Bretherton, 1991); la teoria delle relazioni oggettuali, di tradizione psicoanalitica.

Il "copione familiare" diventa così una formulazione concettuale "multipersonale", una metafora in grado di descrivere "tutti i membri della famiglia, oltre le diadi e le triadi" (Byng-Hall, 1991).

Quello che segue è un resoconto (spero non troppo infedele) sul modello dei family script. Di mio ho aggiunto alcune citazioni ed alcuni dei riferimenti bibliografici, nei casi in cui mi sembrava giovassero alla compren-sione di determinati concetti.

1. Gli script tra l'individuo e la relazione

Byng-Hall definisce gli script familiari come "le aspettative condivise dalla famiglia di come i ruoli familiari debbano essere rispettati all'interno di contesti differenti". Essi contengono indicazioni sul comportamento da adottare in determinate circostanze, su "chi fa che cosa" nell'affrontare le circostanze della vita e le relazioni interne al nucleo.

L'identificazione in uno script profondamente radicato e condiviso è di grande importanza per una famiglia nel mantenere una propria coerenza quando reagisce al mondo esterno. Lo script definisce in maniera sicura il da farsi nelle diverse situazioni, sebbene sia al contempo importante che le direttive siano sufficientemente ampie da tener conto della grande variabilità delle situazioni.

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Un copione fornisce alla vita della famiglia il necessario grado di prevedibilità che permette di eseguire automaticamente azioni di routine, riservando così attenzioni ed energie alla novità: paradossalmente, il cambiamento ha bisogno della ripetizione.

Ma se la trama è strettamente soggetta al copione, meno rigidamente sono scelti gli attori che lo recitano: ciò comporta che se un membro non rispetta la prescrizione, un altro può subentrargli. In condizioni normali, invece, gli individui sono scritturati stabilmente in un determinato ruolo che si autoassegnano o che viene loro assegnato da altri.

Il fatto che il copione sia condiviso non implica che tutti abbiano le stesse idee su di esso: semplicemente si limitano a non infrangerlo e a perpetuarlo, in modo tale che le aspettative di tutti su cosa accadrà in un de-terminato scenario possano rimanere le stesse.

Quando un episodio della vita familiare viene riconosciuto dai membri della famiglia come tipico delle intera-zioni del nucleo, esso può essere definito uno scenario rappresentativo dello script familiare in un determinato contesto. Alle prese, ad esempio, con un determinato compito - che costituirà il contesto dello scenario - la famiglia metterà in scena un intreccio, nel quale si esplicano i ruoli e le motivazioni di ciascuno nello sviluppo dello scenario; il risultato, vale a dire la conseguenza dell'interazione, sarà di grande importanza nel determinare la sorte dello script: se, in base all'esperienza passata, un risultato prevedibile è particolarmente temuto, i membri della famiglia si adopereranno per impedirne il verificarsi di nuovo, a qualunque costo: ciò spiega il fenomeno altrimenti incomprensibile per cui i familiari si impegnano in un copione evidentemente disastroso, ciascuno convinto in cuor suo di agire per evitare un risultato ancora più tragico: ecco che la soluzione diventa il problema.

Attraverso la narrazione le diverse messe in scena individuali entrano a far parte della memoria: nella storia come viene raccontata emerge quali aspetti siano da emulare e quali da evitare. La ripetizione della storia rassicura i membri sul fatto che l'immagine verrà condivisa.

L'insieme dei diversi scenari previsti nelle diverse situazioni costituisce lo script familiare completo, che rac-coglie le aspettative circa tutte le relazioni familiari.

Quando il vecchio script non è più efficace per far fronte alla situazione attuale, gli individui coinvolti possono sentire il bisogno di abbozzare gli elementi base di un nuovo scenario: l'improvvisazione diventa pertanto necessaria. Ma per improvvisare è essenziale sperimentare una base sicura tale da permettere di correre qualche rischio e di non affidarsi alle esperienze consolidate. Quando questa non c'è, l'individuo si ritrova a ripetere lo stesso copione: la necessità di cambiare è forte, ma altrettanto forte è l'impossibilità di farlo. Il vecchio copione presenta per lo meno la ragionevole certezza di poter prevedere i risultati: disastrosi, maga-ri, ma certamente preferibili all'incertezza e al rischio di tragedie, chissà, ben peggiori. È per questa ragione che Byng-Hall preferisce la definizione di "scenari di tentate soluzioni" a quella di "scenari problematici".

