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Principi di psicoterapia pratica (Jung, 1935)

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on . Postato in Autori della Psicologia - frasi e citazioni fondamentali | Letto 1237 volte

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carl gustav jung

“Se, in quanto psicoterapeuta, assumo un atteggiamento autoritaristico nei confronti del paziente e pretendo di conoscere sia pur parzialmente la sua individualità o di potermi pronunciare validamente in merito, do solo prova di mancanza di critica, dal momento che non sono affatto in condizione di giudicare nel suo insieme la personalità del mio interlocutore. Su di lui posso pronunciarmi validamente solo in quanto egli si avvicina all’uomo in generale. Ma poiché tutto ciò che vive si presenta sempre soltanto in forma individuale, e su ciò che è individuale negli altri io posso sempre fare enunciazioni basate su ciò che trovo di individuale in me, corro il pericolo o di sopraffare l’altro o di soggiacere io stesso alla sua suggestione. Perciò se voglio curare la psiche di un individuo devo, volente o nolente, rinunciare a ogni saccenteria, a ogni autorità, a ogni desiderio di esercitare la mia influenza; devo necessariamente seguire un procedimento dialettico consistente in una comparizione dei nostri reciproci dati. Ma questo confronto sarà possibile soltanto se darò all’altro la possibilità di presentare il più perfettamente possibile il suo materiale senza limitarlo con i miei presupposti. Il suo sistema entrerà così in relazione con il mio e agirà su di esso. Quest’azione è l’unica cosa che io, in quanto individuo, possa legittimamente contrapporre al paziente.” (p. 9)

 

[…] Ora, poiché è noto che cento persone intelligenti formano, se messe insieme, un grosso idrocefalo, virtù e talenti non si confanno all’uomo in generale, ma sono contrassegni essenzialmente individuali. Le masse tendono sempre alla psicologia della gregarietà e quindi alla cieca confusione, alla psicologia della marmaglia e quindi alla sorda brutalità e all’emotività isterica. L’uomo collettivo ha caratteristiche primitive; per questo dev’essere trattato con metodi tecnici. E’ infatti una pratica errata trattare l’uomo collettivo con metodi che non siano quelli “tecnicamente corretti”, cioè riconosciuti e ritenuti efficaci dalla collettività. In questo senso il vecchio ipnotismo o l’ancor più antico magnetismo animale hanno, in linea generale, conseguito gli stessi risultati di un’analisi odierna tecnicamente ineccepibile o della cura effettuata da uno stregone primitivo con i suoi amuleti. Tutto dipende dal metodo nel quale il terapeuta crede; la sua fede nel metodo è determinante. Se crede davvero, farà seriamente e costantemente per il malato tutto quanto sta in lui: e questo sforzo e quest’abnegazione spontanea avranno un effetto risanatore almeno nei limiti entro cui si estende la sovranità psichica dell’uomo collettivo, limiti peraltro fissati dall’antinomia “individuo-generale”. […](p.10)

 

[…] Queste considerazioni di massima producono nel terapeuta un atteggiamento ben definito che, essendo l’unico di cui si possa rendere scientificamente garanti, mi sembra indispensabile in tutti i casi di “trattamento individuale”. Qualunque deviazione da quest’atteggiamento equivale a una terapia basata sulla suggestione, quel genere di terapia il cui principio è: “Ciò che è individuale non significa nulla nella prospettiva di ciò che è generale”. A una simile terapia appartengono tutti quei modi che affermano di possedere (e che applicano) una conoscenza o un’interpretazione di altre individualità. Così pure le appartengono tutti i metodi tecnici in senso proprio, in quanto essi presumono invariabilmente la somiglianza degli oggetti individuali. Ora, nella misura in cui è vera la tesi dell’irrilevanza dell’individuo, i metodi basati sulla suggestione, i procedimenti tecnici e gli assunti teorici di qualsivoglia forma sono praticabilissimi e danno, se applicati all’uomo in generale, garanzia di successo. […]Persino i movimenti politici possono, con una certa legittimità, pretendere di essere una psicoterapia su vasta scala. Come lo scoppio della guerra ha guarito certe nevrosi ossessive, e da tempi immemorabili località miracolose hanno fatto sparire quadri clinici nevrotici, così anche movimenti di massa di maggiore o minor estensione hanno un effetto salutare sull’individuo. Questo fatto trova la sua semplice e miglior espressione nella concezione primitiva del “mana”. Il mana è una forza medicinale o curativa universalmente diffusa che rende fecondi uomini, piante, animali, e che dota di potenza magica capitribù e stregoni. Il concetto di mana è, come dimostra Lehman, identico a quello “straordinariamente efficace” o semplicemente impressionante. Perciò, a livello primitivo, tutto ciò che è impressionante è “medicina”. […] (p.10)

