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Depressione: l'incapacità di essere felici.

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on . Postato in Depressione | Letto 10355 volte

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Se una mattina svegliandovi vi sentite a disagio, se l'idea di dare inizio alla giornata vi provoca malessere, se la prospettiva di andare in ufficio e di affrontare la routine quotidiana vi suscita un senso di nausea o di rifiuto, può darsi che stiate vivendo un sentimento di depressione.

depressione e infelicitàMa può anche darsi che siate all‘inizio di un episodio depressivo che potrebbe causarvi un considerevole fastidio.

Il modo empirico per stabilire in quale di delle due situazioni vi trovate può essere quello di chiedervi se vi piacerebbe piantare tutto per andare da qualche parte, a Parigi o alle Seychelles, oppure, più semplicemente, da qualche amico in un‘altra città.

Se la vostra risposta sarà : "Magari!", con un senso di sollievo, è probabile che il vostro sia un semplice, anche se noioso, ”Sentimento Depressivo". Ma se la risposta fosse: È inutile o: Non me ne importa niente, tanto non cambierebbe nulla, allora è probabile che siate all‘inizio di ”episodio di depressione".

Molte persone soffrono in questo modo giorno dopo giorno per tutta la vita, immerse in un grigiore permanente che nei casi peggiori può trapassare nella completa oscurità. Sono imprigionate nel ”buco nero" della depressione.

Chi soffre così sa bene che c'è qualcosa in lui che non va ma non è detto che chiami questa condizione malattia. E chi mai, in fondo, considera la semplice stanchezza, apatia, tristezza e irritazione? Malgrado tutta l'opera di divulgazione psichiatrica le malattie fisiche continuano ad essere accettate più di quelle psichiche. Ciò vale anche per la depressione, che presenta agli occhi della gente un'immagine molto peggiore in confronto alle malattie somatiche.

In una società dove giovinezza, forma fisica, salute ed efficienza occupano i posti più alti nella scala dei valori, la depressione rappresenta una grossa minaccia. Nè cambia nulla il fatto che anche persone famose e di successo come Abramo Lincon, Winston Churchill, Ernest Hemingway, Marilyn Monroe, abbiano dovuto lottare con la depressione. Ed è anche per questo motivo, per questa discriminazione, che molti depressi raccolgono tutte le loro forze per cercare di mantenere all‘esterno una apparenza di normalità.

Cercano disperatamente spiegazioni plausibili del loro stato: una volta è la cattiva stagione (la pioggia in fondo deprime anche gli altri), una volta il raffreddore, un'altra è che hanno dormito male o hanno mangiato qualcosa di guasto, oppure hanno litigato col principale. E quando poi non sanno più a che cosa appigliarsi, dichiarano di essere pessimisti per natura. Ma qualunque sia la scappatoia trovata, lo scopo è sempre lo stesso: illudersi che in fondo non sia nulla.

Grazie a questa capacità di autoinganno i casi non troppo gravi di depressione risultano invisibili al mondo esterno. Nel paziente invece si svolge una lotta ininterrotta, una lotta con se stesso per la sopravvivenza. C'è l‘insonnia o un bisogno accresciuto di sonno, irrequietezza ed irritabilità, pensieri suicidi. Alcuni aumentano di peso, altri dimagriscono a vista d‘occhio. Si perde la capacità di concentrazione, mentre scompare anche il desiderio sessuale. In molti casi a tutto questo si aggiungono dolori cronici, che a volte prendono il sopravvento tanto da occultare completamente i sintomi depressivi.

Il medico di famiglia si trova di fronte a pazienti che lamentano cefalee, disturbi digestivi, dolori gastrici o sintomi cardiaci, senza che i trattamenti consueti diano alcun risultato (cosa che non può sorprendere dato che il problema vero rimane irrisolto).

In questi casi si parla di depressione larvata. Il 90% di questi pazienti si aspetta un aiuto dalla medicina generale e comincia così un pellegrinaggio da un medico all'altro, che spesso si trascina per anni.