La teoria degli script intende dar ragione della ripetitività degli schemi. Paradossalmente la ripetitività è essenziale al cambiamento: la sicurezza nell'esplorazione di nuovi territori non può prescindere dalla certezza di poter fare un passo indietro e di poter contare su un sostegno sicuro nel caso che le nuove esplorazioni ci espongano a rischi. Se la prevedibilità è la condizione per improvvisare, lo stimolo a farlo è costituito da un certo grado di incertezza su ciò che c'è da fare.

La prevedibilità e la ripetitività, peraltro, offrono comprensibilmente una gamma di vantaggi legati alla possibilità di ricorrere a schemi precostituiti nella vita di tutti i giorni: è facile pensare a quanto sarebbe terribilmen-te complicata l'esistenza di ciascuno di noi se dovessimo inventare nuove soluzioni dal momento in cui ci svegliamo alla mattina.

Se la terapia consiste nel modificare le storie che le persone raccontano su se stesse, è importante valutare il ciclo ricorsivo tra cambiamento delle storie familiari, cambiamento degli script familiari e cambiamento delle relazioni all'interno della famiglia; la terapia termina quando le famiglie hanno riscritto le proprie storie tanto da acquisire alle proprie vite maggior sicurezza: quella sicurezza che permetterà loro di creare nuovi script che prevedano anche, quando necessario, la possibilità di improvvisare. Così come nella commedia i personaggi possono modificare il corso degli eventi, al contrario che nella tragedia, dove appaiono impotenti davanti all'immutabilità del destino e all'inesorabilità del disastro finale. La terapia, insomma, deve "trasformare la vita da tragedia in commedia" (v. Byng-Hall ma anche Boscolo e Bertrando, 1996, i quali contrappongono al tragico quella che chiamano "visione ironica", che incoraggia l'"accettazione delle contraddizioni come vi-sioni del mondo o come modi alternativi di esistere").

1.1. Gli script e la terapia strutturale

John Byng-Hall entra in contatto con Salvador Minuchin all'inizio degli anni 70: una caratteristica comune che emerge ben presto sia dall'orientamento strutturale che da quello della Tavistock è che la terapia tende a ricollocare ruoli, autorità, compiti di cura tra i componenti della famiglia. Nel modello di Minuchin, peraltro, c'è un forte accento sui "confini" generazionali e simili metafore spaziali e organizzazionali (Colapinto, 1991) e sulla necessità di restituire "autorità" ai genitori laddove questa sia minata da coalizioni transgenerazionali.

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Se lo stile di Minuchin di conduzione della seduta è vivace e spettacolare, Byng-Hall è piuttosto "inglese", più controllato. Il cambiamento nei pattern relazionali non è indotto direttamente: avviene in tempi più lunghi che nella terapia strutturale, e molto spazio è dedicato all'esplorazione delle modalità interattive e della storia plurigenerazionale, attraverso la conversazione e il coinvolgimento dei genitori nella compilazione del geno-gramma (su questo strumento vedi Byng-Hall, ma soprattutto Addazi, 1988). Ciò che rende più "europeo" il modello di Byng-Hall rispetto al pragmatismo strutturalista è anche questa sorta di diffidenza nei confronti del "cambiamento discontinuo" in terapia.

Eppure ciò che avvicina i due stili è l'importanza attribuita alla creazione attiva di scenari in terapia, alla reci-tazione (nell'originale: "enactment", preferibile al termine italiano; v. Minuchin e Fisman, 1981), in cui le transazioni vengono inscenate o agite, anziché descritte.

1.2. Gli script e la teoria delle relazioni oggettuali

La teoria delle relazioni oggettuali permette di osservare come gli oggetti interni (una sorta di "famiglia interna") determinano il modo in cui gli individui si relazionano; ma le connessioni spiegate da quella teoria sono essenzialmente di natura lineare. È possibile tradurre in termini di script familiari diversi concetti della teoria delle relazioni oggettuali:

"Un esempio è l'identificazione proiettiva, in cui un componente induce un altro a impersonare un ruolo che lui stesso aveva disconosciuto […] Quindi, le proiezioni tendono ad essere visualizzate come trasferimento da una persona all'altra, invece che come contributo all'intera trama familiare. Il concetto di script familiare asserisce che ciascun membro ha, codificata nella propria mente, l'intera trama familiare, ma si identifica maggiormente con determinati ruoli, e, a sua volta, viene identificato dagli altri in particolari ruoli." (Byng-Hall, J., 1995, pag. 44).

In questo senso per Byng-Hall, grazie all teoria degli script familiari, è possibile integrare elementi di teoria delle relazioni oggettuali in una cornice maggiormente sistemica, che renda conto della reciprocità dell'interazione e della complessità della trama della vita familiare e che renda possibile connettere la rappresenta-zione "interna" e la drammatizzazione "esterna" della scena familiare.

