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Vittima del mobbing? Cosa significa sopravvivere in ufficio?

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La vittima del mobbing, le paure, la disgregazione della propria vita e dei rapporti sociali.

mobbing

Il posto di lavoro, luogo in cui gravitano molte persone, pensiamo ai colleghi, capo settore, capo area, il “Capo” alle volte vengono chiamati responsabile di x, y, z, a noi poco importa, proprio loro possono rendervi la vita impossibile! 

Il mobbing, infido e subdolo nemico dei lavoratori può incidere sulla vita di chi lo vive in modo drammatico! Può alterare il benessere psicologico e fisiologico, può distruggere le sicurezze della propria vita e dei rapporti sociali. Insomma, chi lo vive, avrà ripercussioni molto forti e difficili da gestire in modo autonomo.

Cos’è il mobbing?

Il primo ad introdurre il termine in Italia fu Heinz Leymann, definendo il mobbing una forma di “terrore psicologico sul luogo di lavoro”, uno stato di conflittualità sistematica e persistente contro un lavoratore per emarginarlo o escluderlo dal contesto lavorativo.

Il termine mobbing deriva da un verbo verbo inglese “to mob” che significa “assalire, aggredire, affollarsi attorno a qualcuno” questo sta ad indicare tutte le condotte persecutorie che vengono messe in atto per denigrare, distruggere psicologicamente, moralmente, professionalmente e socialmente il mobbizzato (colui che lo subisce).

Esistono diversi tipi di mobbing di cui ricordiamo: mobbing gerarchico o verticale e mobbing ambientale o orizzontale; nel primo caso gli abusi sono commessi da superiori gerarchici della vittima, nel secondo caso sono i colleghi della vittima ad isolarla, a privarla apertamente della ordinaria collaborazione, ancora, parliamo di mobbing strategico quando l'attività vessatoria e dequalificante tende ad espellere il lavoratore, per far posto ad un altro lavoratore (di solito in posizioni di dirigenza) ecc.

Cosa avviene in concreto?

Il mobbing è un fenomeno molto complesso subdolo che può avvenire in svariati modi ed è in continua evoluzione. Molti autori, nel corso del tempo, hanno cercato di darne una definizione e soprattutto delinearne le fasi, tra i più importanti autori ricordiamo Leymann che descrive il mobbing come un processo articolato, dinamico e progressivo.

Leymann delinea quattro fasi attraverso uno schema sequenziale che differenzia i diversi stadi in cui si trova l’individuo mentre subisce le strategie di persecuzione del mobber. Questo modello è puramente descrittivo: esso presenta dei limiti, rintracciabili sia nella mancanza della dimensione soggettiva della vittima, sia nella mancanza di relazione logica tra le fasi (necessaria per parlare di “processo”). Inoltre, Leymann sembra basarsi sulla realtà svedese e tedesca, non permettendo l’applicazione del suo modello ad una realtà culturale e sociale come quella italiana.

Un modello interessante è quello di H. Ege.

Egli sostiene che la conflittualità tra i lavoratori viene considerata una condizione normale di lavoro, per cui il conflitto quotidiano non può essere il punto di partenza del mobbing.

Ege aggiunge una pre-fase detta “Condizione Zero” in cui il conflitto è generalizzato (tutti contro tutti), senza la designazione di una vittima precisa. Il conflitto non è latente poiché si manifesta (saltuariamente) attraverso piccoli diverbi, discussioni o ripicche. Nessuna azienda italiana sfugge a questa situazione, che rappresenta pertanto la regola. Nella condizione zero nessuno ha la volontà di distruggere qualcun altro, ma solo di elevarsi sugli altri.

Fase I: Il conflitto mirato. In questa fase già si parla di mobbing. Infatti il conflitto quotidiano e fisiologico si trasforma, poiché l’obiettivo è quello di distruggere l’avversario.

Viene designata la vittima e si dirige su di essa la conflittualità generale.

Fase II: L’inizio del mobbing. Gli attacchi da parte del mobber suscitano senso di disagio e fastidio. La vittima si interroga sul mutamento e sull’inasprimento delle relazioni lavorative

Fase III: Primi sintomi psico-somatici. Questa fase si colloca tra l’inizio del mobbing e la sua manifestazione pubblica. La vittima comincia ad avvisare problemi di salute (insonnia, problemi digestivi, senso di insicurezza) che si possono protrarre anche per lungo tempo.

