Era già notte fonda quando sono stata chiamata per un’emergenza all’Hub. Era arrivato un piccolo gruppo di profughi sudanesi, 3 uomini e una bambina di un anno. Uno dei tre sembrava stare molto male.
Appena sono arrivata i volontari che erano lì mi hanno avvertito: “Stai attenta, non parla, è traumatizzato..”. Effettivamente stava male. Faceva fatica a tenere gli occhi aperti, non parlava, sembrava sfinito, più che altro.
Mi sono seduta vicino a lui, gli ho detto che ero medico e gli ho fatto segno di venire con me, in sala medica. Mi ha seguito, l’ho visitato, poi ho chiesto ad uno dei suoi compagni di viaggio di aiutarmi nella comunicazione, visto che il paziente parlava solo la lingua del suo paese.
E’ venuto in aiuto il padre della bambina, che parlava anche inglese e francese e con lui è stato tutto più facile. Il paziente si è rassicurato, io ho capito quali erano i suoi problemi e lui ha capito come prendere le terapie. Alla fine aveva riacquistato un po’ di vivacità.