1.3. Gli script e la teoria dell'attaccamento

Si è già detto che il copione può essere definito come la rappresentazione mentale di un comportamento di attaccamento.

La teoria dell'attaccamento di Bowlby può essere utile per spiegare in che modo gli attaccamenti familiari possano fornire una base sicura in cui ci sia sufficiente sicurezza per distaccarsi dai vecchi copioni e partire all'esplorazione di nuovi modi relazionali, nuove possibilità e nuovi mondi possibili.

Essa si è sviluppata a partire dalla teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali con particolare attenzione per Winnicott, Fairbairn e Guntrip: Bowlby è praticamente uno dei primi clinici ad aver sperimentato la seduta congiunta con tutti i familiari, anche se in un secondo momento abbandonò tale pratica. La sua influenza sulla terapia familiare, a lungo trascurata, è stata convenientemente rivalutata nel corso degli anni '90.

Per Bowlby la capacità di instaurare legami emotivi è una componente di base della natura umana, già nel neonato. Nell'infanzia e nella fanciullezza i legami privilegiati riguardano i genitori (o loro sostituti in qualità di caregiver): da loro il bambino ricerca protezione, cura, aiuto.

Il bambino usa il genitore come base sicura da cui partire per le sue esplorazioni: genitore e bambino restano in contatto per essere sicuri di potersi avvicinare nel caso si presenti per il piccolo un potenziale pericolo. La capacità della figura di attaccamento di gestire le potenziali minacce dà a chi le è accanto un senso co-stante di sicurezza:

"[…] si tratta di un ruolo simile a quello dell'ufficiale che comanda una base militare da cui una forza di spe-dizione si mette in viaggio e in cui può ritirarsi in caso di sconfitta. Per gran parte del tempo il ruolo della base è un ruolo d'attesa, ma è nondimeno vitale […] Nel caso di bambini e di adolescenti noi li vediamo, man mano che crescono, avventurarsi sempre più lontano dalla base e per periodi di tempo sempre maggiori. Più hanno fiducia che la loro base sia sicura pronta a rispondere se chiamata in causa, più lo danno per scontato" (Bowlby, 1988, pagg. 10-11).

Il bambino, davanti ad un oggetto nuovo, può percepirlo come una novità che sollecita la sua curiosità; o, al contrario, può percepirlo come un oggetto potenzialmente minaccioso. Se si sente a proprio agio con il geni-tore, e questo è disponibile e rassicurante, considera la novità come una spinta all'esplorazione; se non si sente protetto dalla figura di attaccamento, manifesterà timore per ciò che presenta elementi non noti e non rassicuranti, ed eviterà di avvicinarvisi.

Anche nella relazione, il bambino potrà vivere nuovi comportamenti dell'interlocutore come qualcosa di cui scoprire le ragioni, oppure come minacce. In quest'ultimo caso il bambino non tenterà di improvvisare o di esplorare nuove soluzioni e nuovi comportamenti: preferirà piuttosto affidarsi alla consuetudine dei vecchi script. L'improvvisazione è incoraggiata dalla necessità (le vecchie soluzioni non funzionano più: nella teoria dell'attaccamento si parlerebbe di situazione di "potenziale pericolo") o dalla curiosità (come nella fase "esplorativa").

Attraverso il lavoro di Bowlby e quello successivo della Ainsworth (Ainsworth ed Eichberg, 1991), ideatrice della Strange Situation Procedure (SSP), possiamo evidenziare con precisione alcuni pattern di attaccamento. In particolare:

  • bambini sicuri (protestano dopo la separazione dal genitore; al ricongiungimento si calmano rapidamente, disattivano il comportamento di attaccamento e riprendono l'esplorazione);
  • bambini insicuri/evitanti (non mostrano preoccupazione all'allontanamento del genitore; nella SSP si ri-volgono ai giocattoli, e non prestano attenzione al genitore al suo ritorno);
  • bambini insicuri/ambivalenti (protestano aggrappandosi con forza al genitore al momento della separa-zione, non trovano consolazione neanche al suo ritorno: il comportamento di attaccamento è espresso al massimo grado, probabilmente non azzardano movimenti esplorativi);
  • bambini insicuri/disorientati (non hanno una strategia riconoscibile, se non varie strategie di evitamento dell'approccio; molti bambini maltrattati rientrano in questa categoria: si accostano al genitore ma, vedendolo come fonte di minaccia, si arrestano e arretrano).