Su scala mondiale, secondo le stime dell‘Organizzazione Mondiale della Sanità, dal 3 al 5% della popolazione è colpito da depressione cronica, per un totale di 120-200 milioni di casi. Altri studi epidemiologici mostrano un chiaro aumento dell‘incidenza di questa malattia ma alcuni specialisti mettono in dubbio che l'aumento osservabile dell'incidenza sia da attribuire ad una crescita effettiva della malattia ed imputano il fenomeno anzitutto al miglioramento delle diagnosi, alla maggior conoscenza di questi disturbi nella popolazione generale e all'introduzione, verso la metà degli anni 50, dei farmaci antidepressivi.

Infatti, solo quando si dispone di cognizioni sufficienti e trattamenti adeguati la diagnosi diventa possibile e corretta.

C'è un'altra ragione che può spiegare l‘aumento dei casi riconosciuti di depressione.

È infatti opinione comune che questa sia diventata un ”pezzo forte" nel repertorio delle malattie mentali, tanto da indurre qualcuno a parlare di malattia epocale.

Per la sua frequenza la depressione è stata chiamata anche il ”raffreddore" della psichiatria.

Seppure il paragone non rende giustizia alla gravità di questa malattia, ci sono tuttavia dei parallelismi: come dal raffreddore anche dalla depressione nessuno può dirsi veramente al riparo. Colpisce uomini e donne, giovani e vecchi, abitanti di nazioni industrializzate e di paesi in via di sviluppo.

Vale la pena di aprire a questo punto una veloce parentesi per chiarire concretamente CHI DIVENTA DEPRESSO dividendo la popolazione in quattro grandi categorie: Sesso, Età, Stato civile e classe sociale.

Sesso : Non c‘è ricerca o rassegna da cui non risulti che sono sopratutto le donne a soffrire di depressione. Come regola empirica vale questa: su tre pazienti, due sono donne. Per questo dato di fatto è stata avanzata una grande quantità di spiegazioni ed ipotesi, fra cui spesso anche l‘idea che le donne siano più pronte a chiedere aiuto rivolgendosi ad uno specialista. Questa tesi è contraddetta da alcuni studi in cui non ci si è limitati a considerare i pazienti già in trattamento.

Allo stesso modo è solo una congettura che le donne siano più reattive allo stress o vivano un maggior numero di eventi come esperienze stressanti. D‘altra parte, sottoponendo donne e uomini ad uno stress altrettanto intenso le donne denunciano sintomi più chiari. Forse le donne ammettono i sintomi più facilmente degli uomini, che magari minimizzano il problema o lo combattono con l‘alcol.

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Altre spiegazioni puntano sul diverso regime ormonale (dopo il parto ed in menopausa le donne sono particolarmente esposte alla depressione), sulla discriminazione sociale delle donne, sui conflitti di ruolo e sulla mancanza di potere in una società dominata dai valori maschili.

Età : Le ricerche più recenti sono unanimi nel segnalare un aumento delle forme depressive nei giovani. In particolare la fascia di età compresa dai 18 ai 44 anni sembra essere più colpita che negli anni passati. Anche qui emergono differenze fra i sessi : fra le donne l‘incidenza è maggiore prima dei 35 anni mentre fra gli uomini la fascia di età più colpita è quella fra i 55 ed i 70 anni.

Stato civile : Su questo punto le ricerche disponibili presentano una graduatoria chiara ed univoca : l‘incidenza delle depressioni è minima fra gli uomini sposati, seguiti dalle donne sposate e poi, nell‘ordine, dalle nubili o vedove, dai celibi, vedovi o separati. Il gruppo più esposto è quello dele separate o divorziate.

Classe sociale : Le depressioni insorgono più spesso nelle classi sociali inferiori. L‘idea che la depressione sia una malattia ”di lusso" che interessa sopratutto i gruppi socialmente privilegiati è un grande pregiudizio.

Tornando al nostro discorso precedente possiamo affermare che chiunque può, in qualunque momento, cadere in depressione. A volte si tratta di una singola fase isolata che non si ripete più a volte invece la depressione diventa una compagna costante.

Quanto più sono numerose le persone che incorrono in stati depressivi tanto più pressante diventa la domanda sulle cause della malattia. Ma purtroppo risposte certe ed univoche in merito non è ancora possibile averne.

