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I Sami e le fiabe. Fantasia come terapia

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Le fiabe hanno sempre rappresentato un polo di attrazione e d’interesse vivo e costante per pedagogisti e psicologi dell’età evolutiva. I numerosi autori che hanno analizzato le più note, si sono resi conto che in esse sono adombrate tipiche problematiche infantili

I Sami e le fiabe Fantasia come terapiale mura delle case sono colorate, i tetti sembrano avere per tegole confetti dolci e bianchi, l’aria è tersa e trasparente, la neve profuma di zucchero.

E’ il tempo dell’oscurità : la notte invade il giorno , il cielo è uno straccio bagnato ora blu scuro , ora grigio; i villaggi sono piantati su un mare che si insinua nella terra come le radici di un vecchio albero secolare: tagli d’acqua di un cobalto plumbeo che lacerano il suolo per chilometri; poi, oltre…oltre il piano innevato, abbaglianti distese solcate da branchi di renne e di alci in cammino, alberi di un bianco lunare , foreste d’argento, casine e chiese lignee , illuminate ,nella lunga notte polare, da fiochi bagliori, natura addormentata dal gelo, ma risvegliata all’improvviso all’esplosione di variopinte frontiere di luci che danzano tra i colori e si rincorrono nell’immensità del cielo.

E’ la terra magica dei Sami ed io sono alle porte di un regno di fiaba…

Ed è questo profumo di favola che mi riporta con il pensiero alla mia esperienza narrativa e mi induce alla riflessione, con tutta umiltà, sulla funzione terapeutica della fantasia.

Le fiabe hanno sempre rappresentato un polo di attrazione e d’interesse vivo e costante per pedagogisti e psicologi dell’età evolutiva. I numerosi autori che hanno analizzato le più note, si sono resi conto che in esse sono adombrate tipiche problematiche infantili: la gelosia tra fratelli, il bisogno di essere amati, l’angoscia di separazione, la paura del buio e dell’ignoto, le ombre della strega e dell’orco…

Il bambino evidentemente proietta nella situazione fiabesca i propri conflitti, i desideri , le aspirazioni più o meno coscienti.

Bruno Bettelheim le considera un prezioso materiale fantastico e i personaggi che albergano all’interno di esse, sono figure archetipe che incarnano il mondo del bambino. Per questo Autore, esse sviluppano la creatività e danno spazio al gioco semantico; egli, inoltre, sottolinea “che la fiaba fornisce al bambino ciò di cui ha maggiormente bisogno: essa inizia esattamente dove il bambino si trova dal punto di vista emotivo, gli mostra dove deve andare, e come deve procedere” (Bettelheim: Il mondo incantato, Feltrinelli , Milano 1981 pag.120.)

La fiaba, per sua natura, semplifica le situazioni, i personaggi non sono ambivalenti, ma ben definiti in buoni o cattivi: le semplificazioni e le polarizzazioni permettono per ciò al bambino di cogliere i problemi, di comprendere le differenze tra due aspetti opposti, personificando il bene e il male in determinate figure, rendendo chiaro e differenziato ciò che nella realtà è spesso confuso.

Ma la fiaba raggiunge questo scopo per via indiretta “sotto forma di materiale fantastico da cui il bambino può attingere quanto gli sembra meglio, e mediante immagini che gli facilitano la comprensione di quanto è essenziale che capisca.” (Bettelheim: Il mondo incantato, Feltrinelli Milano 1981 pag.120) E tutto questo perché le fiabe si esprimono con il linguaggio della fantasia che è lo stesso del bambino.

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In accordo con le teorie di questo Autore che a fondo ha studiato le dinamiche delle fiabe, la fantasia è da ritenersi di importanza fondamentale, anzi, la psicanalisi ha attribuito ad essa un valore dinamico sempre più rilevante nella vita di una persona.

Fantasia che non è sinonimo di immaginazione, cioè qualcosa che si esperimenta nelle sue costruzioni immaginifiche, ma è la base funzionale che sta a monte della capacità rappresentativa, è energia psichica. “La fantasia è la prima forma di elaborazione delle energie, quasi un primo filtro tra le energie dirompenti dell’impulso e l’azione” (Ancona T. Scarpellini C.: Favole, Formichiere Editore Milano 1977, pag.11)

Impulso→ fantasia→ immaginazione→ pensiero→ azione

Ancona e Scalpellini sostengono, inoltre, che l’immaginazione e il pensiero sono come un primo scambio nella rete delle funzioni mentali ed emozionali (Favole, pag. 11, Formichiere Milano, 1977)

A seconda di un vissuto fantastico la realtà, per il bimbo, è considerata buona o cattiva, valutazione non razionale e non realistica, ma psichica –impulsiva.