Il modello costruito nell'arco dei primi due anni di vita nella relazione con i genitori è per il bambino di enorme importanza, al punto da regolare le aspettative su come gli altri lo tratteranno e da modellare il suo comportamento nei loro confronti. Il bambino costruirà un modello mentale della madre e del suo modo di com-portarsi verso di lui; costruirà un analogo modello del padre; infine un modello di se stesso e delle sue capacità fisiche e sociali. Con il tempo, insomma, la modalità di attaccamento tende ad estendersi alle altre rela-zioni, e ad assumere sempre più le caratteristiche di uno script che contiene tutte le istruzioni circa i compor-tamenti di attaccamento.

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Se consideriamo che la capacità di recare aiuto e conforto all'altro sorge abbastanza precocemente (all'incirca dal secondo anno di vita) e che la forma che tale comportamento assumerà dipende strettamente da co-me la madre tratta il proprio bambino, possiamo pensare che gli script di accudimento e di consolazione del dolore sono fortemente influenzati dagli atteggiamenti dei genitori riguardo l'attaccamento. I bambini che sperimentano risposte sensibili e sollecite e un confortevole contatto corporeo sviluppano maggiormente la capacità di rispondere alle sofferenze altrui.

L'influenza dello script personale delle relazioni di attaccamento del genitore sui pattern di attaccamento del figlio sono stati ben evidenziati dalla Adult Attachment Interview ideata da Main et al. (1985). In particolare:

  • genitori autonomi/liberi (hanno bambini con attaccamento sicuro): possiedono storie coerenti della pro-pria infanzia, ne ricordano sensazioni, gioie, dolori; provano empatia per le difficoltà dei propri genitori e mostrano capacità di sintonizzarsi con le esperienze dei propri figli;
  • genitori insicuri/respingenti (hanno bambini insicuri/evitanti): negano perlopiù l'importanza dell'attaccamento; negano esperienze frustranti o disturbanti e, in generale, conservano pochi ricordi della propria infanzia; non riuscire a stabilire un'empatia con le esperienze dolorose dei propri figli evita l'esperienza del dolore: coerentemente, i bambini imparano ad escludere sentimenti dolorosi, in modo da non dover ricorrere al genitore;
  • genitori insicuri/intrappolati (hanno figli insicuri/ambivalenti): sono immersi nei propri ricordi e nelle pro-prie esperienze irrisolte; i figli apprenderanno ad ottenere la loro attenzione occupandosi di questi aspetti: a loro i genitori ricorreranno nei momenti di disperazione, e risponderanno in maniera ambivalente ai loro richiami.

Ulteriori studi sull'argomento hanno evidenziato come alle relazioni di attaccamento insicuro/evitante siano connessi gli stili transazionali disimpegnati, mentre alle relazioni insicure/ambivalenti corrispondano stili transazionali invischiati, anche se è importante ricordare come il tipo di attaccamento sperimentato con un genitore non è affatto predittivo del tipo di attaccamento nei confronti dell'altro, tanto che gli effetti di una relazione insicura con uno dei due possono essere compensati dalla relazione con l'altro.

La terapia può funzionare come una possibilità di sperimentare una relazione con una figura temporanea di attaccamento. Una terapia condotta in un clima di disponibilità e fiducia può costituire la base sicura di cui la famiglia ha bisogno per correre il rischio di sperimentare nuove possibilità. Sapendo di poter appoggiarsi provvisoriamente al terapeuta può azzardare script di transizione sapendo di ridurre il rischio connesso al cambiamento, può trovare il coraggio di compiere esplorazioni e di uscire dalla tragica immobilità dei vecchi pattern. È importante che il terapeuta non proponga un copione troppo dettagliato: rischierebbe di dare alla famiglia l'impressione di seguire il suo copione; se si limiterà a bloccare i copioni inefficaci e dannosi e a fornire un abbozzo di quelli nuovi, senza privare la famiglia della sensazione di essere in grado di riscriverne di propri, promuoverà la capacità di improvvisare e di immaginare nuovi scenari.

2. Come nasce uno script

Stern (1985) definisce R.I.G. (rappresentazione generalizzata di interazione) una rappresentazione "media", registrata in forma preverbale, di episodi analoghi, una sorta di prototipo di azioni ed episodi, di routine gene-ralizzata. Non si tratta di episodi specifici, né di eventi che una volta si siano verificati veramente così: sono rappresentazioni di azioni che sono state generalizzate. Con il loro ripetersi, episodi specifici, disponibili nella memoria episodica, diventano episodi generalizzati di esperienza interattiva rappresentati mentalmente.

Il materiale conservato nella memoria episodica viene recuperato ogni volta che sia presente un attributo della R.I.G.; la relazione con i genitori e con la famiglia opera una sorta di "sintonizzazione selettiva" con alcuni dei comportamenti basati su tali prototipi, stabilendo quali siano accettabili e quali no, attraverso un processo costante di "rispecchiamento".