Fase IV: Errori ed abusi dell’amministrazione del Personale.

Il caso di mobbing diventa pubblico e spesso viene favorito da errori di valutazione dell’ufficio del Personale, spesso dovuti alla mancanza di conoscenza del fenomeno e delle sue caratteristiche. Quindi i provvedimenti presi il più delle volte risultano inadatti e dannosi per la vittima.

Fase V: Serio aggravamento della salute psico-fisica della vittima. Il mobbizzato entra in una fase di vera disperazione, accusando forme depressive, credendosi la causa dei suoi problemi e avvertendo un senso di impotenza verso la situazione. Spesso si cura con psicofarmaci e sedute terapeutiche, ma queste hanno un effetto puramente palliativo, non eliminando il problema sul lavoro.

Fase VI: Esclusione dal mondo del lavoro. Questa fase rappresenta l’esito ultimo del mobbing e corrisponde alla quarta fase di Leymann (per cui valgono le stesse considerazioni esposte sopra).

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Anche in questa elaborazione, come in quella base di Leymann, possono verificarsi variazioni, per cui alcune fasi possono mancare e il mobbing può concludersi prima della fase cronica, relativamente alla particolare storia di ogni vittima.

Le azioni di violenza psicologica sul posto di lavoro possono essere:

  • Palesi e violente, quando sono presenti esplicite aggressioni verbali e fisiche, urla, commenti inopportuni alla sfera sessuale e privata;
  • Sottili e silenziose, quando la vittima viene isolata ed esclusa dal gruppo;
  • Disciplinari, quando la vittima inizia a ricevere lettere di richiamo ingiustificato;
  • Logistiche, se la vittima viene trasferita in sedi periferiche, scomode e lontane dagli affetti;
  • Mansionali, se si affidano alla vittima compiti al di sotto delle sue competenze;

La vittima

Il mobbing è una pratica dannosa e criminale che porta alla distruzione psicologica, morale e sociale della persona che lo vive.

Le vittime del mobbing, spesso, sono lasciate sole, non sono capite e le conseguenze del vivere i soprusi quotidiani e reiterati per mesi si trasformeranno in sintomi a carico della salute fisica, mentale e psicosomatica.

La vittima inizia ad aver paura, inizia a chiudersi in sé, unico luogo in cui si sente protetta. È noto che sottostare a pressione psicologica ripetuta e continua porta un aumento dello stress, depressione, calo dell’autostima, autobiasimo, fobie, disturbi del sonno (incubi, sonno interrotto, insonnia), problemi digestivi (gastriti) e muscoloscheletrici.

Il mobbizzato può manifestare disturbi alle funzioni intellettive: difficoltà di memoria e di concentrazione (facile distraibilità durante la lettura, la visione di un film), molto frequenti sono i sintomi da pressione psicologica come capogiri e svenimenti.

Tra le vittime del mobbing sono comuni anche disturbi da stress di carattere post-traumatico, simili ai sintomi che si manifestano dopo esperienze traumatiche di altra natura, quali disastri o aggressioni.

Tutte le emozioni negative, come il risentimento, il rimpianto e la preoccupazione possono mantenere il sistema nervoso autonomo (sistema simpatico) in uno stato di eccitazione e il corpo in una condizione di emergenza continua, a volte per un tempo più lungo di quello che l’organismo è in grado di sopportare. I pensieri troppo angosciosi, quindi, possono mantenere il sistema nervoso autonomo in uno stato di attivazione persistente il quale può provocare dei danni agli organi più deboli.

Questi sintomi possono persistere per anni dopo gli avvenimenti che li hanno originati.

Il Mobbing causa anche danni di tipo sociale, cioè, il crollo dell’immagine sociale e l'umore depressivo portano alla perdita di colleghi o di amici. In alcuni casi si viene abbandonati dal partner, il quale se ne va convinto che la persona mobbizzata sia cambiata, schiva ed una fallita.