Ovviamente il bambino (nei primi anni) ha, nel soddisfare i suoi bisogni, assai poche informazioni e scarse abilità di azione. Ne consegue che il bisogno (e per ciò l’impulso) è sentito su un livello emotivo – fantastico, il quale prevale su quello esplicativo e di azione. Il bisogno, in altri termini, viene soddisfatto fantasticamente.

Si intuisce perciò la propensione del bimbo, quanto più è piccolo, a vivere su un livello emozionale più che informativo – attivo; o meglio l’area delle informazioni e dell’agire è occupata dall’emozione e dalla fantasia, ossia da dinamiche di “pensiero magico”.

In assonanza con l’evoluzione della vita psichica, l’obiettivo di raccontare le favole non è solo quello di dare una soluzione emotiva – fantastica ai vari problemi, ma anche servirsi delle problematiche emozionali (l’angoscia, la paura, le valutazioni primitive del bambino, ecc..) per offrire soluzioni che concordino con un clima di fiducia , apertura , autonomia, realismo , valorizzazione .

Rispetto all’età adulta, queste emozioni e fantasie risultano particolarmente vive nei primi anni di vita quando, a causa dei meccanismi proiettivi utilizzati nella percezione e a causa del pensiero magico, tutto quello che è realizzato in fantasia si verifica “magicamente” anche nella realtà; inoltre, connessa al pensiero magico è anche la paura di una punizione da parte degli adulti.

Alla luce di quanto sopra detto, è opportuno costruire la narrazione fiabesca su questo modo tipico di funzionare del pensiero infantile e “suggerire, la soluzione atta ad alleviare l’ansia del bambino, o la valenza restitutiva che il pensiero magico (secondo il bambino) possiede o le caratteristiche fantastiche dello stesso, in un clima positivo di aspetti “buoni”.” (Pag.16 Ancona T. Scarpellini C.: Favole, Formichiere Editore Milano 1977)

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Coinvolto nel pensiero magico è spesso il Super Io, ossia il funzionamento della coscienza morale infantile; poiché il bambino, a motivo del suo Super Io, è realmente convinto di meritare severissime sanzioni, è possibile nelle fiabe sottolineare fantasiosamente il non realismo del presupposto ansiogeno e il carattere inibente di tale morale fantastica, alleviando così i sensi di colpa e gli stati d’ansia.

Nell’evoluzione affettiva una delle tappe fondamentali riguarda il problema del complesso edipico, anche in questo caso le fiabe possono suggerire soluzioni che lasciano intravvedere al bambino il mutamento del futuro oggetto d’amore; ma molte altre problematiche possono essere riproposte con una risoluzione “positiva” e quindi arginare il senso di angoscia e di impotenza come la gelosia tra fratelli, il problema dell’autonomia contrapposta alla dipendenza, il desiderio più o meno inconscio di rimanere bambini, il narcisismo in quanto causa di frustrazione, il timore che deriva dai mutamenti d’umore dei genitori … e altre difficoltà che si riscontrano spesso nella esperienza psicoterapica e psicodiagnostica.

Adottando il linguaggio fantastico più gradevole e più adeguato al bambino, evitando i discorsi pedagogici talvolta ansiogeni e generatori di sensi di colpa, utilizzando, modificando e creando fiabe che propongono soluzioni e conclusioni più adeguate di quelle che il bambino potrebbe trovare, si attua una sorta “psicologia preventiva” che si basa su azioni percepite dal bambino su un piano di fantasia e attive sul piano dell’emotività profonda; in altri termini, un modesto inizio di “intervento precauzionale, protettivo” che agisca alle radici della situazione problematica e ne impedisca una possibile evoluzione in senso patologico. E questo perché “gli aspetti anormali sono incubati, almeno per qualche tempo, in un comportamento ritenuto ancora normale” (Ancona, Scarpellini: Favole Formichiere Editore Milano 1977, pag. 7)