Le idee di Stern sono particolarmente utili per descrivere in che modo ad un bambino piccolo (che è un po' un nuovo attore che viene scritturato in un vecchio copione) viene assegnato dai genitori un nuovo script, che proviene dal passato stesso dei genitori (tanto che talvolta il bambino è chiamato a rappresentare per-sonaggi del passato: ad esempio i nonni) e che modella il senso di sé del bambino. Ciò avviene attraverso un processo che non è unidirezionale, bensì circolare e sistemico: dalla "platea" il bambino assiste a quanto accade sul palcoscenico, osserva con attenzione le interazioni familiari. Assorbe atteggiamenti e comporta-menti ed interpreta quanto accade. Contempla gli attori e le reazioni del "pubblico" in platea, le ragioni di chi "agisce" e quelle di chi "è agito". Non si limita ad osservare quanto accade, ma cerca di collegarlo con i signi-ficati che gli adulti attribuiscono ad episodi, comportamenti e sentimenti, in sostanza con le aspettative del mondo degli adulti. Mette alla prova le loro reazioni, possibilmente fa domande per capire cosa essi si aspet-tino. Procede per tentativi ed errori alla formulazione del proprio ruolo all'interno dello script familiare. Si mo-della intorno alle aspettative dei genitori, che reagiranno selettivamente ad un suo comportamento mentre ne ignoreranno altri: il bambino, selettivamente, amplificherà alcuni aspetti di sé.

Nell'accoppiamento strutturale tra i suoi tentativi e le loro risposte, a poco a poco scopre una congruenza tra le proprie aspettative e quelle dei grandi, che hanno l'effetto di una profezia che si autoavvera: "arriverà lon-tano!", oppure: "non combinerà mai niente di buono". Ben presto arriverà a pensare "questo è ciò che si a-spettano da me, ecco come tutti si aspettano che io mi comporti". Tale congruenza modellerà i suoi compor-tamenti e i suoi contributi allo script della famiglia.

Gli script possono essere classificati a seconda delle relazioni che riguardano: esistono script sui rapporti tra i genitori, o tra i fratelli, oppure possono essere script intergenerazionali, come ad esempio quelli che riguar-dano i rapporti tra padre e figlio o più in generale le relazioni tra due generazioni.

Gli script transgenerazionali sono quelli che provengono dalle generazioni precedenti e che vengono trasferi-ti nell'interazione attuale: di questi fanno parte gli script ripetitivi e quelli correttivi.

Possono, ancora, essere classificati in base alla funzione. Essi possono comprendere anche tutte le funzioni più particolari della vita di una famiglia (esempio: lo script del momento dei pasti). Più in generale in base al-la funzione distinguiamo gli script di problem solving, o gli script di soluzione del conflitto. Un esempio di quest'ultima categoria sono gli script di triangolazione: un conflitto diadico, ad esempio, viene risolto median-te l'intervento di un terzo quale pacificatore o regolatore della distanza; quest'ultimo potrà essere coinvolto a sua volta in un conflitto con uno dei due contendenti, che richiederà l'intervento di un altro pacificatore e così via, senza peraltro mai risolvere veramente il conflitto. Si capisce perché gli script di problem solving e di so-luzione del conflitto siano quelli che più direttamente diventano oggetto di attenzione in terapia, e che di soli-to hanno bisogno di essere riscritti.

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Ancora, possono essere classificati in base alle aspettative circa la direzione che prenderanno gli eventi (script ottimistici, tragici, di successo ecc.) o in base alla strategia impiegata (script di evitamento, di sostitu-zione, vedi ad esempio alcuni script del lutto).

È opportuno distinguere il concetto di script da alcuni altri apparentemente simili:

  • rituali familiari: rappresentazioni simboliche che celebrano particolari funzioni, spesso nei momenti di transizione fondamentali. Degli script sono una sottocategoria;
  • miti familiari: le credenze che la famiglia ha su se stessa; contengono talvolta una sorta di autoinganno che giunge a negare il divario tra il mito condiviso e l'evidenza dei fatti;
  • storie familiari: spiegano l'azione che si è svolta nel passato, mentre gli script prescrivono l'azione da in-traprendere ora e nel futuro;
  • leggende familiari: storie "condensate" ripetute di frequente; il materiale fantastico che le costituisce con-tiene alcune implicazioni su come la famiglia dovrebbe agire nel presente; ha in comune con lo script il fatto che i membri impersonano i propri ruoli in una messa in scena in costante evoluzione.

