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Gli aspetti psicologici del dolore

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Molte persone riferiscono di avere dolore in assenza di danni ai tessuti o a cause fisiopatologiche e di solito questo accade per motivi psicologici

dolore.psicologiaL’obiettivo del presente articolo è quello di delineare gli aspetti psicologici inerenti il dolore, le metodologie psicologiche e le tecniche di trattamento del dolore.

L’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (International Association for the Study of Pain, IASP) definisce il dolore come “una sgradevole esperienza sensoriale ed emotiva associata ad un danno reale o potenziale dei tessuti, e descritta in funzione di tale danno”.

Rispetto a tale definizione, gli autori ci tengono a chiarire alcuni punti; innanzitutto che il dolore è sempre qualcosa di soggettivo e che, trattandosi di un danno reale o potenziale dei tessuti, è senza dubbio una sensazione che si applica a una o più parti del corpo, ma che risultando sgradevole costituisce anche un’esperienza emotiva.

Le esperienze che si avvicinano al dolore, ma che non sono sgradevoli, come ad esempio la puntura, non dovrebbero essere definite con tale termine.

Esperienze anormali sgradevoli (disestesia) possono anche essere dolorose, ma non necessariamente si presentano così perché, soggettivamente, non sempre presentano le tipiche qualità sensoriali del dolore.

Molte persone riferiscono di avere dolore in assenza di danni ai tessuti o a cause fisiopatologiche; di solito questo accade per motivi psicologici e non c’è modo di distinguere la loro esperienza da quella causata da danni ai tessuti se si prende in analisi la componente soggettiva.

Se infatti essi considerano la loro esperienza come dolorosa, e riportano tale sensazione con quelle caratteristiche simili ad un danno tissutale, questa dovrebbe essere accettata come dolore.

La teoria del dolore è stata pubblicata nel 1965 da Wall e Melzack e fu di cruciale importanza per la comprensione sottostante il fenomeno del dolore.

Alla luce di questa teoria, l’esperienza del dolore è un fenomeno multidimensionale che risulta influenzato da una moltitudine di fattori quali sentimento, esperienze precedenti, credenze culturali, in aggiunta ovviamente agli input sensoriali.

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Il dolore, come già accennato, è anche uno stato psicologico, per cui gli obiettivi di base per la valutazione di esso sono rappresentati da: diagnosi accurata delle cause sottostanti il dolore nel singolo paziente, pianificare e programmare un’appropriata terapia da parte del medico.

Il ruolo della psicologia è ausiliare e supplementare; questa infatti si configura come un’assistenza ulteriore al paziente, alla sua famiglia e al medico.

All’inizio del processo diagnostico e terapeutico, lo psicologo offre il proprio aiuto, sia per gli aspetti cognitivi che pratici.

A tal proposito è quindi importante presentare quegli studi inerenti gli aspetti psicologici del dolore così come le strategie e le tecniche psicologiche che supportano tali pazienti nella loro lotta con il dolore.

Da un punto di vista statistico, il dolore rappresenta uno dei motivi principali che porta i pazienti a ricercare cure mediche ed è una delle condizioni più invalidanti, gravose e costose negli Stati Uniti.

Il dolore è accompagnato spesso da problematiche di natura organica o tissutale, come ad esempio: spondilite anchilosante, dolore connesso al cancro, radicolopatia cervicale, sindrome dolorosa regionale complessa, neuropatia diabetica, fibromialgia, dolore associato ad HIV, cistite interstiziale, sindrome del colon irritabile, dolore alla schiena, emicrania, sslerosi multipla, osteoartrite, sindrome da vescica dolorosa, arto fantasma, neuropatia posterpetica, artrite reumatoide, lesioni del midollo spinale, dolore associato alla corsa, dolore chirurgicamente indotto e nevralgia del trigemino.

Ciascuna delle suddette malattie genera problemi distinti rispetto al costo di assistenza sanitaria, così come problemi terapeutici e ricerche diagnostiche differenti.

Da un punto di vista psicopatologico, invece, la depressione sembrerebbe essere spesso associata all’esperienza del dolore; per questo motivo si andrà ora ad analizzarla più nel dettaglio.

