Gli effetti cerebrali dell'isolamento per reclusione
La neurobiologia ha mostrato la necessita' di rendere più umano l'isolamento per reclusione
C'è una differenza tra l'isolamento imposto dalla società e l'isolamento come scelta e anche il cervello reagisce in molti modi diversi.
La solitudine e l'isolamento coinvolgono una discreta fetta della popolazione e sono diventati molto diffusi negli ultimi anni. Possono causare cambiamenti cerebrali e serie conseguenze come la depressione ed altri disturbi dell'umore.
Comunque, molti di questi cambiamenti possono essere rimodificati se le interazioni sociali appropriate vengono ristabilite e la persona ricomincia attività sociali. L'isolamento per reclusione in carcere è un metodo che viene praticato in molte prigioni di tutto il mondo.
Robert King, ex-carcerato, che è stato in isolamento per 29 anni, ha condiviso la sua esperienza con una folla di neuroscienziati curiosi durante la più grande conferenza mondiale di neuroscienze fatta dalla "Society for Neuroscience" nel Novembre 2018.
Egli fu confinato in una cella 6x9 per circa 30 anni, con contatti molto limitati con altri umani cosi come limitato esercizio fisico, con conseguenze dannose sulla salute generale, incluso il cervello. Robert King ha capito che l'isolamento per reclusione ha cambiato il modo in cui il suo cervello lavorava.
Quando finalmente lui ha finito il periodo di reclusione, egli ha realizzato di avere grandi problemi nel riconoscimento dei volti, senso della direzione e molte altre capacità. Ha dovuto riaggiornare tutte le capacità apprese necessarie per la sopravvivenza, che invece nella sua cella non erano importanti.
Uno degli effetti importanti dovuto all'isolamento per reclusione è la diminuzione della dimensione dell'ippocampo, una regione che è collegata all'apprendimento, la memoria e delle conoscenze spaziali. Lo stress dovuto alla condizione estrema di isolamento ha causato una grande perdita di plasticità nell'ippocampo, diminuendo anche la formazione di nuovi neuroni.
Dall'altro lato, l'attività dell'amigdala era aumentata in risposta all'isolamento. Questo era dovuto ai sintomi di paura ed ansia che sono elevati nei prigionieri in isolamento per reclusione. Gli studi sui topi hanno mostrato che un mese di isolamento sociale causava una diminuzione di circa il 20% del volume totale dei neuroni.
Quando l'isolamento durava per un lungo periodo, sopra i tre mesi, è stato osservato che la ramificazione dei neuroni non avveniva più ed in cambio la spina dorsale (struttura in cui i neuroni comunicano con gli altri) era molto diminuita.
I meccanismi di ramificazione che avvenivano nei primi mesi dell'isolamento potevano rappresentare una sorta di meccanismo di compensazione che il cervello metteva in atto per superare e prevenire gli effetti dannosi dell'isolamento. Comunque, quando l'isolamento avveniva troppo a lungo, questo meccanismo sembrava terminare e si perdeva la comunicazione neuronale attraverso l'eliminazione della spina dorsale.
In aggiunta agli effetti causati dall'isolamento sul cervello, l'isolamento per reclusione ha anche una componente importante di deprivazione sensoriale. Le piccole celle in cui i prigionieri venivano isolati erano senza finestre e loro potevano uscire per fare esercizio fisico solo per 1 ora al giorno, e, secondo Robert King, non tutti i giorni.
La deprivazione sensoriale contribuisce all'insorgere di problemi di salute cosi come alterazioni del ritmo circadiano, l'orologio interno biologico che regola il corretto funzionamento del nostro corpo. L'isolamento per reclusione è una punizione come forma di tortura, con conseguenze molto gravi per la salute neurologico di chi è vittima.
Team di ricercatori stanno investigando sugli effetti profondi di questa pratica e studiando la possibilità di regolarla con attività fisiche più frequenti cosi come input sensoriali per mantenere il ritmo circadiano e prevenire i cambiamenti profondi osservati nel cervello.
Questo porta l'attenzione alla necessità che la scienza sia integrata sul campo, poichè i tutori della legge non sono esperti nel riconoscere i possibili disturbi emotivi e psicologici di un prigioniero. I neuroscienziati hanno bisogno di lavorare insieme a chi legifera per capire le conseguenze di certe pratiche che ancora esistono nel sistema, come l'isolamento per reclusione.
Riferimenti Bibliografici:
- Cacioppo JT, Cacioppo S., (2018): "The growing problem of loneliness" in "The Lancet";
- Cacioppo JT, Cacioppo S, Capitanio JP & Cole SW, (2015) : "The neuroendocrinology of social isolation" in "Annual Review of Psychology";
- Holt-Lunstad J & Smith TB, (2016): "Loneliness and social isolation as risk factors for CVD: implications for evidence-based patient care and scientific inquiry" in "Heart";
- Cacioppo S, Capitanio JP & Cacioppo JT, (2015): "Toward a neurology of loneliness" in "Psychological Bulletin";
- Masi CM, Chen HY, Hawkley LC & Cacioppo JT, (2011): "A meta-analysis of interventions to reduce loneliness" in "Personality and Social Psychology Review";
- Lobel J & Akil H, (2018): "Law & Neuroscience: The Case of Solitary Confinement" in "Daedalus, Journal of the American Academy of Arts & Sciences".
A cura del Dottor Claudio Manna
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