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La mentalizzazione nel contesto dell’abuso sessuale infantile

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La mentalizzazione media la relazione tra storie di abuso infantile e tratti di personalità patologici in età adulta e modera altresì la relazione tra l’abuso e gli esiti delle relazioni familiari.

abuso sessuale e mentalizzazioneL’abuso sessuale è un fattore di rischio altamente associato alla psicopatologia infantile e in letteratura sono presenti pochi studi inerenti la funzione riflessiva o mentalizzazione infantile e materna come fattore protettivo in questo contesto.

Gli obiettivi del presente lavoro saranno infatti quelli di esplorare la relazione tra la mentalizzazione infantile e materna, misurata in termini di funzione riflessiva, e la presenza sintomi depressivi nel bambino così come difficoltà di esternalizzazione; ed esaminare se la mentalizzazione infantile media la relazione tra l’abuso sessuale infantile e la psicopatologia.

L’abuso sessuale è un fattore di rischio per lo sviluppo e l’insorgenza di una psicopatologia, infatti più del 60% di bambini abusati sessualmente presentano moderati o severi sintomi psicopatologici e più di 1/3 di questi manifesta elevati livelli di sintomi depressivi, così come difficoltà di esternalizzazione.

Considerando che il 20% di ragazze e il 5% di ragazzi con età inferiore ai 18 anni esperisce un abuso sessuale infantile, è importante identificare e comprendere i presunti processi di resilienza atti a migliorare gli interventi terapeutici.

La mentalizzazione è, a tal proposito, considerata un importante fattore del processo di resilienza.

La letteratura ha evidenziato che la mentalizzazione media la relazione tra storie di abuso infantile e tratti di personalità patologici in età adulta e modera altresì la relazione tra l’abuso e gli esiti delle relazioni familiari.

Questo suggerisce che la mentalizzazione potrebbe essere un potenziale mediatore del rischio dei sintomi depressivi e delle difficoltà di esternalizzazione nel contesto del trauma infantile, ma nessuno studio fino ad ora ha indagato nello specifico tale aspetto.

In aggiunta a questo, la mentalizzazione parentale è considerata come avente importanti implicazioni per lo sviluppo della self-regulation e della regolazione affettiva, ma il collegamento tra la mentalizzazione parentale e la psicopatologia infantile è rimasta comunque inesplorata.

Furono infatti Fonagy e colleghi, intorno agli anni ’90, i primi ad esplorare il costrutto della mentalizzazione ricorrendo a diverse prospettive teoriche, quali la teoria della mente, la cognizione sociale e la teoria dell’attaccamento.

La teoria della mente è una specifica dimensione della cognizione sociale che si riferisce alla capacità di intuire o comprendere stati mentali propri e altrui quali desideri, credenze, aspettative, intenzioni e sentimenti; assumere cioè la prospettiva dell’altro, e “leggere la mente” agli occhi dell’altro.

Fonagy et al., si sono però focalizzati specificatamente sulla mentalizzazione di sé e degli altri nel contesto delle relazioni interpersonali chiuse, operazionalizzando il costrutto del funzionamento riflessivo.

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Essi proposero un modello di sviluppo in cui la consapevolezza degli stati mentali emergerebbe nel contesto delle precoci relazioni di attaccamento, in cui il bambino impara a identificare e rappresentare mentalmente i propri sentimenti attraverso l’interesse e la partecipazione del caregiver alla propria esperienza soggettiva e attraverso lo schermo emotivo del genitore, che si concentra sulla mente e sentimenti del bambino.

In questo modello, la capacità dei genitori di immaginare l’esperienza soggettiva del loro bambino è considerata come facilitante per lo sviluppo della self-regulation e del self-control attraverso un utilizzo efficiente delle strategie attentive che regolano lo stress, così come la rappresentazione e comunicazione degli affetti.

In un recente studio, bambini con una storia di abuso sessuale infantile presentavano difficoltà nella mentalizzazione, e, in aggiunta a questo, i loro familiari presentavano una povera funzione riflessiva nei confronti dei loro bambini ed erano meno abili nel partecipare all’esperienza emozionale soggettiva del bambino.

Questo è coerente con i risultati di una scarsa consapevolezza emotiva in bambini che hanno subito un abuso sessuale, deficit nella teoria della mente e scarsa comprensione emotiva in bambini che sono stati maltrattati.

Vi è un’ulteriore evidenza che genitori maltrattanti presentano più difficoltà nel comprendere le espressioni affettive dei loro figli e non intraprendono discussioni “emotive” con loro.

Nel contesto familiare in cui ricorre l’abuso, alcuni genitori possono minare attivamente lo sviluppo dello stato mentale del bambino evitando di occuparsi del disagio presente nei loro figli.

