Ricordi, sogni, riflessioni (Jung 1961) - II parte
[…]“I bambini reagiscono molto meno a ciò che dicono gli adulti che non agli imponderabili fattori dell’atmosfera che li circonda. Il bambino inconsciamente si adatta ad essi, cioè sorgono in lui correlazioni compensatrici” […](p. 124)
[…]“Sebbene noi esseri umani abbiamo una vita personale, tuttavia siamo in gran parte rappresentanti, vittime e promotori di uno spirito collettivo i cui anni si contano a secoli” […] (p. 125)
[…]“Che cos’erano gli uomini, alla fine? ‘Nascono muti e ciechi come cuccioli, pensavo ‘ e come tutte le creature di Dio sono dotati di debolissima luce, insufficiente a illuminare l’oscurità nella quale si muovono a tentoni. Ero parimenti certo che nessuno dei teologi di mia conoscenza avesse mai visto ‘la luce che splende nelle tenebre’ coi propri occhi, perché se l’avessero vista non avrebbero mai potuto insegnare una ‘religione teologica’; di una religione teologica non sapevo che fare; non corrispondeva alla mia esperienza di Dio. Invitava a credere senza speranza di conoscere […] Il peccato fondamentale della fede, secondo me, stava nel fatto che essa anticipava l’esperienza. Come facevano i teologi a sapere che Dio aveva ordinato alcune cose e ne aveva ‘permesso’ delle altre, e gli psichiatri a sapere che la materia possiede le qualità dello spirito umano?” […] (p. 127-128)
[…]“Il mio primo libro fu dedicato alla psicologia della dementia praecox (schizofrenia), e in esso la mia personalità, con i suoi pregiudizi, così rispondeva alla “malattia della personalità”: la psichiatria, nel senso più ampio, è un dialogo tra la psiche ammalata e la psiche del medico, che si suppone sia “normale”; è una spiegazione tra la personalità ammalata e quella del terapeuta, per principio anch’essa soggettiva. Il mio scopo era di mostrare che idee deliranti e allucinazioni non erano proprio dei sintomi specifici di malattie mentali, ma avevano anche un significato umano” […](p. 148)
[…]“I miei interessi e le ricerche erano dominati dallo scottante problema: che accade realmente nei malati di mente? Era qualcosa che allora non riuscivo ancora a capire, e nessuno dei miei colleghi si era mai tormentato circa tale problema. Gli insegnanti di psichiatria si interessavano non di quel che il paziente potesse avere da dire, ma piuttosto della diagnosi, dell’analisi dei sintomi, di statistiche. Il paziente era catalogato, bollato con una diagnosi, e, per lo più, la faccenda finiva così. “[…] (p. 152)
[…]“In molti casi psichiatrici, il paziente ha una storia, che non è stata raccontata a nessuno, e che di solito nessuno conosce. Secondo me, la terapia comincia veramente solo dopo aver indagato su questa storia personale. È il segreto del paziente, la causa della sua rovina, che rappresenta però anche la chiave del suo trattamento. Il medico deve solo sapere come apprenderla. Egli deve porre quelle domande che colpiscono tutto l’uomo, e non solo i suoi sintomi”[…](p. 155)
Jung C. G. (1961), Ricordi, sogni e riflessioni, a cura di A. Jaffè, tr. It. Rizzoli, Milano, 1978.
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