Negli ultimi tempi è aumentata moltissimo la conoscenza nel campo della neurofisiologia, anche grazie all‘enorme mole di ricerche che sono state condotte nel frattempo e, grazie a ciò, è possibile aiutare molti più pazienti e molto più efficacemente ma, anche se qualcuno ha creduto che questa fosse la strada maestra per arrivare ad una risposta risolutiva in tempi brevissimi, ancora una volta non è possibile affermare che esistono risposte certe ed univoche in merito.

Il celebre psichiatra e psicoanalista francese Daniel Widlöcher afferma che ”Ogni progresso del nostro sapere solleva sempre più domande nuove di quante risposte ci dia".

Anche se le certezze sono ancora scarse abbiamo nel frattempo una gran quantità di ricerche genetiche, biologiche e psicologiche che offrono approcci molto promettenti.

Generalizzando al massimo si può dire che fattori genetici e ambientali collaborano in misura diversa nello sviluppo e nel decorso delle depressioni ed inoltre dipende dalla forma di esse la preminenza di alcuni fattori piuttosto che di altri.

A seconda delle cause ipotizzate la depressione va sotto nomi diversi.

Nel DSM III, il manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali adottato dalla Associazione degli Psichiatri americani, entro la categoria generale delle ”turbe affettive" si distinguono gli episodi maniacali, gli episodi depressivi (le cosiddette forme unipolari) e la malattia bipolare con fasi maniacali e depressive. Sotto il nome di ”altre turbe affettive aspecifiche" sono rubricate la ciclotimia e la nevrosi depressiva.

La differenza tra sentimento depressivo ed episodio depressivo di cui abbiamo parlato all‘inizio, corrisponde, in un certo senso, a quella che, nei manuali di psichiatria e di psicologia clinica, distingue la ”depressione esogena" dalla ”depressione endogena".

Le depressioni endogene sono le più gravi ed hanno presumibilmente origine somatica mentre le depressioni psicogene, dette anche reattive o esogene, sono condizionate dall‘ambiente, cioè scatenate sopratutto da esperienze stressanti.

Quindi le cause della depressione reattiva vanno ricercate all‘esterno, presumibilmente in un eccesso di stimolazioni sgradevoli o in un senso di stanchezza nei confronti della pressione esercitata dagli eventi ambientali.

La soluzione, in questo caso, sarebbe nel trovare il modo di rallentare la pressione stimolatoria o, meglio ancora, nel modificarla agendo sull‘ambiente. Si potrebbe tentare di farcela da soli oppure sarebbe preferibile ricorrere all‘ausilio di uno psicoterapeuta esperto che sarebbe certamente di aiuto.

La depressione endogena invece, come detto prima, nasce dentro di noi e l‘ambiente non c‘entra quasi per nulla. È per qualcosa che ci è capitato e che ha mutato il nostro modo di sentire o di essere che l‘idea di sottrarsi alla stimolazione ambientale non è di alcun conforto: il male è dentro e dovunque si vada lo si porta dietro.

Esistono almeno due modalità per affrontare il problema della depressione, una interpretativa, l‘altra esplicativa.

La prima, quella interpretativa, considera la depressione come un sentimento costituito da sensazioni spiacevoli associate ad immagini. Si tratterebbe di uno stato d‘animo, di un modo di sentire che rivela l‘esistenza di un conflitto emotivo. Non è la depressione che va curata ma il conflitto emotivo che la genera, affermano i sostenitori di questo modo di vedere.

La seconda, quella esplicativa, ne pone l‘origine in uno squilibrio metabolico e nell‘alterazione biochimica cerebrale. Secondo questo diverso modo di intendere sia la depressione sia le altre turbe mentali dipendono dall‘alterazione dell‘equilibrio chimico che produrrebbe rappresentazioni mentali e costruzioni ideative anomale.

Esaminiamo, anche se rapidamente, entrambe le ipotesi,per poi cercare di concludere il nostro discorso con alcune indicazioni terapeutiche.

L‘ipotesi psicologica

Gli assertori della depressione come sentimento sostengono che sin dalla nascita ciascun individuo è preda di sensazioni, sia piacevoli che spiacevoli, alle quali si associano idee, cioè rappresentazioni di eventi riguardanti le sensazioni concrete, dando così luogo al sentimento. Il sentimento è quindi costituito da una sensazione (piacevole o spiacevole) associata ad una idea.