 

Depressione e disturbi fisici correlati

Un sintomo precoce di depressione è rappresentato dai disturbi del dolore; il rapporto tra la depressione e il dolore può assumere due vie differenti.

Dall’analisi della letteratura emerge che vi è una significativa relazione tra la depressione e i sintomi del dolore, così come tra il dolore e i pensieri suicidi.

I pazienti con un lunga storia di disturbi del dolore presentano anche un aumento dei sintomi depressivi e ansiogeni, così come di pensieri suicidi.

Al contrario, pazienti con una prognosi peggiore di ansia o depressione vanno incontro ad un aumento dei sintomi annessi al dolore.

In una meta-analisi condotta da Bair et al., la frequenza delle segnalazioni inerente al dolore in soggetti con la depressione variava tra il 15% e il 100%, il cui valore medio era del 65%.

In altri studi come quello di Kirmayer et al., tra i pazienti che soddisfavano i criteri per disturbo depressivo, il 75-80% di loro denunciavano altresì sintomi dolorosi quali: mal di testa, dolore allo stomaco, al collo e alla schiena.

E ancora, in una popolazione di pazienti ricoverati in ospedale a causa di una grave depressione, il 92% ha riportato almeno un sintomo di dolore, mentre il 76% molti più di uno.

Pertanto, la presenza di un disturbo depressivo incrementa il rischio di occorrenza di dolori muscoloscheletrici, mal di testa e dolore al petto nei successivi 3 anni.

Oltre che alla depressione maggiore, il dolore si presenta in altri disturbi dell’umore, quali distimia, disturbo bipolare, depressione causata da un disturbo somatico o dall’uso di sostanze.

Negli studi di Wasilewski è stato riscontrato che l’intensità del dolore correla con l’intensità dei sintomi psicopatologici – sia con abbassamento del tono dell’umore, sia con sintomi d’ansia e la costante presenza di preoccupazione.

Più è forte il dolore, peggiore è lo stato psichico; man mano che il dolore si intensifica, i pazienti manifestano più frequentemente pensieri di suicidio.

Oltre che alle psicopatologie annesse al dolore, i ricercatori hanno delineato anche quelle abilità cognitive utili che prendono il nome di strategie di coping, effettuando una distinzione tra quelle adattive e quelle disadattive.

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Innanzitutto, il termine coping fa riferimento agli sforzi cognitivi e comportamentali compiuti da un individuo per “fronteggiare” situazioni stressanti che comportano percezioni di minaccia, perdita o sfida per il soggetto stesso.

Nel contesto della malattia, danno tissutale o psicopatologia connessa al dolore, strategie di coping attive vengono messe in atto per cercare di affrontarlo e gestirlo al meglio e sono pertanto associate ad un funzionamento adattivo.

Strategie passive di coping riguardano invece attività di rinuncia o il cedere il controllo ad una forza o agente esterno a causa di una maggiore percezione del dolore che potrebbe essere ad esempio esacerbata dalla presenza di depressione.

L’incapacità di fronteggia in maniera adattiva determinate situazioni potrebbe, secondo i ricercatori, essere attribuita ad una valutazione cognitiva errata che prende il nome di distorsione cognitiva.

La distorsione cognitiva può essere infatti definita come una credenza negativamente distorta rispetto a se stessi o la propria condizione/situazione.

Tali distorsioni sembrerebbero influenzare la severità e il mantenimento della depressione; tra queste ricordiamo la catastrofizzazione (predire negativamente il futuro o comportarsi come se il peggio fosse già accaduto, senza considerare altri esiti, legittimamente probabili), e l’astrazione selettiva (prestare attenzione solo al dettaglio di una situazione, generalmente negativo, piuttosto che considerare il quadro complessivo).

La catastrofizzazione associata al dolore riguarda invece una percezione del dolore come terribile, orribile e insopportabile ed è fortemente associato alla depressione, ma nello stesso tempo rappresenta un elemento centrale nell’esperienza del dolore associato ad un danno tissutale o organico.

