Articolo 16 - il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentato
Su Psiconline.it proseguiamo, con il commento all'art.16 (comunicazioni scientifiche e anonimato), il lavoro a cura di Catello Parmentola e di Elena Leardini che settimana dopo settimana ci introduce al Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
Articolo 16
Lo psicologo redige le comunicazioni scientifiche, ancorché indirizzate ad un pubblico di professionisti tenuti al segreto professionale, in modo da salvaguardare in ogni caso l’anonimato del destinatario della prestazione.
Molto di quanto commentato all’articolo precedente può valere anche per questo articolo.
Abbiamo infatti utilizzato l’esempio della Cartella clinica che, forzando un po’, potrebbe essere assimilata anche a una comunicazione indirizzata a professionisti tenuti al segreto (i colleghi che la condividono in una logica multidisciplinare).
E, d’altronde, già nel commento all’Articolo precedente si evocava anche la dimensione pubblicistica.
Perché i Contesti contano ma solo fino ad un certo punto: il vertice del discorso resta sempre l’elevato standard di riservatezza che lo psicologo è tenuto sempre comunque ad avere.
Cambiano i Contesti ma non si discute la riservatezza; cambiano gli articoli da commentare ma restano estensibili su tutti gli spettri le riflessioni a riguardo.
Nel caso di questo Articolo 16, i punti di specificazione sono dati dal fatto che si tratta di comunicazioni scientifiche e settoriali (ancorché indirizzate ad un pubblico di professionisti tenuti al segreto professionale). E dal fatto che si parli di salvaguardare in ogni caso l’anonimato del destinatario della prestazione.
Dovrebbe quindi trattarsi di comunicazioni pubbliche in cui vengono riportati per esempio dei casi clinici.
Comunicazioni pubbliche pare riferirsi a dimensioni di Convegno, Congresso, Master formativo, Docenza, Seminario…, ma non crediamo cambi molto nel caso della pubblicistica settoriale che pure è, senz’altro una forma di comunicazione pubblica.
Si parla di salvaguardare in ogni caso l’anonimato del destinatario della prestazione.
L’espressione destinatario della prestazione fa in prima istanza pensare ad un pregresso clinico che viene utilizzato come paradigma scientifico nell’ambito di una comunicazione pubblica.
Ma potrebbe, allo stesso modo, trattarsi del riporto degli esiti di una sperimentazione e destinatario della prestazione potrebbe indicare anche i soggetti-campione riguardati dalla ‘prestazione’ sperimentale.
Non è questo il punto focale.
Il punto focale è costituito dalla circostanza che si riportano in un altro Contesto (pubblico o, sicuramente, più pubblico) soggetti ed esperienze soggettive di un Contesto pregressamente istituito, con diversi standard di esposizione e quindi diverse misure di riservatezza e, forse con acquisizione di Consenso informato relativa non sempre a tutti i Contesti.
C’è come uno scarto determinato concettualmente dall’esposizione pubblica di un soggetto concreto, reale e individuabile, con tutte le conseguenze e i rischi del caso.
Questo scarto non consente più di vincolare lo psicologo solo ad una generica riservatezza riguardo ai contenuti della pregressa esperienza di relazione, clinica o meno.
Questo scarto impone addirittura un ulteriore Articolo del Codice Deontologico, questo che stiamo commentando, il 16, quasi esclusivamente per ricordare che va salvaguardato sempre (in ogni caso) l’anonimato del destinatario della prestazione.
Non si deve sapere chi è il soggetto in questione: non deve essere possibile in nessun modo risalire alla sua identità.
Anche perché in un contesto scientifico, il termine anagrafico in sé non ha alcuna importanza: conta la fattispecie soggettuale o situazionale indagata, il paradigma da eventualmente ricavarne.
L’Oggetto della Psicologia è il Soggetto, non quella persona fisica.
Ovviamente come si salvaguarda l’anonimato è un fatto tecnico-giuridico (le dimensioni giuridico-formali qui introdotte saranno compiutamente svolte nel commento all’articolo successivo, il 17) e non deontologico (a meno che una modalità sbagliata non convochi qualche Articolo del Codice).
Deve esserci sempre, ovviamente, la possibilità di risalire processi e procedure per verificarne la validità, fino all’accertamento dell’esistenza delle persone fisiche e della veridicità della loro partecipazione.
Questo misura la responsabilità di quello che si comunica.
Ma le verifiche di cui sopra sono molto sottese, in una logica di diversi gradi di codificazione e registrazione che non afferiscono assolutamente alla comunicazione pubblica finale.
A quel livello, salvaguardare in ogni caso l’anonimato del destinatario della prestazione, è e resta sempre assolutamente indiscutibile.
Settimana dopo settimana prosegue il nostro commento di tutti gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. L'appuntamento è per la prossima settimana con il commento all'Articolo 17. Non mancate.
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(a cura del Dottor Catello Parmentola e dell'Avvocato Elena Leardini)
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