L‘Io, cioè la parte cosciente di ciascuno di noi, sempre intento a cercare di soddisfare i desideri di gratificazione può talvolta trovarsi nella condizione in cui un desiderio di gratificazione urta contro l‘idea ad esso associata : ad esempio, il desiderio di compiere una certa azione evoca l‘idea del rimprovero o della punizione che ne conseguirebbe.

Nasce, in questo caso, un conflitto emotivo tra il desiderio di commettere quell‘azione e la paura delle conseguenze: spetta all‘Io il compito di superare lo stato conflittuale con un accordo (la cosidetta ”formazione di compromesso") che consenta la gratificazione con il minimo di sensazione spiacevole.

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Nell‘esempio precedente la formazione di compromesso può concretizzarsi nella rinuncia a commettere l‘azione (gratificazione incentrata sull‘attesa di una lode-ricompensa), oppure nella decisione di commettere un‘azione diversa, che sia in qualche modo sostitutiva di quella pericolosa (come picchiare una bambola anzichè l‘odiato-amato fratellino).

Secondo questa teoria i sentimenti, non presenti alla nascita, si formano nei primi anni di vita e si affinano con la maturazione e con l‘esperienza. Durante l‘infanzia tre sono le cose maggiormente temute dai bambini: la perdita dell‘oggetto (cioè i genitori), la perdita dell‘amore (dei genitori) e la castrazione.

Queste ”calamità naturali", vere e proprie catastrofi emotive, minacciano e guidano lo sviluppo del bambino e la paura che possano accadergli ne condiziona la maturazione e la crescita psichica.

L‘idea che la gratificazione di un derivato pulsionale possa provocare una delle calamità naturali, come le abbiamo chiamate, può dar luogo sia al sentimento d‘angoscia, di cui ha parlato la settimana scorsa la Dott.ssa Serafini, che al sentimento depressivo: l‘unica differenza fra le due forme di sentimento sta nella collocazione dell‘evento.

Dalla paura che la gratificazione possa causare una delle calamità naturali nasce il senso di angoscia, dalla paura che l‘abbia già provocata nasce il sentimento depressivo.

Se l‘angoscia ipoteca il futuro con la paura che qualcosa di terribile possa accadere come conseguenza di un determinato evento (agire o non agire, essere o non essere), il sentimento depressivo grava sul presente come una colpa irrimediabile che rende vano ogni tentativo di redenzione, cui pure l‘Io si dedica con accanimento.

L‘individuo ansioso e l‘individuo depresso temono dunque le stesse calamità ma mentre al primo la paura di quel che potrebbe accadere impedisce le scelte, la paura di aver già sbagliato irrimediabilmente costringe il secondo a mettere in atto azioni propiziatorie.

Così, un individuo che si comporta con acquiescenza facendo sempre ciò che i genitori, la madre sopratutto, desiderano che faccia, studiando, frequentando solo le ragazze che trovano l‘approvazione materna, iscrivendosi ad associazioni studentesche ”giuste", scegliendo l‘abbigliamento corretto e così via, può celare un sentimento depressivo, dovuto alla paura di aver perso l‘amore (dei genitori o della madre) e al desiderio di riconquistarlo con comportamenti tesi a richiamare l‘attenzione e l‘approvazione genitoriale.

Secondo questa corrente di pensiero la psicoterapia, in particolare quella ad orientamento analitico, è l‘unica via possibile per togliere queste persone dall‘intollerabile situazione in cui si sono cacciate e che, se non corretta in tempo, può condurre ad un improvviso ”rovesciamento di personalità": in tal caso l‘individuo si sente spinto a fare tutto l‘opposto di quel che finora ha fatto per soddisfare l‘inconfessabile desiderio di punire una madre che si ostina a non accorgersi del suo amore.

La modalità con cui viene affrontato tutto il problema della depressione è quindi interpretativo: non ci si chiede che cosa abbia provocato quel particolare comportamento (o stile di vita) ma quale ne sia la finalità, lo scopo. La modalità interpretativa insomma, non cerca una causa ai fenomeni ma la loro ragione, il perchè essi avvengono.

L'ipotesi organicistica

L‘altra ipotesi avanzata parte dal presupposto che non solo sia possibile ma anche determinante scoprire che cosa provochi quello stato della mente cui viene dato il nome di depressione. In particolare ci si riferisce alle depressioni cosidette endogene e poichè in queste forme non si riesce ad individuare nè uno stato patologico soggiacente, nè un‘esperienza scatenante si suppone da tempo l‘intervento di un fattore ereditario.

