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Disforia di genere

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"Per un momento ho dimenticato me stesso, per un momento sono stato solo Lili." The Danish Girl

disforia di genereCon il termine Disforia di genere si fa riferimento all’insoddisfazione o sensazione di disagio nei confronti del proprio sesso biologico.

Negli ultimi tempi la disforia di genere è stata oggetto di attenzione sia nel campo della salute mentale che nella società in generale.

Agli inizi degli anni ’90 , si è manifestato un nuovo atteggiamento nei confronti dei fenomeni transgender; il clinico pertanto si trova di fronte ad una serie spesso sbalorditiva di individui con esperienze transgender, tra cui transessuali, travestiti, “she-males”, terzo sesso, “doppio spirito”, drag queen, drag king, e cross-dressers.

Da un punto di vista diagnostico, il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi mentali (DSM-5) ha evidenziato come la non conformità al genere biologico di appartenenza non sia un disturbo mentale; il disturbo nasce solo se vi è un disagio significativo associato alla condizione.

Nella nuova classificazione la disforia di genere è stata separata sia dalle disfunzioni sessuali che dalle parafilie. I criteri diagnostici per la diagnosi cono i seguenti:

Criterio A

Una marcata incongruenza tra il genere esperito/espresso da un individuo e il genere assegnato, della durata di almeno 6 mesi, che si manifesta attraverso almeno due dei seguenti criteri:

  • una marcata incongruenza tra il genere esperito/espresso da un individuo e le caratteristiche sessuali primarie e secondarie;
  • un forte desiderio di liberarsi delle proprie caratteristiche sessuali primarie e/o secondarie;
  • un forte desiderio di appartenere al genere opposto (o a un genere alternativo);
  • un forte desiderio di essere trattato come appartenente al genere opposto (o di un genere alternativo);
  • una forte convinzione di avere i sentimenti e le reazioni tipici del genere opposto (o di un genere alternativo).

Criterio B

  • La condizione è associata a sofferenza clinicamente significativa o a compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre importanti aree.

Il fenomeno della disforia di genere è sempre esistito fin da quando si hanno memorie storiche. Le mitologie abbondano di descrizioni di individui che, per varie ragioni, assumono il corpo od il ruolo dell’altro genere.

Un esempio, preso dalla mitologia greca, è quello di Tiresia, che trascorse parte della propria vita da uomo e parte da donna.

Tiresia, per via della sua peculiare esperienza, era considerato un saggio veggente e questo è un tema che viene spesso associato all’esperienza transgender.

Bullough e Bullough citano un’ampia varietà di resoconti storici di cross-dressing, di sostituzioni di maschi e femmine, e di cambiamenti di sesso di cui sono protagonisti i cattolici, nobili francesi, personaggi pubblici ed artisti famosi.

La storia della cultura occidentale è sempre stata costellata da atteggiamenti negativi nei confronti delle persone transgender, fino agli ultimi tempi.

Il Malleus Maleficarum, una sorta di DSM ante-litteram dell’Inquisizione del XV e del XVI secolo, affermava che vestire o assumere l’esteriorità dell’altro sesso era prova di stregoneria, ed il trattamento da esso prescritto era decisamente invasivo, come ad esempio essere bruciati al rogo.

Tale visione è stata poi sostituita dalla medicalizzazione del comportamento transgender a partire dal XIX secolo.

Richard von Kraft-Ebing, uno dei primi sessuologi moderni, nella sua opera Psycopatia Sexualis definì il comportamento transgender come una perversione, di solito dovuta ad un eccessivo abbandonarsi al sesso o alla masturbazione.

Furono Havelock Ellis e Magnus Hirschfeld a introdurre un approccio più scientifico ed umano alla comprensione di tale fenomeno.

I problemi legati all’identità di genere insorgono già in tenera età; secondo Richard Carroll la disforia di genere origina di solito nell’infanzia e, per la maggior parte dei soggetti, tende a persistere fino all’età adulta.

A partire da tale considerazione potrebbe essere utile chiedersi cosa accade in quei bambini che esprimono il desiderio di appartenere al sesso opposto, ma che, crescendo, non diventano adulti transessuali.

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A tal proposito, Green ha effettuato uno studio in cui ha seguito la vita di 44 ragazzi che erano stati ricoverati in una clinica pediatrica di salute mentale perché avevano espresso il desiderio di diventare una ragazza.

Dai risultati emerse che solo un soggetto (2%) del gruppo originale di ragazzi che si identificavano come femmine ha manifestato una significativa disforia di genere da adolescente o da giovane adulto.

Tuttavia, il restante 75% ha manifestato un orientamento omosessuale; si rese quindi evidente che la maggior parte dei bambini con disforia di genere non sviluppa, una volta adulti, una disforia di genere, benchè ancora sia oscuro il motivo per cui vi sia questa mancanza di continuità.