La vittima può sentirsi dire frasi di questo tipo: “lascia perdere”, “non pensarci”, “sei troppo sensibile”, queste ed altre frasi sono totalmente deleterie per chi subisce soprusi ogni giorno, si è vittime inconsapevoli non artefici di diatribe facilmente risolvibili.

Questo infido e subdolo nemico si insinua nella sfera interiore della persona, come detto in precedenza, attacca la stima di sè, il valore della propria persona e della propria immagine sociale, che costituiscono nell’insieme l’Identità personale e sociale della persona umana.

Per cui il mobbizzato al di là di tutti i danni, soffre, perché è colpito nella sua interiorità più profonda. La maggior sofferenza è data dalla mancanza di futuro, mentre la vita stessa è un eterno divenire, è mutazione, accrescimento, evoluzione, il mobbizzato non ha prospettive, non può proiettarsi nel futuro, è bloccato in un lunghissimo momento di impotenza, intorpidito ed intrappolato “in quel presente” di svilimento da cui è difficile separarsi.

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Queste sono le prime avvisaglie della Depressione, il Disturbo che più frequentemente si manifesta nei mobbizzati, e che a volte può rimanere “sottosoglia” (piccoli sintomi che inficiano il quotidiano, pur senza costituire una patologia conclamata) per poi, eventualmente, sfociare in seguito in patologie ancora più gravi.

Tutto questo crea l’inizio dell’isolamento sociale della vittima in quanto vedrà il disgregamento della propria vita, si sentirà abbandonata non capita e apprezzata.

Altre conseguenze possono essere l’insorgere di problemi familiari o finanziari a causa dell’assenza o dell’allontanamento dal lavoro.

A livello organizzativo, i costi del mobbing possono consistere in un maggior assenteismo e rotazione del personale, nonché minor efficacia e produttività, non soltanto per le vittime del mobbing, ma anche per gli altri colleghi, che risentono del clima psicosociale negativo dell’ambiente di lavoro. Possono essere alte anche le richieste di danni legali conseguenti a casi di mobbing.

Cosa succede in famiglia?

Il doppio Mobbing

Il lavoratore soggetto a comportamenti vessatori e reiterati finisce per portare in famiglia queste sue frustrazioni che possono nel tempo riportare gravi conseguenze.

Può accadere infatti che il singolo soggetto, sottoposto a comportamenti mobbizzanti nell’ambiente di lavoro porti a casa tale stato di prostrazione sfogando nell’ambiente familiare la sua depressione e la tensione accumulata durante il lavoro a contatto con il mobber.

Questo lento e reiterato stillicidio poterà a logorare inesorabilmente nel tempo il rapporto familiare considerato che già il semplice sfogo è un modo per trasmettere agli altri il proprio stato d’animo.

Purtroppo più volte ci si trova di fronte a situazioni esasperate per le quali i componenti il nucleo familiare, non essendo più in grado di assorbire gli sfoghi del proprio familiare reagiscono con una anche inconsapevole forma di autodifesa, contrattaccando il predetto soggetto mobbizzato e debole, cosicché la vittima sarà privata del sostegno familiare in questo senso il mobbing a suo danno risulterà raddoppiato considerato che non si concluderà al termine dell’orario di lavoro ma proseguirà anche nell’ambiente familiare seppur con diverse modalità.

 

Per Approfondimento

  • Mobbing e organizzazioni di personalità. Aspetti clinici e dinamici” di Silvia Carlucci
  • Mobbing: che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro. Harald Ege
  • Il mobbing: definizioni e distinzioni a cura della dott.ssa Lorena Vasta, revisionato e sintetizzato a cura di S. Di Nuovo
  • Mobbing. Il terrore psicologico sul posto di lavoro e le sue conseguenze psicofisiche sull’individuo. Articolo apparso sulla rivista "Leadership medica" n. 3/2000
  • Il mobbing in famiglia e il doppio mobbing di Antonio Belsito. Anno IV n. 3, ottobre 2010 Diritto dei Lavori.
  • Violenza, distress, mobbing, danno personale e sociale. A cura di: Prof. Dr. Emilia Costa e Dott. Massimiliano Costa

 

(A cura della dottoressa Angela Chiara Leonino)


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