Uno spunto in questo senso è offerto dalle ricerche che dimostrano come il rischio di depressione sia maggiore qaundo la malattia ha già colpito i genitori: con un genitore depresso la possibilità di esserlo a propria volta è del 10-15%, mentre se i genitori sono entrambi depressi questa possibilità sale al 30%.

Negli ultimi tempi gli studi in questo campo hanno fatto notevoli passi avanti confermando quello che finora erano soltanto ipotesi: nella depressione endogena bipolare, dove si alternano cioè momenti di depressione profonda a momenti di maniacalità, si è potuta dimostrare una causa genetica precisa.

Dovrei citare questo punto una ricerca condotta negli Stati Uniti, con la popolazione degli AMISH, un gruppo religioso che da secoli vive in quasi totale isolamento in una regione della Pennsylvania e che costituisce un oggetto di studio ideale per la genetica poichè tutti i membri del gruppo possono vantare, evitando matrimoni con altre popolazioni, una discendenza genetica diretta dal gruppo di 20-30 coppie che fondarono la colonia all‘inizio del XVIII secolo.

Proprio in questa popolazione si è potuto isolare un difetto del cromosoma 11che sembra essere responsabile della malattia.

Ma questo, vale la pena sottolinearlo di nuovo, vale solo per la depressione bipolare o maniaco-depressiva che è, fra l‘altro, una delle forme di depressione più rare.

Rimane quindi l‘elevato numero delle altre forme depressive la cui insorgenza non ha trovato ancora una spiegazione univoca.

L‘ipotesi organicistica presuppone per le depressioni endogene, e secondo alcuni autori anche per quelle psicogene, una carenza o squilibrio dei neurotrasmettitori noradrenalina e/o serotonina.

L‘origine del malessere mentale, sia che si tratti di depressione, di ansia o di psicosi maniacale viene indicata in una alterazione dell‘equilibro metabolico cerebrale. Questa corrente di pensiero parte dal presupposto che la mente sia continuamente intenta ad interpretare i messaggi provenienti dal cervello, a trasformarli in rappresentazioni e ad ordinarle in sequenze di senso compiuto.

La mente interprete del cervello è l‘idea centrale della teoria neuropsicologica.Il nostro sistema nervoso consiste in una rete sterminata di cellule collegate fra loro: i neuroni. Gli impulsi nervosi si trasmettono da un neurone all‘altro attraverso uno spazio vuoto chiamato sinapsi. Perchè l‘informazione possa trasmettersi al neurone successivo, ogni neurone accumula all‘uscita - la pre-sinapsi - una sostanza chimica incaricata di farla passare.L‘impulso nervoso viene così ricevuto dal neurone post-sinaptico vicino.

Nei depressi si suppone che sia disturbata la sensibilità dei recettori post-sinaptici, che non reagiscono adeguatamente agli impulsi nervosi.

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Per esempio si è verificato che nel liquido cerebrospinale dei depressi la concentrazione del principale metabolita della serotonina, l‘acido 5-idrossindolacetico (5-HIAA), è molto più bassa del normale, così come è stato dimostrato che il livello della noradrenalina, un‘altro neurotrasmettitore, aumenta durante le fasi maniacali e si abbassa durante le fasi depressive.Il corretto funzionamento del cervello è affidato alla depolarizzazione o iperpolarizzazione dei neuroni operata dai neurotrasmettitori: qualunque elemento in grado di turbare la produzione, neutralizzazione, ricombinazione e rimessa in circolo dei neurotrasmettitori interferisce sul corretto funzionamento del cervello, provocando alterazioni i cui segnali obbligano la mente a produrre rappresentazioni e associazioni che ne diano ragione.

L‘assunzione di una tazzina di caffè, ad esempio, immette nel flusso ematico una quantità di caffeina, sostanza chimica stimolante, il cui effetto è l‘alterazione dell‘equilibrio chimico cerebrale, che si traduce, a livello mentale, in un‘accellerazione delle immagini mentali. Tutto bene, se non si bada agli effetti collaterali, che vanno nel senso di un eccesso di stimolazione cardiaca e di una progressiva assuefazione: alla fine, senza caffè, non si riesce ad avere idee nuove, ma troppi caffè fanno male al cuore.