Script, storie, miti e leggende sono intrecciati fra loro. Si prenda ad esempio la situazione in cui una famiglia affronta una circostanza difficile: il modo in cui viene risolta viene ricordato nelle storie della famiglia; le storie che si raccontano e le leggende che si tramandano sull'argomento fanno sì che quella determinata soluzione venga indicata come esempio per le generazioni future; dopo un certo numero di volte che è stata messa in scena, quella soluzione viene incorporata in uno script e diverrà parte del repertorio della famiglia.

3. I ruoli vacanti

Per una famiglia è assolutamente vitale che gli script vengano salvaguardati: le famiglie in cui i ruoli sono sostituibili (per un periodo di tempo circoscritto) hanno meno problemi di quelle in cui i ruoli sono destinati ad una persona specifica: in assenza di quella, si crea un vuoto.

Quando c'è da rimpiazzare qualcuno in un ruolo rimasto vacante (o sostenuto con scarsi risultati), la famiglia può scritturare un sostituto in diverse maniere:

  • pressione emotiva (la tensione e l'ansia che si creano in caso di vacanza di un ruolo importante finiscono per indurre colpa o vergogna in chi ha ricoperto quel ruolo e lo ha abbandonato, tanto da indurlo a riprender-selo: in caso contrario la pressione indurrà altri congiunti ad appropriarsi di quel ruolo); Si pensi, semplice-mente, alle situazioni in cui l'uscita di un figlio o di una figlia per costituire una famiglia propria, genera soffe-renza nel nucleo. Le soluzioni cui più frequentemente capita di assistere in terapia familiare sono quella per cui prima o poi la nuova famiglia si separa e il figlio allontanatosi ritorna a ricoprire il proprio ruolo nel nucleo di provenienza; oppure in cui quel figlio torna con il proprio coniuge ad abitare nella casa dei propri genitori (magari per via di un sintomo particolarmente debilitante che impone la loro vicinanza!); oppure, ancora, in cui un altro fratello o sorella rinvia sine die o cancella i propri progetti di autonomia per ricoprire il ruolo la-sciato vacante da chi ha ottenuto l'autonomia.
  • inclinazione ad entrare nel ruolo: determinati scenari critici evocano in maniera tale scenari passati che qualcuno è indotto all'azione; la fase di crescita di un figlio, ad esempio, può evocare scenari che risalgono al tempo in cui il genitore aveva la stessa età, e spingere quest'ultimo a mettere in scena script correttivi o che ricalcano i vecchi script;
  • sostituzioni dall'esterno (davanti all'inadempienza del familiare "scritturato", può essere chiamato in causa un estraneo: il terapeuta, spesso, entra in gioco in una situazione simile).

4. Gli script del lutto e della perdita

Il lutto per la morte di una persona cara è anche il lutto per la rinuncia ad uno script. Col defunto se ne vanno le aspettative, il futuro come era stato pensato ed immaginato.

Elaborare un lutto vuol dire anche "piangere" il vecchio script e scriverne uno nuovo, ma senza colui che non c'è più.

Genitori che hanno affrontato un lutto importante, ma che ne hanno portato a termine l'elaborazione in ma-niera soddisfacente, hanno normalmente bambini con attaccamento sicuro (v. ancora Ainsworth e Eichberg, 1991): ciò accade in famiglie capaci di vicinanza emotiva, in cui i membri sono capaci di offrire sostegno re-ciproco, possibilità di comunicare e condividere il dolore, rispetto e comprensione per i sentimenti di chi sof-fre, anche quando questi possono sembrare non realistici (Bowlby, 1979); oppure in famiglie che possiedono un sistema di credenze radicate sulla morte e sull'aldilà. Pensare che dopo la morte sia ancora possibile "saldare" i conti aperti, perdonarsi reciprocamente gli errori (soprattutto in caso di una morte improvvisa che lasci aperte troppe ferite e non conceda il tempo di salutarsi) permette di lasciarsi alle spalle il vecchio script e di iniziare a pensarne uno nuovo per il futuro.

Una base sicura favorisce l'elaborazione del lutto: in condizioni differenti il superamento della perdita è più difficile. In questi casi può accadere che rinunciare allo script non sia possibile: si tratta delle situazioni in cui un congiunto viene scritturato al posto del defunto in modo tale che la relazione con quella persona continui anche dopo la morte. Ad esempio un figlio viene adultizzato per ricoprire il ruolo del genitore scomparso a fianco di quello che rimane; oppure viene chiamato a farsi carico delle aspettative affidate al fratello morto.

Si tratta normalmente di un modo molto costoso di tenere in vita uno script: lo scorrere del tempo, tutto quanto rimanda a chi non c'è più (gli anniversari della morte, ad esempio) rendono evidente, e spesso intol-lerabile, la dissonanza cognitiva tra il vecchio script e la realtà.