Tra i pazienti con lesioni dei tessuti molli (muscoli, tessuti connettivi, vasi sanguigni e via dicendo) la catastrofizzazione è significativamente correlata con l’intensità del dolore riferito, la disabilità percepita dal paziente e lo stato occupazionale.

I diversi studi condotti a tal proposito, utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), hanno dimostrato che la catastrofizzazione annessa al dolore, indipendentemente dall’influenza della depressione, era significativamente associato con un’aumentata attività in aree del cervello legate all’anticipazione del dolore (corteccia fronto-mediale, cervelletto), attenzione connessa al dolore (corteccia prefrontale dorsolaterale, corteccia dorsale controlaterale anteriore), aspetti emotivi del dolore (claustro, strettamente connesso all’amigdala) e controllo motore.

Da un punto di vista psicologico, un’elevata catastrofizzazione del dolore determina negli individui la messa in atto di comportamenti tendenti ad un maggiore utilizzo di quelle strategie che comunicano in maniera più efficace il loro dolore; è quindi meno probabile che si impegnino in strategia volte a minimizzare il dolore.

Questa tipologia di atteggiamento potrebbe essere migliorato dal contesto e dal supporto sociale; pertanto una maggiore comprensione delle funzioni e delle conseguenze circa tale distorsione cognitiva è fondamentale per valutare le strategie di coping più efficaci, le esigenze interpersonali e il rinforzo sociale, ossia tutte quelle variabili che influenzano il modo in cui viene espresso il dolore.

Comportamenti annessi al dolore

I ricercatori sottolineano come un atteggiamento specifico verso il dolore può condizionare il dolore stesso; un paziente che esperisce il dolore dopo un infortunio o dopo un procedura chirurgica impara ad assumere un posizione del corpo attraverso cui sentire meno dolore, o per evitare quei movimenti che intensificano il dolore.

Così, un paziente può evitare di posizionarsi su uno specifico lato liddove questo causi maggiore dolore; questi comportamenti presentano però una “doppia funzione”, da una parte sono vissuti come gratificanti in quanto diminuiscono il dolore, dall’altro possono essere vissuti come un modo per punirsi attraverso un eccessivo carico volontario o irritazione del sito della lesione che provoca un aumento del dolore, al fine di ottenere maggiori attenzioni.

Le manifestazioni verbali e comportamentali annesse al dolore possono essere ulteriormente rafforzate dai comportamenti delle persone che appartengono al mondo del paziente; atteggiamenti come il lamentarsi, smorfie annesse al dolore, cambiare la postura del corpo, evocano negli altri un atteggiamento protettivo, di riguardo e incline a fornire loro assistenza.

Le reazioni dell’ambiente vengono vissute quasi come un “premio”, ma nello stesso tempo queste incrementano quei comportamenti legati al dolore che a loto volta determinano un aumento dell’intensità del dolore provato.

È stato infatti confermato che i pazienti che ricevono un maggiore supporto sociale mostrano contemporaneamente un aumento dei comportamenti annessi al dolore.

A proposito di questo specifico aspetto, all’interno di uno studio si è osservato che il migliore predittore del livello di dolore e del livello di attività in pazienti con dolore cronico, era rappresentato dalla crescente preoccupazione del coniuge in risposta ai sintomi di dolore esperiti dal proprio compagno/a.

Anche la storia di vita del paziente non deve essere trascurata, in quanto una storia precoce con eventi di vita negativi quali rifiuto, rabbia, abbandono, abuso fisico e sessuale ha enormi conseguenze sulla salute che persistono nel tempo e fino all’età adulta.

Rispetto a tale contesto, la letteratura clinica, così come i modelli animali, hanno dimostrato la presenza di una relazione significativa tra eventi traumatici precoci e lo sviluppo della sindrome da colon irritabile.

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I problemi vissuti durante l’infanzia sono infatti associati con un’attivazione anormale dei glucocorticoidi nell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, annesso allo sviluppo di un disturbo da dolore come la sindrome da colon irritabile.