Questo paradigma è alla base di alcune delle più accreditate teorie sulle cause dei disturbi mentali. La psicofarmacologia e la biologia molecolare sono oggi molto avanti nello studio delle relazioni fra neurotrasmettitori e malattia mentale e degli effetti che sostanze che imitano i neurotrasmettitori possono produrre, a livello mentale e a livello comportamentale. Per la depressione è stato sperimentato che farmaci in grado di aumentare i livelli delle due ammine biogene presenti nel cervello e di cui abbiamo parlato pocanzi, la serotonina e la noradrenalina, agiscono abbastanza rapidamente sull‘umore dei soggetti trattati, facendo scomparire gli effetti più vistosi della malattia. In un paio di settimane il paziente ritorna ad una vita sociale quasi normale: ricompaiono la capacità di relazione, il desiderio sessuale, l‘interesse per la vita, tutte cose che se non sono la felicità rendono certo più gradevole l‘esistenza.

Questo quadro così idilliaco però appare essere eccessivamente ottimista. Infatti se vengono somministrate dosi adeguate di psicofarmaci antidepressivi ad un paziente depresso, la serotonina e la noradrenalina cerebrali tornano istantaneamente a livelli ottimali mentre è sempre necessario che passino dalle due alle quattro settimane perchè il paziente manifesti accettabili sintomi di miglioramento della sua patologia a livello mentale e comportamentale.

Secondo la teoria organicista ciò avverrebbe poichè la mente ha bisogno di riorganizzarsi, rielaborare le nuove informazioni in arrivo poichè dopo essersi abituati a programmare la propria esistenza secondo un sistema di rappresentazioni e di idee non è possibile liberarsene da un momento all‘altro, pena il crollo completo di ogni capacità di autogestione e quindi pena la totale insanità mentale.

Questo ci riporta al problema cardine della malattia depressiva e cioè la TERAPIA.

Quale tipo di intervento è efficace per eliminare o perlomeno per rendere accettabile e sopportabile una così pesante problematica? Quale, nell‘interesse del paziente, è la modalità di approccio più corretta?

Come abbiamo visto le due scuole di pensiero partono da presupposti diversi ed apparentemente inconciliabili ed ognuna porta a proprio vantaggio una serie di risultati positivi ottenuti con l‘applicazione della metodica derivante dalla propria teoria, e una serie di risultati negativi derivati dall‘applicazione dell‘altro tipo di terapia.

Ma, al di fuori delle diatribe di scuola, peraltro molto importanti per comprendere i meccanismi che sottendono la patologia depressiva, il punto focale della situazione è certamente il paziente e la sua necessità di vita, il suo bisogno di trovare risposte concrete e durature nei confronti di un problema che, quando è presente, diviene particolarmente invalidante e quindi impedisce di chiedere ed ottenere soddisfazione da se stessi e dalla vita.

Ancora una volta, come nella maggior parte delle cose, la concretezza terapeutica si pone nel mezzo. Il paziente depresso, bisognoso di aiuto, non può assolutamente fare a meno di nessuno dei due tipi di terapie prospettate poichè se non è controllato farmacologicamente, perlomeno nella fase iniziale del suo star male, non è spesso neppure in grado di iniziare un trattamento psicoterapeutico che risulta fondamentale per produrre una comprensione dei propri meccanismi di pensiero, una capacità di controllo di essi e quindi l‘uscita dalla patologia depressiva.

Quindi partendo dall‘accettazione che nell‘insorgere della depressione interagiscono cause biochimiche e psicologiche è ovvio che si cerchi di affrontare entrambi i tipi di fattori patogeni con la terapia che meglio si presta all‘uno e all‘altro.

Gli psichiatri e gli psicoterapeuti più pragmatici hanno da tempo imboccato questa strada, combinando, ognuno nel rispetto delle proprie competenze professionali, gli antidepressivi con la psicoterapia, spesso con ottimi risultati. Secondo le varie forme di depressione cambia sopratutto il punto focale di intervento ma non si ritiene più che un metodo solo sia in grado di risolvere da solo il problema.