5. Script che si ripetono, script che cambiano

5.1. Replicare gli script

Ci capita di sorprenderci talvolta per il fatto che script del passato si ripropongano con tutto il loro carico di sofferenza.

Ma anche la ripetizione di script dolorosi può presentare vantaggi significativi per la conservazione e la conferma del proprio sé: il matrimonio con un uomo che riporta sulla scena familiare la rigidità o l'aggressività già sperimentate nel rapporto con il proprio padre, ad esempio, consente di assegnare a qualcuno il ruolo di "colpevole" dei problemi relazionali e di mantenere il ruolo di "controparte", mantenendo intatto il Sé "permissivo" e tollerante nel rapporto con i figli.

Lo script che prescrive cosa fare in un determinato scenario è costituito da immagini di episodi del passato, che funzionano da "modello" per le interazioni attuali. Queste immagini sono immagazzinate nella memoria episodica. Nella memoria semantica sono invece contenuti sistemi di credenze: sulla causalità, sul gender, sulla morale. Bowlby descrive gli effetti della "negazione imposta", che determina un conflitto tra i due sistemi di memoria, tra azioni e credenze:

"Non è infrequente che i bambini osservino delle scene che i genitori preferirebbero non osservassero, si formino delle impressioni che i genitori preferirebbero non si formassero, e abbiano delle esperienze che i genitori vorrebbero credere che essi non abbiano avuto. I risultati mostrano che molti bambini, consapevoli dei sentimenti dei propri genitori, procedono allora in modo da conformarsi ai loro desideri, escludendo dall'ulteriore elaborazione le informazioni che hanno già ricevuto; e che, avendo fatto così, cessano conscia-mente di essere consapevoli del fatto che hanno già osservato tali scene, si sono già formati tali impressio-ni, o hanno avuto tali esperienze. Qui, a parer mio, c'è una fonte di disturbo cognitivo tanto comune quanto trascurata" (Bowlby, 1988, pag. 97; corsivo mio).

Il bambino si identifica con i contenuti della memoria episodica, ma un comando che risiede nella memoria semantica nega quei contenuti e gli proibisce di considerare l'esistenza di una discrepanza, e dunque di esprimere i propri sentimenti al riguardo. Nel suo script futuro metterà in scena eventi del passato pur dichia-rando cose diverse: è il caso di quei bambini abusati cui viene detto che non c'è stato abuso né violenza.

È stato spesso notato come genitori con un'infanzia traumatica e vissuti di separazione potessero comunque avere bambini sicuri: si tratta in generale di genitori in grado di dare un racconto chiaro della propria infanzia e delle proprie sofferenze, del ruolo dei propri genitori in esse ma anche delle difficoltà che avevano impedito ai loro genitori di comportarsi diversamente e del proprio contributo alle difficoltà vissute in famiglia. Si tratta di genitori in grado di esprimere in maniera chiara i propri sentimenti di gioia, rabbia, delusione e quindi ca-paci di maggiore autoriflessività che permette di riconoscere le difficoltà del passato e di adoperarsi affinché non si ripetano ai danni della generazione successiva.

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Spesso si tratta di genitori con rapporti di coppia molto soddisfacenti, che garantiscono una relazione di at-taccamento tale da generare un clima di alleanza e di solidarietà: ciò favorisce la possibilità di riesaminare insieme le esperienze del passato e di costruire nuovi script fondati sulla collaborazione. Sono gli episodi passati dimenticati, non elaborati, a correre maggiori rischi di ripetizioni nelle generazioni successive.

Ma anche uno script correttivo può essere il risultato di una tendenza scarsamente autoriflessiva a mettere in scena soluzioni ai problemi: il bambino che si è sentito maltrattato, o comunque vittima di una disciplina troppo severa, potrebbe diventare un genitore con uno stile educativo irrazionalmente permissivo, e riscrive-re il suo script in base al desiderio di ribaltare il vecchio, e non secondo il principio di garantire il benessere emotivo alle generazioni successive. Potrebbe, ad esempio, sostenere lunghe discussioni con i figli su ciò che è bene fare, ma non riuscire a fornire loro una linea di condotta.

Come che sia, il bambino - mentre esegue il suo script attuale - contemporaneamente crea lo "script della vita familiare futura". Lo script genitoriale risentirà dell'identificazione del bambino con il genitore, che è un processo reciproco e sistemico in cui il bambino sceglie il proprio modello, ma anche colui che è stato scelto può ritenere simile a lui il bambino. Non si tratta di un processo unidirezionale, dunque, ma di un intreccio ben più complesso. Il bambino sceglie la propria identità (che può coincidere o meno con quella desiderata dai genitori), ma anche gli adulti costruiranno la propria immagine su questo processo: "sono il genitore di uno studente modello / di un delinquente" eccetera.