 

[…] Sono infatti innumerevoli gli uomini che non solo sono essenzialmente collettivi, ma nutrono anche la particolare ambizione di non essere altro se non collettivi. Ciò corrisponde anche a tutte le tendenze educative correnti, che danno volentieri per sinonimi individualità e anarchia. A questo livello, ciò che è individuale è svalutato e rimosso, e anche le nevrosi presentano come causa morbosa contenuti e tendenze individuali. Com’è noto, esiste anche una sopravvalutazione di ciò che è individuale, basata sull’antitesi: “Ciò che è generale non significa nulla nella prospettiva di ciò che è individuale”. Perciò le psiconevrosi si possono, dal punto di vista psicologico (non da quello clinico), suddividere in due grandi gruppi: l’uno comprendere essere umani collettivi dall’individualità sottosviluppata, l’altro individualisti il cui adattamento alla collettività risulta atrofico.(…) D’altra parte, il terapeuta conosce per esperienza la persona collettivamente adattata che ha tutto e fa tutto ciò che si può ragionevolmente pretendere come garanzia di salute, e che purtuttavia è malata.(…)Ora poiché, conformemente a quanto abbiamo detto nella nostra spiegazione introduttiva, l’individuale è l’assolutamente unico, l’imprevedibile, l’ininterpretabile, il terapeuta deve in questo caso rinunciare a tutte le sue tecniche, a tutti i suoi presupposti, limitandosi a un procedimento che eviti qualsivoglia metodo. Come il lettore avrà osservato, ho definito all’inizio il procedimento dialettico come la fase più recente dello sviluppo della psicoterapia. Devo ora correggermi e mettere questo procedimento al posto che gli compete: non si tratta tanto infatti di un’elaborazione di teorie e di pratiche precedenti, quanto di un completo abbandono di entrambe in favore di un atteggiamento il più possibile imparziale. In altre parole, il terapeuta non è più il soggetto che agisce, bensì è il compartecipe di un processo di sviluppo individuale. […] (p.11)

 

 

[…] Il procedimento dialettico trae altresì origine della “possibilità di interpretare in modi svariati i contenuti simbolici”. Silberer ha operato una distinzione tra interpretazione psicoanalitica e anagogica; io, tra interpretazione analitico-riduttiva e sintetico-ermeneutica. (…) La via dell’approfondimento e della diversificazione che Freud inaugurò nella problematica psicoterapeutica porta prima o poi alla logica conclusione che il confronto sostanziale tra medico e paziente coinvolge necessariamente la personalità del terapeuta. Al vecchio ipnotismo e alla terapia della suggestione elaborata da Bernheim era già noto che l’efficacia curativa dipende dal cosiddetto rapport (“traslazione” nella terminologia freudiana) e dalla forza di convinzione e penetrazione di cui è dotata la personalità di chi cura. In sostanza, nel rapporto fra terapeuta e paziente interagiscono due sistemi psichici; penetrando perciò più a fondo nel processo psicoterapeutico, si giunge infallibilmente alla conclusione che, essendo l’individualità un fattore tutt’altro che trascurabile, la relazione fra terapeuta e paziente comporta un processo dialettico.(…)Per prevenire malintesi, aggiungerò subito che essa non considera affatto scorretti, superflui o sorpassati i metodi esistenti poiché, quanto più si approfondisce la comprensione della psiche, tanto più ci si convince che la multiformità e la multidimensionalità della natura umana richiedono la massima varietà di metodi e punti di vista per rispondere alla varietà delle disposizioni psichiche. E’ quindi assurdo sottoporre un paziente a cui manchi soltanto una sana dose di buon senso a una complessa analisi del suo sistema pulsionale o esporlo alle sconcertanti sottigliezze della dialettica psicologica. Ma è altrettanto chiaro che, nel caso di nature complesse, spiritualmente superiori, non si approda a nulla usando consigli benevoli, suggerimenti, tentativi di conversione a questo o quel sistema […] (p.11/12)

 

 

Jung C. G. (1935), Principi di psicoterapia pratica, tr. It. In Opere, Boringhieri, Torino, 1981, vol. 16.

 

 


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