Questa patologia e altre psicopatologie sono più frequentemente diagnosticate nelle donne, in quanto gli ormoni ovarici sembrerebbero responsabili della modulazione della sensibilità a dolore.

Dopo questa breve rassegna su quegli aspetti psicologici del dolore annessi ad una componente biologica sottostante o subentrante in un secondo momento, è bene ora soffermarsi su quelle tecniche e strategie che possono essere applicate per il trattamento del dolore.

Metodi e tecniche di trattamento del dolore

Il metodo cognitivo e cognitivo-comportamentale e le tecniche di trattamento del dolore si pongono l’obiettivo di aiutare il paziente non solo a limitare il livello di dolore esperito, ma anche ad assumere un atteggiamento ottimista, un maggiore senso di controllo, così come aumento dell’auto-efficacia e autostima.

Attraverso una piccola review di queste tecniche compiuta da Siang-Yang Tan nel 1988, gli autori presentano quelle tecniche sperimentate e utilizzate in campo clinico per il trattamento del dolore al fine di valutare la loro efficacia nel controllo del dolore.

 

Metodi cognitivi

1) Fornire informazioni preparatorie: preparare un paziente su un evento imminente che potrebbe causare dolore è stato spesso usato come strategia per il controllo del dolore.

L’obiettivo è quello di alterare in senso positivo la valutazione cognitiva dell’evento al fine di sperimentare il dolore, durante e dopo l’evento, in maniera minimizzata. Le informazioni che vengono fornite possono essere di due tipi: informazioni procedurali circa l’obiettivo dell’evento in sé, e informazioni sensoriali sulle specifiche e probabili sensazioni che l’individuò esperirà durante tale evento.

L’efficacia di questo metodo si è rivelata discutibile.

2) Abilità di coping: l’uso di strategie o abilità cognitive di coping (distrazione o deviazione dell’attenzione) per il controllo del dolore sono state classificate da Turk in sei categorie principali:

a) disattenzione fantasiosa – si cerca di ignorare il dolore impegnandosi in immagini che sono incompatibili con l’esperienza di dolore; per esempio, immaginare se stessi a una festa, in compagnia o godendo di una piacevole giornata in spiaggia.

In questo caso il numero di studi sottolinea, da una parte, che tale strategia è più efficace nell’aumentare la tolleranza al dolore e a diminuire le reazioni soggettive di intensità al dolore, mentre dall’altra che è utile solo nel controllare il dolore.

b) trasformazione immaginativa del dolore – riconoscere le sensazioni nocive, ma interpretarle come se fossero qualcos’altro, o minimizzarle rendendole banali o irreali. Questa strategia risulterebbe utile nel controllare mentalmente il dolore.

c) trasformazione fantasiosa del contesto – riconoscere le sensazioni nocive, ma trasformare o cambiare l’impostazione o il contesto, per esempio immaginando se stessi come “James Bond” e via dicendo. Questa strategia sembrerebbe aumentare la tolleranza al dolore.

d) deviazione dell’attenzione (esterna) – concentrare l’attenzione sulle caratteristiche fisiche dell’ambiente per esempio, contando ad esempio i pannelli del soffitto. Questa strategia ha dimostrato in modo inequivocabile di essere efficace nel controllo del dolore.

e) deviazione dell’attenzione (interna) – concentrare l’attenzione su pensieri auto-generati, come ad esempio compiere operazioni matematiche o compilare una lista di parole delle canzoni preferite o popolari. Questa strategia si è dimostrata efficace nel controllo del dolore.

f) somatizzazione – concentrarsi sulla parte del corpo che riceve la stimolazione ma farlo in maniera distaccata; ad esempio, cercare di analizzare la stimolazione intensa e la sensazione annessa come se la si dovesse descrivere successivamente. Questa strategia è risultata efficace nel controllo del dolore.

Metodi cognitivi-comportamentali

1) Fornire informazioni preparatorie e plus skills training: diversi studi hanno indagato l’efficacia di un intervento cognitivo-comportamentale combinato che consiste nel fornire informazioni preparatorie annesse ad abilità comportamentali o comportamenti cognitivi per istruire i soggetti a migliorare le proprie capacità di coping per il controllo del dolore, in particolare durante o dopo procedure mediche nocive.