Gli studiosi si sono pertanto chiesti se i bambini, col tempo, abbandonano semplicemente questa loro disforia di genere o se, invece, è un intervento precoce a impedire loro di sviluppare il disturbo.

I problemi dell’identità di genere nell’adolescenza, invece, non vengono risolti in maniera altrettanto rapida o abbandonati nel tempo.

Durante l’adolescenza, anche i medici cominciano ad osservare un fenomeno diverso, come ad esempio il travestitismo (per esempio, l’eccitazione sessuale quando vengono indossati gli indumenti dell’altro sesso).

Zucker e Bradley hanno scoperto che gli adolescenti che praticano il travestitismo presentano livelli elevati di turbe comportamentali, che si traducono soprattutto nel disturbo della condotta, nel disturbo da deficit da attenzione, e nel disturbo iperansioso.

Da un punto di vista clinico, la valutazione della disforia di genere prevede un’anamnesi sia sessuale che di genere.

La raccolta delle informazioni inerente il genere comporta l’esplorazione delle varie manifestazioni dell’identità di genere nel corso del tempo.

Fare questo comporta indagare alcune aree specifiche quali: il tipo di giochi privilegiati da bambini, indumenti indossati o desiderati da bambini, reazioni da parte dei familiari, degli amici e dei pari, sensazioni inerenti il proprio corpo, insorgenza della disforia di genere, esperienze di cross-dressing e cross-gender e via dicendo.

A questa raccolta di dati segue anche un’anamnesi sessuale che riguardi principalmente: la prima esperienza sessuale, storie di abuso o traumi sessuali, fantasie sessuali precoci e schemi di masturbazione, esperienze di eccitazione sessuale associate al cross-dressing, script sessuali desiderati, presenza di parafilie e così via.

Da un punto di vista clinico esistono tre forme primarie di disforia di genere che verranno di seguito presentate.

1) Disforia di genere femmina-maschio

I pazienti appartenente a tale “categoria” presentano di solito storie molto congruenti. Fin dalla prima infanzia, già intorno ai 3 anni, questi individui sono stati quasi sempre identificati come mascolini tanto nell’aspetto che nel comportamento.

Le loro preferenze sono dirette verso sport e giochi violenti, prediligono una compagnia maschile così come indossare indumenti maschili.

Durante il periodo adolescenziale reagiscono con disgusto alle modificazioni fisiche associate alla pubertà ed sono sessualmente attratti dalle donne.

Nella prima età adulta cercano spesso una soluzione lesbica al loro dilemma; tuttavia, questa decisione si rivela un fallimento perché il loro desiderio maggiore è quello di sentirsi desiderati non in qualità di donna ma, piuttosto, in qualità di maschio.

Ad un certo punto dell’età adulta, tali pazienti prendono in considerazione la possibilità di sottoporsi ad una riassegnazione di genere cercando così una cura.

2) Disforia di genere maschio-femmina: il tipo androfilo

A differenza del transgender femmina-maschio, esistono due tipi distinti di uomini che desiderano diventare donne: gli androfili e gli autoginefili.

Il tipo androfilo (attratto dai maschi), noto anche come tipo omosessuale, rappresenta il classico quadro del transessuale. Questa forma di disforia di genere è l’opposto dello schema femmina-maschio.

Sono ragazzi che vengono quasi sempre visti come effeminati, graziosi e delicati fin dalla nascita; evitano sport violenti e maschili e amano vestirsi come le ragazze sin da giovani.

Si travestono per adottare maggiormente l’identità delle ragazze o delle donne e, spesso, hanno un forte legame con la madre.

Fin dalla giovane età mostrano attrazione verso persone di sesso maschile, senza aver mai provato, di solito, attrazione verso le donne.

A causa della loro effeminatezza, hanno di solito subito molestie da parte dei familiari e del gruppo dei pari.

È possibile che siano coinvolti in esperienze di prostituzione o che abbiano avuto uno stile di vita come drag queen.

Dopo aver intrapreso diverse relazioni omosessuali, può subentrare frustrazione in quanto il loro desiderio è quello di avere un partner eterosessuale che sia attratto da loro in quanto donne.

3) Disforia di genere maschio femmina: il tipo autoginefilo

Per comprendere questa forma di disforia di genere è bene inquadrare il fenomeno dell’autoginefilia. Con questo termine, si intende l’esperienza dell’eccitazione sessuale (filia) alla fantasia di sé (auto) come donna (gine).

Blanchard et al., hanno dimostrato in maniera convincente che è questo schema di eccitazione sessuale che è alla base della maggior parte del cross-dressing negli uomini, molti dei quali diventano dei disforici di genere.

La loro storia è spesso caratterizzata da atteggiamento mascolini, tali da non presentarsi come effeminati; riferiscono di aver iniziato ad indossare indumenti femminili, quelli della madre o della sorella, prima dell’insorgere della pubertà.

