Più che di “autismo” sarebbe più opportuno parlare di “autismi”, o, meglio ancora, sarebbe il rinunciare alle etichette e concentrarci su quel bambino che magari non sa giocare, comunicare, esprimere le proprie emozioni, che vive in una condizione di isolamento perché le interazioni sociali sono precluse ai diversi, ma che sa offrirci la ricchezza della sua diversità, da cui tutti abbiamo da imparare.
(Eugenio Serravalle)1
In occasione della “Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo” che si è celebrata a livello internazionale il 2 aprile, metto in stand by la discussione che sto portando avanti sulle problematiche degli altri alunni con Bisogni Educativi Speciali, per dedicare questa mia riflessione alla sfida dell’autismo, per sottolineare quanto spesso ho affermato nei miei precedenti post: ciascuno va rispettato, per l’intrinseco valore che porta dentro di sé, valorizzando ciò che di positivo, bello, significativo ha da dare!
Del resto a me non è mai piaciuta la definizione “autistico”, preferisco “affetto da autismo” giacché il soggetto non è la malattia ma ben altro… In questa prospettiva è necessario riflettere su come la convivenza con i coetanei rappresenta per tutti (alunni con autismo e normo dotati) un’occasione unica per sperimentare apprendimenti funzionali con il diverso da sé, insieme al/ai quale/i imparare a comprendere il mondo, imparandone le regole, per generalizzare via via in altri contesti le abilità apprese a scuola. Certo è un’operazione ardua e complessa, che necessita della collaborazione di tutte le figure interne ed esterne che ruotano intorno all’alunno, anche prevedendo adattamenti organizzativi dell’ambiente scolastico e un impiego di tutte le risorse disponibili.