Gli specialisti, per esempio, sono concordi nell‘affermare che nelle depressioni endogene debba avere la priorità il trattamento farmacologico, da integrare in un secondo momento con misure psicoterapeutiche mentre nelle depressioni psicogene il punto focale deve essere la psicoterapia integrata con la somministrazione di antidepressivi.

Utilizzando uno schema tratto dal libro ”Masked depression" di Paul Kielholz possiamo dire che sia la terapia farmacologica antidepressiva che la psicoterapia vanno utilizzate in tutte le forme di depressione ma per la DEPRESSIONE REATTIVA, la DEPRESSIONE NEVROTICA e la DEPRESSIONE DA cosidetto ESAURIMENTO o STRESS la forma principale di intervento è la psicoterapia a cui si aggiunge un trattamento farmacologico con antidepressivimentre per la DEPRESSIONE ENDOGENA e la DEPRESSIONE SENILE il trattamento di elezione è quello farmacologico a cui viene aggiunta una psicoterapia di sostegno mentre, infine, per la DEPRESSIONE SINTOMATICA e la DEPRESSIONE ORGANICA il trattamento di elezione deve essere quello internistico a cui si associano una terapia antidepressiva ed una psicoterapia di sostegno.

Il trattamento ideale però non è stato ancora trovato , neppure con questo approccio combinato, poichè molti pazienti (ed anche una parte dei medici) rifiutano gli antidepressivi per i loro effetti collaterali mentre molti altri rifiutano la psicoterapia per la sua implicazione di conoscenza profonda di se stessi e per i tempi lunghi di intervento. A volte, anche in quei casi dove è comunque possibile intervenire efficacemente sia con i farmaci che con la psicoterapia il risultato è deludente. Infatti si stima che il 15% dei pazienti depressi che si sottopongono a terapia, quand‘anche combinata, non ne trovano beneficio e nonostante una profonda alleviazione dei sintomi, comunque tendono a mantenere la loro patologia depressiva.

Ma anche se nella ricerca sulla depressione non si è ancora trovato l‘uovo di Colombo non c‘è alcuna ragione per i pazienti di rinunciare alla speranza. I molti volti della depressione rendono sì difficile una diagnosi esatta ma certo non impossibile. Un primo passo per uscire dal tunnel può essere in molti casi già riconoscere che la depressione non è priva di senso. Spesso si tratta di una reazione comprensibilissima e normale ad esperienze di vita molto pesanti.

La depressione inchioda in una posizione di scacco matto: quando una persona non ha più la forza per lottare la costringe a fermarsi. È fondamentale reagire, chiedere aiuto a chi possiede gli strumenti necessari per intervenire: innanzitutto il medico di famiglia e poi lo specialista sia esso psichiatra o psicologo-psicoterapeuta chiedendo un intervento che non sia limitato ai farmaci o alle sedute di psicoterapia ma che colpisca combinatamente ed efficacemente la patologia in atto.

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Gli specialisti più capaci, interessati non solo alle teorie ma principalmente alla salute del paziente, non hanno nessuan difficoltà a lavorare in un clima di collaborazione, nel rispetto degli specifici campi e degli specifici ruoli, per aiutare il paziente ad uscire dalla sua malattia. Se capita di incontrare specialisti che pretondono di fare tutto da soli, o con la farmacoterapia o con la psicoterapia o addirittura utilizzando personalmente sia l‘uno che l‘altro metodo, forse ci si trova di fronte a professionisti che non hanno ben compreso come la depressione sia un problema serio per il paziente e che richiede interventi mirati e collegati e non approssimazione e pressappochismo.

Lo ripetiamo: la depressione inchioda in una posizione di scacco matto e costringe a fermarsi.

Il paziente che si lascia liquidare con qualche sedativo o buone parole e consigli amichevoli, che preferisce nascondersi dietro i suoi sintomi somatici, non riconosce l‘occasione che c‘è in questo arresto.

Chi invece intende la depressione come una crisi salutare e utilizza al meglio quello che ormai sappiamo di questa malattia, riuscirà a trovare la strada per uscirne e tornare alla vita.

 

Dott. Luigi Di Giuseppe - Psicologo, Psicoterapeuta - Francavilla al Mare (CH)

 


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Tags: depressione tristezza infelicità malinconia

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