Tale esperienza è descritta come piacevole e confortante ma priva di connotazioni sessuali. Il cross-dressing inizia a divenire eccitante con l’ingresso nella pubertà ed in questo periodo iniziano a sviluppare attrazioni sessuali nei confronti di ragazze e donne.

Tuttavia, oltre ad essere sessualmente attratti dal sesso femminile, iniziano ad immaginare di avere dei corpi femminili o di avere un aspetto da donna.

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Durante questo periodo lottano contro la loro tendenza al travestitismo e cercano di smettere liberandosi del loro guardaroba femminile.

Iniziano così a intraprendere anche comportamenti stereotipati maschili quali il sollevamento pesi, comportamento aggressivo o la carriera militare, ma le loro fantasie sessuali e impulsi al cross-dressing iniziano a diventare sempre più forti.

Il risultato coincide spesso con l’insorgenza di ansia, depressione e abuso di sostanze come espressione del loro conflitto interno relativo all’identità di genere. Alla fine sentono il bisogno di una consulenza professionale, e durante il trattamento, a causa della disperazione, possono risultare eccessivamente impulsivi nei loro sforzi di voler cambiare genere.

L’eziologia delle esperienze transgender non è ancora ben nota e parte di questa difficoltà è legata al fatto che le teorie eziologiche dovrebbero giustificare fenomeni tanto diversi tra loro come il cross-dressing, la disforia di genere maschile-femminile autoginefila, i drag queen, e la disforia di genere femminile-maschile ginefila.

Sono comunque state avanzate delle ipotesi; sono stati ad esempio suggeriti modelli biologici, in cui si evidenziano incidenze superiori di anomalie a carico del lobo temporale.

Da uno studio recente che ha esaminato i cervelli dei transessuali maschio-femmina è emerso che una piccola regione del cervello che è associata con il comportamento sessuale nei ratti (il letto nucleare striato terminale) ha un “formato femminile” piuttosto che un “formato maschile”.

Altri autori come Harry Benjamin e John Money hanno suggerito che il transessualismo potrebbe anche essere dovuto ad una “fissazione di genere”, simile all’imprinting negli uccelli.

Essi sostengono che, in una qualche fase cruciale dello sviluppo, il bambino ha automaticamente seguito il genitore appartenente al sesso opposto e si è verificata l’identificazione cross-gender.

Tale teoria non è comunque stata ben articolata, pertanto sembra improbabile che un processo di imprinting biologico si verifichi nell’essere umano.

Le teorie psicoanalitiche hanno fornito invece argomentazioni riguardanti una probabile origine psicologica.

Secondo una di queste prospettive, ciò andrebbe attribuito ad una simbiosi che esiste tra il bambino e il genitore appartenente al sesso opposto.

Un’altra teoria psicodinamica postula che la disforia di genere è un disturbo psicotico generato da un grave conflitto intrapsichico.

Teorici più recenti hanno invece attinto alla teoria delle relazioni oggettuali e alla psicologia del Sé per sviluppare nuovi modelli in cui viene suggerito che il bambino affetto da disforia di genere sviluppa un’immagine del tutto positiva con la madre che si fonde con l’immagine che ha di se stesso e si scinde.

I teorici comportamentisti hanno invece applicato la teoria dell’apprendimento alla disforia di genere sostenendo che l’identità di genere deriva dal comportamento del ruolo di genere che viene influenzato da contingenze esterne.

La teoria comportamentista ipotizza che, perché in un individuo si possa manifestare una disforia di genere, devono essere rafforzati l’identità ed il comportamento cross-gender, mentre deve essere punito il comportamento secondo il sesso congruente.

A sostegno di questa ipotesi vi è il lavoro di Green descritto precedentemente, che ha scoperto, in quasi tutti i casi da lui osservati, che mano a mano che si sviluppava il comportamento femminile del bambino, la persona principale che si occupava di lui non faceva alcune tentativo di scoraggiarlo.

Tuttavia, non vi sono sostegni empirici a questa teoria per gli adulti che manifestano disforia di genere.

 

Bibliografia

  • Benjamin H., (1966), The transsexual phenomenon, New York: Julian Press
  • Blanchard R., (1985) The concept of autogynephilia and the typology of male gender dysphoria, Jorunal of Nervous and Mental Disorders, 177, 616-623
  • Bullough V., Bullough b., (1993), Cross dressing sex, and gender, Philadelphia: University of Pennsylvania Press
  • Green R., (1987), The “sissy boy syndrome” and the development of homosexuality, New Havenm CT: Yale University Press
  • Leiblum S.R., Rosen R.C., (2000)., Principles and practice of sex therapy, Guilford Press
  • Money J.M., (1994), The concept of gender identity disorder in childhood and adolescence after 39 years, Journal of Sex and Mariatl Therapy, 20, 163-177
  • Zucker K.J., Bradley S.J., (1995), Gender identity dirsorder and psychosexual problems in children and adolescents, New Yotk: Guilford Press

 

A cura della Dottoressa Giorgia Lauro

 


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