Inoltre, da una prospettiva infantile, l’esperienza dell’abuso e il “lottare” contro le intenzioni malevoli degli altri può contribuire ad una inibizione difensiva della mentalizzazione atta a ridurre l’ansia, soprattutto se l’abusante è rappresentata/o da una delle figure di attaccamento.

Fino ad oggi, nessuno studio ha indagato la relazione tra la mentalizzazione e la depressione infantile, ma vi è un’emergente evidenza che deficit nel processo di mentalizzazione possono configurarsi come fattori di rischio per la depressione durante l’età adulta.

Per esempio, il disturbo depressivo maggiore negli adulti è associato con una minore funzione riflessiva, sia in generale che, nello specifico, rispetto ad esperienze di perdita e rifiuto.

Vi è un’ulteriore evidenza che sono presenti deficit nella teoria della mente in adulti con depressione cronica, unipolare o remittente.

Rispetto alla relazione tra funzione riflessiva e disturbi esternalizzanti, la letteratura presenta pochi studi.

Uno di questi ha esaminato tale relazione e riscontrato che la funzione riflessiva media la relazione tra una storia di abuso e comportamenti esternalizzanti negli adolescenti.

Nei bambini è stato riscontrato che le difficoltà di esternalizzazione sono associate a deficit nella teoria della mente e una mentalizzazione distorta.

In aggiunta, una scarsa mentalizzazione parentale, soprattutto da parte della madre, sembrerebbe incrementare il rischio di disturbi della condotta e disturbo oppositivo provocatorio in questi bambini.

Gli autori ipotizzano che la mentalizzazione e la capacità dei genitori nel prendere in considerazione l’esperienza soggettiva del bambino, così come i suoi bisogni psicologici di attaccamento conseguenti ad un trauma, siano di fondamentale importanza per far sì che il bambino ritrovi un senso di sicurezza e fiducia, per attenuare la risposta biologica allo stress e per ridurre l’impatto negativo dell’abuso.

Il fallimento della mentalizzazione parentale e la non disponibilità dei genitori nel fornire il giusto sostegno psicologico alle esperienze dal bambino, può contribuire a un maggiore stress nel bambino e un maggior rischio di sviluppo di psicopatologie.

Sulla base di queste evidenze, gli autori hanno selezionato 168 “diadi madre-bambino”, comprendenti 74 diadi (44 femmine, 30 maschi) in cui era presente una storia di abuso sessuale e 94 diadi di controllo (52femmine, 42 maschi) senza una storia di abuso sessuale.

I bambini avevano un’età compresa tra i 7 e i 12 anni e per la maggior parte (98%) erano Caucasici.

Le informazioni inerenti l’abuso sessuale sono state raccolte attraverso report medici nonché del servizio sanitario, così come le informazioni richieste e pervenute alla polizia. Il gruppo di controllo è stato reclutato dal servizio ospedaliero della comunità.

Tra le variabili analizzate quella che correla più fortemente con i risultati e pertanto inserita nello studio è stata l’istruzione materna.

I dati riportati dagli autori sono stati raccolti come parte di un più ampio studio longitudinale sui fattori di rischio e protezione che influenzano l’adattamento psicologico e lo sviluppo della mentalizzazione nel contesto dell’abuso sessuale infantile.

Sono stati utilizzati diversi strumenti di misura:

1) Child Reflective Functioning Scale (CR-FS): in questa intervista, composta da 13 domande, i bambini dovevano fornire degli aggettivi per descrivere se stessi e le loro relazioni di attaccamento, chiedendo altresì di fornire un esempio per illustrare le motivazioni che li spingevano ad usare quegli aggettivi rispetto ad altri. Questa procedura è stata utile a comprendere come il bambino vive la reazione del genitore e come si è sentito in funzione di questa reazione.

2) Parent Development Interview-Revised (PDI-R): è un’intervista semi-strutturata composta da 45 item, utilizzata per misurare la funzione riflessiva materna riguardo a se stessi, il bambino, la relazione genitore-bambino, e la loro relazione con altri parenti.

3) Child Depressione Inventory: è un questionario composto da 27 item e sviluppato da Kovacs, al fine di valutare la severità dei sintomi depressivi in bambini e adolescenti con età compresa tra i 7 e i 17 anni. Indaga 5 dimensioni: umore negativo, problemi interpersonali, anaffettività, anedonia e autostima negativa.

4) Child Behaviour Checklist (CDCL-Parent report): è un questionario composto da 118 item utilizzato per valutare difficoltà o disturbi internalizzanti ed esternalizzanti, come ad esempio comportamenti aggressivi e trasgressivi.