Fiaba e mito s’incontrano, per la psicanalista Clarissa Pinkola Estés e hanno molti e diversi usi: servono per insegnare, correggere errori, alleviare, accompagnare una trasformazione, medicare ferite, ricreare la memoria: fiabe che possono regalare all’adulto il vero significato di “ciò che conta nella vita" (pag. 8 L’incanto di una storia, Frassinelli Editore 1997 )

Il momento terapeutica e preventivo delle fiabe continua, infatti, ad esistere anche in età matura, quasi un filo rosso che lega le narrazioni dell’infanzia con lo schema mentale logico e razionale dell’età adulta per ricreare , per intuire , per immaginare , per scoprire , per vedere nuove realtà.

Le storie dell’anziano zio ungherese si trasformano in fiabe meravigliose, capaci di trasmettere serenità e forza alla bambina Clarissa Pinkola Estés e nella maturità albergano in lei come “conoscenza e certezza assoluta che la vita si ripete, si rinnova non importa per quante volte pugnalata, spogliata fino all’osso, scagliata a terra, ferita, ridicolizzata, ignorata, disprezzata, villipesa…” ( Clarissa Pinkola Estés : Il giardiniere dell’anima, Frassinelli , 1996 pag. 93-94.)

Esse si intrecciano così con i ricordi dell’infanzia e forniscono nella rielaborazione dell’adulto, frammenti di verità sui temi fondamentali dell’esistenza umana come la perdita, la rinascita e il superamento del dolore uniti alla granitica fiducia nella forza straordinaria della vita.

Una volta – disse lo Zio - tanto tanto tempo fa, all’epoca in cui gli animali benedetti ancora sapevano parlare…” (Clarissa Pinkola Estés: Il giardiniere dell’anima, Frassinelli, 1996 pag. 52. )

Inizia così una narrazione in cui l’elemento fantastico diventa terapeutico e aiuta a capire che “la terra che pareva incolta stava soltanto riposando – riposava e attendeva che il seme benedetto arrivasse portato dal vento…” (Clarissa Pinkola Estés: Il giardiniere dell’anima, Frassinelli, 1996 pag. 95.)

Nelle fiabe sono incastonate le idee più infinitamente sagge che nel corso dei secoli si sono rifiutate di farsi potare, logorare o annientare. Le idee più imperiture e sagge sono raccolte in quelle reti intessute d’argento che chiamiamo storie” (Clarissa Pinkola Estés: I desideri dell’anima, Frassinelli Editore, 2014 pag.2)

Come nelle fiabe anche nella vita, allora, c’è sempre un’altra possibilità e ancora un’altra…altre occasioni per rimediare, per risolvere, per rinascere, “per carpire il segreto di come procurarci lo scialle magico, indossare il mantello dell’invisibilità, farci e conservarci amici che ci soccorrano” Clarissa Pinkola Estés: I desideri dell’anima Frassinelli 2014 pag.34)

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Le fiabe sono, pertanto, verità nascoste dietro immagini note a noi fin dall’infanzia, ed è ciò che Italo Calvino ha compreso alla fine del suo lungo viaggio tra quelle italiane: “io credo questo: le fiabe sono vere” (Italo Calvino: Fiabe italiane, Oscar Mondadori, 1979, pag.15), perché esse sono una forza di realtà che esplode interamente in fantasia (Italo Calvino: Fiabe italiane, Oscar Mondadori, 1979, pag. 58).

Le fiabe, allora, sono creature viventi capaci di creare relazioni di cura per il bambino come per l’adulto, atte a offrire un riparo psichico, a rimarginare le ferite…fiabe che fanno bene e che possono cambiare la vita.

ora, nella terra dei Sami, il giorno invade la notte. Riappaiono laghi di cristallo, vallate di velluto, foreste di smeraldo, villaggi che non conoscono rumore, solo il bisbiglio del vento permeato dal canto degli uccelli, aguzze cime rocciose illuminate dal sole, prati tempestati di fiori e bacche, animali inebriati dal profumo della terra: teatro e magia di brividi poetici , struggente spettacolo e antiche vertigini di fronte alla sublime bellezza del mondo.

 

Articolo a cura della Dottoressa Orsolina Stramare
laureata in Pedagogia e in Psicologia
Ordine degli psicologi Veneto n.1518

 

 

 


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Tags: psicoterapia fantasia favola fiabe riparo psichico

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