Questa tipologia di interventi combinati costituiti da informazioni preparatorie, aiutano a gestire lo stress e l’ansia e sono risultate efficaci; tuttavia i dati inerenti l’attenuazione del dolore non sembrano essere convincenti.

2) Tecniche di preparazione al parto: la preparazione al parto rappresenta una categoria speciale in cui l’intervento combinato fa riferimento al fornire informazioni preparatorie rispetto al processo o le modalità del parto e all’apprendimento di abilità di coping.

Rispetto a quest’ultimo punto esso comprende l’apprendere la respirazione profonda, il rilassamento o il focus attentivo (ad esempio, concentrare l’attenzione su un punto specifico, una parete o il soffitto).

I dati ottenuti sia da laboratorio che da studi clinici forniscono, nel complesso, un certo supporto per il valore di tali tecniche nel controllo del dolore.

c) Tecniche cognitive-comportamentali combinate: gli studi presi in considerazione forniscono un sostegno circa l’efficacia dell’utilizzo di più tecniche contemporaneamente per il controllo del dolore, in situazioni cliniche, come ad esempio la lombalgia, dolori dell’ulcera e mal di testa.

d) Stress inoculation training: la procedura consiste nel favorire nel soggetto lo sviluppo di capacità che possono essergli utili ad affrontare situazioni difficili in modo più funzionale.

Applicando tale intervento al trattamento del dolore, questo prevede diverse fasi: la prima fase di apprendimento per il controllo del dolore si presenta come fase educativa in cui i soggetti sono provvisti di un quadro concettuale esplicativo per comprendere al meglio l’esperienza del dolore.

Quella successiva è una fase di prova in cui i soggetti sono esposti a una varietà di tecniche cognitive per affrontare il dolore, sulla base del quadro concettuale fornito in precedenza (ad esempio, il rilassamento e la respirazione, la distrazione, strategie immaginative, e via dicendo).

Ai soggetti è consentito scegliere le tecniche di coping che desiderano utilizzare.

La fase finale consiste nell’applicazione di ciò che i soggetti hanno appreso al fine di testare le competenze acquisite sia nelle prove immaginative che di ruolo, o di esposizione ad un evento doloroso stressante.

Tuttavia, la validità di tale tecnica per la riduzione del dolore clinico acuto o cronico non è ancora stata stabilita.

Attraverso una revisione sistematica e una meta-analisi effettuata da Morley et al., sono stati segnalati diversi metodi con effetto terapeutico nel trattamento del dolore: il biofeedback (aiuta il paziente a prendere controllo del proprio comportamento); rilassamento; biofeedback e rilassamento; apprendimento abilità di coping; ristrutturazione cognitiva; biblioterapia/formazione.

Rispetto alla meta-analisi effettuata le presenti tecniche sono risultate efficaci in otto domini specifici, ma senza precisare quale metodo o tecnica è stata applicata al singolo dominio; gli autori riportano pertanto la percentuale di studi annessa ad ogni dominio:

  • esperienza del dolore (100%);
  • umore/affetti (88%);
  • coping cognitivo e valutazione cognitiva (68%);
  • attività comportamentale (68%);
  • dominio biologico (36%);
  • Funzionamento sociale (76%);
  • ricerca del servizio e assistenza sanitaria (12%);
  • vari (20%).

Dall’analisi dei risultati emerge che, confrontando trattamenti alternativi con trattamenti congnitivi-comportamentali, questi ultimi producono in maniera significativa strategie di coping e processi di valutazione cognitiva che riducono l’esperienza del dolore.

Gli autori concludono pertanto che un trattamento psicologico attivo basato sui principi della terapia cognitiva-comportamentale è efficace per il trattamento del dolore. 

 

Bibliografia

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(Traduzione e adattamento a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)

 


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Tags: depressione dolore trattamento aspetti psicologici fisiopatologia pensieri suicidi tecniche cognitive tecniche cognitive comportamentali trattamento combinato

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