L’obiettivo dello studio era pertanto quello di esaminare le relazioni tra la mentalizzazione materna e del bambino con i sintomi depressivi del bambino e disturbi esternalizzanti, così come a esaminare se la mentalizzazione del bambino funge da mediatrice della relazione tra l’abuso sessuale e la psicopatologia.

I risultati mostrano che dall’età di 7-12 anni, la mentalizzazione dei bambini circa se stessi e le loro figura di attaccamento era inversamente correlata con i sintomi depressivi e disturbi esternalizzanti e che la mentalizzazione materna era inversamente associata con i disturbi esternalizzanti del bambino.

La mentalizzazione del bambino media parzialmente la relazione tra abuso sessuale e psicopatologia, indicando che il collegamento tra abuso sessuale e psicopatologia può essere parzialmente spiegato dall’impatto negativo dell’abuso sessuale sulla mentalizzazione del bambino.

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In aggiunta all’effetto diretto dell’abuso sessuale sulla psicopatologia, la Funzione riflessiva materna è risultata anche un predittore indipendente delle difficoltà esternalizzanti del bambino.

Il risultato inerente la mediazione parziale della mentalizzazione del bambino sulla relazione tra abuso sessuale e sintomi depressivi è in linea con i risultati delle precedenti ricerche corroborando l’associazione tra mentalizzazione e depressione in età adulta.

Un’elevata funzione riflessiva materna si è mostrata come associata ad un minor rischio, in bambini tra i 7 e i 12 anni, di manifestare o sviluppare disturbi esternalizzanti, estendendo i precedenti risultati sull’associazione tra scarsa mentalizzazione parentale e sviluppo di disturbi della condotta o disturbo oppositivo provocatorio nei bambini.

La sensibilità materna o genitoriale è infatti considerata la chiave per l’acquisizione della self-regulation nel bambino; la posizione mentalizzante dei genitori ha dimostrato altresì di essere la base per interazioni familiari più sensibili e meno negative, che a loro volta sono associate con migliori risultati di sviluppo del bambino.

La capacità familiare di scorgere le difficoltà del bambino nella sua esperienza soggettiva può aiutare a mantenere e sviluppare la self-regulation, favorendo una migliore e corretta gestione dello stress del bambino che non assumerà tratti comportamentali esternalizzanti, in quanto viene facilitata quella comunicazione che favorisce nel bambino la consapevolezza delle proprie reazioni e quindi il self-control.

L’assenza di un’associazione tra funzione riflessiva materna e sintomi depressivi infantili suggerisce che a partire dalla metà dell’infanzia, è la capacità propria del bambino di mentalizzare, in assenza di quella genitoriale, che ha determinato maggiori implicazioni per l’internalizzazione dei sintomi da parte del bambino.

Sulla base di questi risultati, gli interventi dovrebbero quindi focalizzarsi sul favorire, nel bambino, lo sviluppo della capacità di comunicare circa se stesso e le sue relazioni in termini di stati mentali, al fine di facilitare la self-regulation così come la regolazione affettiva.

In aggiunta, il miglioramento della mentalizzazione parentale può essere di particolare importanza per aiutare quei genitori a comprendere l’esperienza soggettiva dei loro bambini e andare così oltre le difficoltà esternalizzanti.

Anche se questo studio fornisce nuovi dati che suggeriscono come la funzione riflessiva del bambino e parentale possono ridurre il rischio per la sintomatologia depressiva e le difficoltà comportamentali di esternalizzazione nel contesto dell’abuso sessuale infantile, gli autori suggeriscono che la futura ricerca dovrà anche soffermarsi su altre componenti quali le difficoltà di elaborazione delle informazioni cognitive e sociali.

Lo studio ha quindi delineato che la capacità dei bambini tra i 7 e i 12 anni di pensare a stessi e gli altri in termini di affetti sottostanti e motivazioni, piuttosto che in termini semplicemente comportamentali, è associata ad una migliore self-regulation e regolazione degli affetti sia per i bambino con una storia di abuso sessuale che non.

La mentalizzazione dei bambini media parzialmente la relazione tra abuso sessuale infantile, sintomi depressivi e disturbi del comportamento esternalizzanti.

Ciò suggerisce che la mentalizzazione è quindi un obiettivo importante per l’intervento, sia per bambini in generale, ma soprattutto nel contesto dell’abuso sessuale infantile.

Inoltre, i risultati indicano che la posizione mentalizzante dei genitori può essere particolarmente preziosa per la riduzione dei comportamenti esternalizzanti dei propri figli, così come per l’insorgenza di una futura psicopatologia

 

 

Bibliografia

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Traduzione e Adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro

 


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Tags: psicopatologia Peter Fonagy depressione infantile mentalizzazione. funzione riflessiva abuso sessuale infantile disturbi esternalizzanti teoria della mente interiorizzazione dei sintomi

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