Anche il tipo di identificazione del figlio nel genitore contribuirà a generare script genitoriali ripetitivi, nel caso che la relazione sia buona, il genitore soddisfatto della propria identità e valorizzato dal resto della famiglia; o al contrario correttivi, se il genitore è nascostamente frustrato e tende a trasferire sul figlio le proprie ambi-zioni deluse. Nel caso che il figlio non riesca a realizzare tali ambizioni, il ruolo può passare ai nipoti e la loro soddisfazione può essere differita alla generazione successiva.

5.2. La possibilità di improvvisare

Il variare delle circostanze rende necessaria la continua revisione degli script, e pertanto un margine di im-provvisazione. E la vita familiare è anche un palcoscenico per l'improvvisazione, per la sperimentazione di script "di transizione" nei quali la famiglia potrà identificarsi in tutto o in parte: ciò determinerà se lo script, o parte di esso, sarà incorporato nello script generale della famiglia.

Un margine per la sperimentazione e l'improvvisazione non esisterebbe se non fosse assicurata una certa stabilità dello script. Ciò che la garantisce è il fatto che esso è incorporato in sistemi di significati più ampi condivisi con la famiglia estesa, la comunità, la cultura. Sappiamo che una famiglia che non leghi i propri script agli script culturali resta isolata.

Nella gerarchia di significati sociali proposta da Cronen e Pearce (1985, cit. in Byng-Hall, 1995) le credenze che coinvolgono un maggior numero di persone (e che si collocano perciò ai gradini più alti della scala) dan-no significato a quelle che stanno più in basso.

Essa può essere raffigurata in questo modo:

  •     Mitologia culturale
  •     Miti e leggende familiari
  •     Script familiari
  •     Episodio o scenario
  •     Atto comunicativo

La natura autoreferenziale di tale gerarchia rende possibile anche il contrario, sebbene ciò sia più difficile: un particolare atto comunicativo, cioè, può retroagire sullo script dandogli significato (invece che riceverne), e invertire l'influenza nella scala dei significati sociali. Se un'esperienza viene considerata particolarmente si-gnificativa, se un nuovo apprendimento risulta talmente importante da venire generalizzato, questi possono esercitare una "forza contestuale" (Tomm, 1987) sullo script e sulla visione che la famiglia ha di sé, dar vita a nuovi script e nuove aspettative, avere l'effetto di mettere in discussione i miti familiari ed allentare il vincolo che impedisce l'improvvisazione: liberare, insomma, la possibilità di improvvisare nuove soluzioni, più sane ed evolutive per la famiglia e i suoi componenti, per decostruire le vecchie rovinose storie e costruirne di più nuove e salutari.

In caso di necessità, astenersi dall'agire seguendo le direttive contenute nello script può essere altrettanto cruciale che l'azione. Riflettere sul da farsi invece che agire lasciandosi coinvolgere dall'interazione è possi-bile se, oltre a seguire lo svolgimento della trama "esterna", si riesce a seguire la trama "interna" dei ricordi attivati dagli eventi attuali. Ciò permette di trovare un senso a quanto accade e al bisogno di agire, di trovare storie coerenti sul perché delle emozioni e delle azioni, ed aiuta a scegliere la soluzione appropriata. Le emozioni non vengono agite: diventano motivo di riflessione ad un livello superiore di astrazione: è ciò che Winnicott definisce "contenimento". E vale la pena di sottolineare come i bambini con attaccamento sicuro hanno maggiori capacità di riflettere sui propri sentimenti rispetto a bambini insicuri: maggiore autoriflessività vuol dire minore tendenza ad "agire" senza pensare. Dunque si potrebbe dire che il modo che hanno tali bambini di entrare nel proprio ruolo sia più adattabile, più aperto al cambiamento e alla riscrittura. Questi bambini hanno maggiori possibilità di riscrivere un copione che non funzioni o che non garantisca loro (e alla propria famiglia) il livello massimo possibile di soddisfazione.

 

Bibliografia

  • Addazi A. M. (1988) Il genogramma, ovvero la mappa trigenerazionale della famiglia, in Andolfi, M., Addazi, A. M., Ambrogi, M., Castellani, P., Faccenda, A., Rossi, M., Tulipano, P., La famiglia trigenerazionale, Bulzoni Editore, Roma.
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Dott. Massimo Giuliani - Psicologo e Psicoterapeuta
Studio "La Cornice Terapeutica", Manerbio (Brescia)

 


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